Sono stato per un mese da fine luglio a fine agosto a Berlino. Una piacevole scoperta, una bellissima città, anche se ho potuto visitarla, essendo impegnato per lavoro, solo tre ore in una mattina alla fine di agosto. Mi riprometto di tornarci, le poche cose che ho visto, anche la sera quando uscivo per la cena, mi hanno lasciato un’ottima impressione della città. Quello che sono riuscito a fare è stato parlare molto con i locali. Grazie agli amici afteriani, ero lì per i campionati mondiali di atletica e mi sono intrattenuto spesso con i volontari, tutti tedeschi, molti berlinesi. E li ho avuto impressione che la caduta del muro ha avuto una valenza più per noi che per loro. I giovani, quelli che non hanno vissuto quei momenti, se ne fregavano quasi, è stata una cosa come un’altra, un evento importante ma del quale hanno solo sentito parlare. Gli adulti invece erano divisi in due: quelli dell’est parevano contenti della riunificazione, quelli dell’ovest non così tanto. I contenti dell’est erano soprattutto quelli di Berlino, quelli che invece vivevano nelle altre città dell’ex DDR l’hanno vissuto, almeno quelli che ho incontrato io, con piacere, ma in maniera non così esaltante. Una signora di Berlino ovest, ad esempio, continuava a chiamare “loro” quelli di Berlino est. Mi ha detto, in perfetto italiano, quindi non posso non aver capito bene (certo, se lo avesse detto in napoletano sarebbe stato meglio), che quelli dell’ovest non si relazionano con quelli dell’est. “Sai – mi ha detto – una mia mica addirittura convive con uno dell’est. Io non potrei mai”. Una frase che ho sentito da più di una persona. Quelli dell’ovest, soprattutto, sono incazzati per gli aiuti piovuti all’est, per il deprezzamento del marco rispetto alla moneta dell’est. Si considerano comunque due germanie. Aveva ragione la Merkel a dire che la riunificazione succeduta alla caduta del muro non è stata completata. Verissimo. Io spero solo che la caduta di quel muro, evento sensazionale e commovente (anche girando per quei luoghi oggi si avverte una certa emozione), possa essere d’esempio e convivere ad abbattere quei muri, anche piccoli, che resistono, molti dei quali sono proprio nel sud est asiatico. Ultima notazione. Ho seguito la bella cerimonia e mi ha colpito l’assenza di Obama. Molto. Ad un evento del genere, di portata così storica, non si doveva mancare. Dopotutto si sapeva che c’era. Certo, forse ce ne sarà un altro fra 10 anni, auguro ad Obama di essere ancora al potere in quei giorni. Ma stasera doveva esserci. Non doveva mancare. Tanto più che il suo programma per quel giorno non mi pare prevedesse eventi di così vitale importanza. Non a caso il web si è risentito e basta googlare “obama berlin” o “obama absence berlin” che appiano newsgroup, giornali e blog che criticano il presidente americano. L’invio del video, poi, secondo me è stato di cattivo gusto. Perchè Obama non c’è andato? Sul web ci sono tante ipotesi. Io ne sposo una sola. Durante la sua campagna elettorale, ad Obama fu vietato, dal governo tedesco, di tenere un comizio dinanzi alla porta di Brandeburgo. Dovette ripiegare in un altro luogo, dinanzi alla Siegessäule, la colonna della vittoria di Wendersiana memoria, dove fu molto applaudito. Voleva imitare Regan, che nel 1987 dinanzi alla porta di Brandeburgo disse ”Mr. Gorbacev, butti giù questo muro”, oppure JFK, che dal balcone del municipio pronunciò la famosa “Ich bin ein Berliner”, “sono un berlinese”. Certe cose non si dimenticano e qualcuno se le lega al dito.
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Corso per interpretare le figure del Kamasutra
Chi non si è fatto quattro risate con il video che spiegava come interpretare le istruzioni di sicurezza degli aerei? Il suo realizzatore è Michele Ampollini (il suo sito è davvero fico!), tra l’altro uno degli autori delle divertenti sit com Piloti e Camera Cafè. In questi giorni ho altro a cui pensare (poi vi dico), e così non ho il tempo di scrivere di cose del sub continente. Nel sito di Ampolloni ho trovato un divertentissimo video che commenta le posizioni del Kamasutra. Essendo questa una cosa indiana, non potevo esimermi dal riportarlo. Trattandosi di roba a luci rosse, è ovviamente vietata ai minori di 18 anni, per cui non incorporo nel post il video ma è raggiungibile da questo link. Tutti gli altri video di Ampollini sono visionabili sul suo sito.
