Nessun vincolo sulla riduzione delle emissioni; nessun controllo e verifica delle azioni dei paesi in via di sviluppo che non sono supportati da finanziamenti e tecnologie dai paesi industrializzati; nessuna data per il raggiungimento massimo di emissioni dei paesi in via di sviluppo; la dichiarazione politica finale deve richiedere ai paesi industrializzati di non imporre barriere economiche nel nome dei cambi climatici contro beni esportati dai paesi in via di sviluppo. Queste le quattro condizioni che l’India ha deciso di imporre, con l’appoggio di Cina, Sud Africa e Brasile, al vertice di Copenaghen, contrastando una bozza di accordo, presentata dalla presidenza danese. Lo ha spiegato oggi a New Delhi il ministro indiano dell’ambiente, Jairam Ramesh. Il ministro è stato categorico: “se la bozza danese contiene indicazioni temporali, il vertice sarà un fallimento. Non escludiamo di abbandonare il tavolo”. L’India, così come gli altri tre paesi in via di sviluppo, contesta alla bozza danese, fatta circolare ad alcuni paesi in questi giorni e che sarà formalizzata da domani a Copenaghen così come la posizione indiana, di aver cambiato la forma ma non la sostanza. Nella bozza, infatti, non si parla di una data per il taglio delle emissioni, cosa che viene avversata dai paesi in via di sviluppo. Ma si utilizza il concetto di “picco delle emissioni entro una data”. In sostanza i danesi indicano in una data da decidere tra il 2020 e il 2025, il termine per raggiungere il massimo delle emissioni. Ciò significa, in pratica, che subito dopo quella data, si devono cominciare a ridurre le emissioni, anche se la parola “riduzione” non è contemplata per non urtare la suscettibilità. Ma gli indiani non ci stanno. Come hanno già più volte detto, non vogliono né limiti quantitativi né temporali sulle emissioni, considerando che, come ha detto oggi a Delhi Ramesh, “le nostre emissioni pro capite sono molto basse. Abbiamo già detto che siamo pronti a discutere sul livello di efficienza energetico. Ma dobbiamo avere un senso di realismo, che paiono non avere i paesi sviluppati, su quello che i paesi in via di sviluppo possono o non possono fare”. La strada è quindi tutta in salita, nonostante la settimana scorsa a Port of Spain un discorso del primo ministro indiano Manmohan Singh (che tra l’altro non ha ancora annunciato la sua partecipazione al vertice di Copenaghen) aveva fatto pensare ad aperture indiane. Ma l’apertura di Singh, al quale erano stati prospettati aiuti e che si era detto disponibile a impegnarsi “su obiettivi ambiziosi” in caso di “un accordo equo”, è stata subito smentita dal capo negoziatore indiano in Danimarca, Shyam Saran, che ha smentito categoricamente che l’India possa accettare tagli in tempi brevi.
L’India detta le regole per Copenaghen: nessun vincolo o fuori dal tavolo
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