Bhutto: Il giallo della morte

Si tinge sempre più di giallo la morte di Benazir Bhutto. Da un lato, il governo pachistano insiste per la versione dell’incidente. Dall’altro, il partito e la famiglia continuano a parlare di un attentato vero e proprio con tanto di sicari. E a suffragare quanto i familiari e il partito sostengono, sono usciti almeno tre diversi prove, tra video e immagini fotografiche e due email inviate dalla Bhutto negli USA e in Gran Bretagna. A squarciare il velo di silenzio ha cominciato la portavoce di Benazir Bhutto, Sherry Rehman, che era con lei al momento dell’0agguato e tra i pochi che l’ha lavata in ospedale prima del funerale. “Ho visto una ferita di proiettile nella sua testa, con foro d’ingresso di dietro e foro di uscita dall’altro lato”. “Non abbiamo potuto lavarla nel modo migliore – ha aggiunto la Rehman – perchè la ferita era ancora sanguinante. Lei ha perso una grande quantità di sangue”. Sherry Rehman ha accusato il governo di voler camuffare la verità. “L’ospedale ha cambiato immediatamente la propria dichiarazione iniziale sulle cause della morte. Non hanno mai fornito una relazione appropriata”. E la tesi della Rehman sembra trovare conferme non soltanto dalle notizie circolate subito dopo la morte dell’ex primo ministro pachistano, ma anche da un nuovo video messo in onda dalle televisioni pachistane nel quale si vede chiaramente un uomo che spara dalle spalle della Bhutto, all’indirizzo proprio dell’ex primo ministro del Pakistan. Ieri altre immagini video e fotografiche hanno mostrato i sicari della Bhutto mostrando i loro volti e le fasi degli spari. Alle dichiarazioni della Rehman, che ha chiesto la riesumazione del corpo dell’ex leader del Partito del Popolo Pachistano, hanno fatto seguito quelle di Farooq Naik, avvocato della Bhutto e esponente del partito, secondo il quale l’ex primo ministro avrebbe un altro proiettile conficcato nell’addome. E ieri si è fatto sentire anche il marito della Bhutto, Asif Ali Zardari. Appena eletto co-presidente del partito insieme al figlio Bilawal, Zardari ha chiesto aiuto alla Gran Bretagna e all’ONU per ottenere una inchiesta internazionale che faccia luce sulla morte della moglie, come quella realizzata per l’omicidio dell’ex premier libanese Rafiq Hariri. “Non abbiamo bisogno di autopsia – ha detto Zardari – per sapere come è morta Benazir”. Queste accuse, però sono state rigettate dal portavoce del ministero degli interni brigadiere Javed Iqbal Cheema, che ha ribadito la versione del. “Perchè avremmo dovuto mentire? Noi abbiamo dato assolutamente i fatti, nient’altro che i fatti. Questi sono stati corroborati dai report dei dottori e dalle evidenze raccolte. È immateriale – ha detto Cheema – il modo nel quale è morta. Ma la cosa più importante è sapere chi sono coloro che la volevano uccidere”. Il portavoce del ministro degli interni ha detto che il governo è anche pronto a riesumare il corpo della Bhutto se la famiglia lo riterrà opportuno, ricordando che è stato lo stesso marito dell’ex primo ministro, Asif Ali Zardari, a chiedere, nell’immediatezza della morte della moglie, che non venisse effettuata l’autopsia. Cheema ha detto inoltre che il governo pachistano non necessita dell’aiuto della comunità internazionale perchè questa non conosce l’ambiente pachistano e che l’indagine giudiziaria si chiuderà nel giro di sette giorni. Ma nessuno ci crede e la comunità internazionale sta a guardare, anche se oggi Parigi ha fatto sapere che il ministro degli esteri Kouchner andrà nelle prossime 48 ore a Islamabad, con il benestare di Musharraf. E spuntano anche altre rivelazioni sui mandanti e gli esecutori, che Benazir conosceva già da tempo tanto da scriverlo in due email. Oltre a quella inviata all’amico americano e poi resa nota dalla CNN, tre mesi fa Benazir Bhutto mandò al capo del Foreign Office britannico David Miliband un’e-mail dove faceva i nomi di tre personaggi influenti legati al presidente Musharraf che secondo lei complottavano per ucciderla. Uno dei tre è un alto ufficiale dei servizi segreti pakistani che ufficialmente avrebbe dovuto proteggere la Bhutto dopo il suo ritorno in patria. il secondo un ‘noto ministro’ e il terzo ‘una figura eminente in Pakistan’ appartenente ad una famiglia che ha avuto propri membri ammazzati da Al Zulfiqar, una milizia controllata dal clan Bhutto.

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