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Uomo o donna? Scoppia la polemica a Berlino. Ma, prima, c’era stata in India
Come mi capita spesso, sono in giro con gli amici afteriani ad accreditare gente. Mi trovo ai campionati mondiali di atletica di Berlino, ed è da poco scoppiato il caso della Sudafricana Caster Smenya, vincitrice degli 800 donna, che molti credono essere un uomo. Sulla cosa si è espressa come al solito benissimo, Emanuela Audisio, l’inviata di Repubblica.
La storia mi ha fatto venire alla mente una analoga che aveva come protagonista una indiana, vincitrice della medaglia d’argento ai giochi asiatici, scoperta essere poi un uomo. Quando le hanno ritirato la medaglia, ha tentato il suicidio. Di seguito gli articoli scritti all’epoca.
GIOCHI ASIATICI: ATLETA INDIANA E’ UOMO, SCOPPIA UN GIALLO A PRECEDENTE TEST ERA DONNA: IN ARRIVO SQUALIFICA E VIA MEDAGLIA (ANSA) – NEW DELHI, 18 DIC 06 – Una atleta indiana, arrivata, seconda nella finale degli 800 metri dei Giochi Asiatici conclusisi il 15 dicembre a Doha in Qatar, non ha superato il test genetico che avrebbe chiarito il suo sesso. Santhi Soundararajan, venticinquenne atleta di Chennai, nello stato meridionale del Tamil Nadu, gia’ una volta era stata sottoposta ad un test genetico ai precedenti Giochi in Corea, per verificare la sua appartenenza al genere femminile. In quella occasione, dopo aver vinto la medaglia d’argento, il test, che non e’ obbligatorio, chiari’ che Santhi era una donna. A Doha, secondo quanto riferiscono i vertici della commissione medica dell’Associazione Olimpica Indiana, il test ordinato su Shanti dopo le proteste di alcune avversarie, avrebbe dimostrato che Shanti in realta’ e’ un uomo. La sportiva, dichiarata atleta dell’anno duranti gli ultimi campionati indiani a Delhi, sta per essere squalificata, come capito’ nel 1999 ad una giocatrice di calcio della nazionale indiana, e privata della medaglia d’argento. Il caso sta assumendo contorni politico-sociali, in quanto l’atleta proviene da una famiglia poverissima e lo stato del Tamil Nadu, per onorarla della medaglia, gli ha gia’ consegnato un premio in denaro pari a 30 mila euro piu’ una televisione. Shanti ha dichiarato di sentirsi la vincitrice della gara degli 800, disputata a Doha il 9 dicembre scorso, soffiatale per due secondi da un’atleta del Bahrain. (ANSA)
ATLETICA: INDIA; TENTA SUICIDIO DOPO FALLITO TEST SESSUALE – (ANSA) – NEW DELHI, 5 SET 07 – E’ in gravi condizioni Santhi Soundararajan, venticinquenne atleta di Chennai, nello stato meridionale del Tamil Nadu, famosa in India per aver vinto la medaglia d’argento negli 800 metri ai giochi asiatici dello scorso dicembre a Doha in Qatar, ma ancor di piu’ per aver fallito un test che stabiliva il suo sesso. L’atleta era al centro di polemiche perche’, pur correndo come donna, erano sempre stati avanzati dubbi sulla sua sessualita’. Al termine dei giochi, dopo non aver superato il test genetico che avrebbe chiarito il suo genere, la sua medaglia le era stata tolta. Gia’ una volta era stata sottoposta ad un test genetico ai precedenti Giochi in Corea, per verificare la sua appartenenza al genere femminile. In quella occasione, dopo aver vinto la medaglia d’argento, il test, che non e’ obbligatorio, chiari’ che Santhi era una donna. A Doha, secondo quanto riferirono i vertici della commissione medica dell’Associazione Olimpica Indiana, il test ordinato su Shanti dopo le proteste di alcune avversarie, avrebbe dimostrato che Shanti in realta’ e’ un uomo. La sportiva, dichiarata atleta dell’anno durante gli ultimi campionati indiani a Delhi, era stata per questo test fallito, squalificata, come capito’ nel 1999 ad una giocatrice di calcio della nazionale indiana, e privata della medaglia d’argento. Poco fa l’atleta ha assunto del veleno ed ora si trova in gravi condizioni nell’ospedale di Pudukottai, nei pressi di Chennai. Il caso aveva assunto anche contorni politico-sociali, in quanto l’atleta proviene da una famiglia poverissima e lo stato del Tamil Nadu, per onorarla della medaglia di Doha, le aveva consegnato, prima del test fallito, un premio in denaro pari a 30 mila euro piu’ una televisione. (ANSA)
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Per me Entropa è una cagata pazzesca!
Mi è venuto da dire stamattina entrando nel Justus Lipsius, il palazzo di Bruxelles dove ha sede il segretariato generale del consiglio dell’Unione Europea e dove si tengono i Consigli Europei.
Le polemiche su Entropa, l’istallazione di arte moderna voluta dal governo Ceco in occasione della sua presidenza, piazzata nella sala stampa principale/atrio del Justus Lipisus e realizzata dall’artista (sic!) David Černý, ci sono già state e, devo dire, a ragione. Preciso che non sono contrario all’arte moderna, ma credo che quest’opera provocatoria e per diversi versi interessante, sia assurda e comunque, stia meglio in un museo o una esposizione di arte moderna, anziché nella sala stampa principale del palazzo del consiglio europeo.
Analizziamo l’opera vedendo ogni sua peculiarità.
Questa è l’opera nella sua interezza. Tenete presente che le auto della Germania si muovono, i giocatori italiani si sbattono i palloni sui coglioni, il Dracula romeno emette luci e suoni, l’orsetto a destra suona, mentre i lettoni pisciano. Inoltre, quella coperta con un telo è la Bulgaria che ha protestato ufficialmente perché rappresentata con cessi alla turca.
Ecco nel dettaglio i paesi:
AUSTRIA: Visto che si oppone alle centrali nucleari, il paese viene raffigurato con quattro camini di centrali atomiche su un campo verde. I camini sbuffano aria ogni tanto.
BELGIO: una scatola di cioccolatini smangiucchiati
BULGARIA: (ora coperto) neon colorati collegano diversi bagni alla turca
REPUBBLICA CECA: è uno schermo sul quale vengono riportate di seguito le frasi antieuropeiste del presidente ceco Václav Klaus.
DANIMARCA: mattoncini Lego con riferimenti alla polemica sui fumetti antislamici.
ESTONIA: Falce e martello per l’ex Repubblica sovietica che ha bandito i simboli comunisti.
FINLANDIA: un uomo giace con un fucile su un pavimento tipo parquet da sauna, intorno un elefante, un ippopotamo e un coccodrillo.
FRANCIA: il paese è stilizzato ed è coperto da uno striscione che dice “SCIOPERO!”
GERMANIA: una serie di macchinine si muovo su una autostrada fatta a forma di svastica. Inoltre, secondo alcuni storici, l’autostrada ricorda il numero 18, che era il modo con il quale i nazisti richiamavano le iniziali di Hitler.
GRECIA: il paese brucia, sia per i grossi incendi del 2007 che per i disordini del 2008.
UNGHERIA: c’è un atomo o la stilizzazione dell’Atomium, il monumento di Bruxelles (che sta in Belgio…) fatto di angurie, prodotto tipico ungherese, e di salsicce ungheresi, il tutto su un tappeto di peperoni.
IRLANDA: una cornamusa che suona ogni cinque minuti, fatta di pelo come un orsacchiotto di peluche.
ITALIA: i calciatori vengono rappresentati tutti con un pallone da calcio all’altezza dei genitali. Si muovono e mimano una masturbazione con i palloni. In “veneto”, c’è anche un calciatore in posizione supina con i calzoncini abbassati e il culo di fuori.
Il video degli italiani mastrurbatori con il pallone
LETTONIA: è rappresentata con le montagne, nonostante invece non ne abbia neanche una e sia tutta piatta.
LITUANIA: quattro Menneken-pis, pisciano sulla Russia.
LUSSEMBURGO: un lingotto con la scritta “vendesi”.
MALTA: una piccolissima isola con un elefante nano, visibile grazie ad una lente d’ingrandimento.
POLONIA: monaci innalzano la bandiera dei diritti dei gay allo stesso modo dei soldati americani.
PORTOGALLO: un tagliere di legno con sopra tre pezzi di carne che simboleggiano le tre ex colonie, Angola, Brasile e Mozambico.
ROMANIA: un parco di divertimenti con Dracula che suona, sbuffa e fa orrendi suoni.
SLOVACCHIA: il paese è foderato come fossa una salsiccia ungherese e il cordone ha i colori della bandiera ungherese.
SLOVENIA: una roccia nella quale è incisa la frase “Il primo turista è arrivato qui nel 1213”.
SPAGNA: interamente in costruzione, riempita di calcestruzzo con una betoniera che spande calcestruzzo.
SVEZIA: un’ala di un jet da guerra JAS 39 Gripen, di fabbricazione svedese in forze all’aviazione della Repubblica Ceca, è chiuso in un imballaggio di Ikea.
INGHILTERRA: a causa del suo euroscetticismo, l’Inghilterra c’è e non c’è nella istallazione. Uno spazio vuoto in alto a sinistra simboleggia l’isola britannica.
Ora, ribadisco che per certi versi l’opera mi piace, ma credo sia inadeguata al luogo. I cechi hanno detto che alla base dell’opera c’è la famosa ironia della Repubblica Ceca (non erano famosi per altro?). A me ha fatto venire in mente il dialogo fra i due protagonisti di Il Mistero di Bellavista sul valore e il riconoscimento dell’arte contemporanea, dialogo che vi riporto di seguito.
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La stupidità e l’ingiustizia non hanno confini
La vicenda degli operai inglesi in sciopero a Londra contro il fatto che un’azienda italiana abbia vinto una gara, mi ha fatto venire in mente gli espisodi xenofobi e protezionisti soprattutto a Mumbai, dove i maharati, i locali, guidati da partiti regionali indu’ che hanno il geme della stupidità in ogni iscritto ma soprattutto nei leader, vogliono cacciare i lavoratori di altri stati indiani. L’anno scorso sono successi anche incidenti, che hanno interessato anche attori importanti, colpevoli di lavorare a Bollywood, quindi a Mumbai, ma di non essere di Mumbai.
La cosa mi ha fatto fare una serie di considerazioni:
1) la fame è fame dovunque;
2) i coglioni non hanno nazionalità;
3) le persone per bene, coloro che vogliono fare le cose secondo legge, sono le prime a pagare;
4) le leggi valgono solo per poche persone.
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Yehoshua sul conflitto in Israele
So che non c’entra con i paesi dei quali mi occupo, ma i conflitti sono uguali in tutto il mondo e quello in Israele mi ha sempre scioccato. Pubblico di seguito la lettera dello scrittore Abharam B. Yehoshua, che amo particolarmente, a La Stampa. Un pensiero lucido e, da parte mia, condiviso, sulla situazione di questi giorni.
La vigilia del nuovo anno, io e la mia famiglia abbiamo ritenuto opportuno mostrare solidarietà ai civili israeliani costretti nei rifugi del Sud e, anziché festeggiare, siamo rimasti a casa a guardare la televisione. Ci siamo sintonizzati sul canale televisivo ARTE che trasmetteva un balletto con la coreografia di Béjart eseguito dal corpo di ballo dell’Opéra di Parigi.
Non riuscivamo però a dimenticare la guerra e, premendo un pulsante, passavamo da L’uccello di fuoco di Stravinskij ai devastanti uccelli di fuoco in volo tra Khan Younis e Sderot, tra Gaza e Beer Sheva; dal ritmo incalzante, insistente e straordinario del Bolero di Ravel a quello tragico, ripetitivo, infinito del conflitto israelo-palestinese.
Solo due anni e mezzo fa noi, residenti del Nord, eravamo rintanati nei rifugi per difenderci dai razzi di Hezbollah e ora sono i civili del Sud a trovarsi nella stessa situazione. Le armi cambiano e si fanno più sofisticate, i mezzi di comunicazione migliorano e il mondo è sempre più globalizzato ma nella nostra regione il conflitto rimane immutato.
Scontri a Gaza
La caparbietà, l’idiozia, l’integralismo, l’ipocrisia, l’odio, la disperazione e l’utopia sono prerogativa di entrambi i fronti. Sì, entrambi i fronti! Non c’è quindi da meravigliarsi se cercammo rifugio dalle immagini della tv israeliana nella meravigliosa danza di Maurice Béjart che concludeva il reboante Bolero in un formidabile crescendo. Anche il conflitto israelo-palestinese, che prosegue da più di 130 anni, si concluderà in un formidabile crescendo? Sarà una catastrofe o una positiva catarsi di rappacificazione e accettazione della realtà «dell’altro»?
Forse però posso dire ancora qualcosa di nuovo a quei lettori italiani che non ne hanno abbastanza del conflitto mediorientale e sono disposti a leggere l’ennesimo articolo sulla situazione, magari per tentare di capire, nella farragine di analisi e resoconti, da che parte stare, a chi garantire il proprio appoggio morale, chi – in questa fase – è l’aggressore, chi merita pietà e chi solo rabbia e biasimo e se la violenta reazione dell’aggredito sia legittima.
Scontri a Gaza
Per giudicare equamente le parti occorre avere una visione complessiva dello stato delle cose. I palestinesi di Gaza sono da condannare per il loro supporto delle azioni criminali di Hamas mentre i loro fratelli in Cisgiordania meritano compassione e simpatia per il comportamento aggressivo e iniquo che Israele mantiene ai check-point e nelle colonie. Agli israeliani che attaccano Gaza per distruggere le basi di lancio dei razzi sparati sui civili va piena comprensione ma in Cisgiordania, nel contesto dell’occupazione, quegli stessi israeliani continuano a commettere prepotenze e angherie.
L’osservatore esterno dovrebbe dunque adottare un punto di vista meno semplicistico, un criterio di giudizio che, pur mantenendosi fermo ed equilibrato, non sia piatto e unidimensionale. Israele, dopo la guerra dei Sei giorni, ha governato Gaza per 38 anni. Tale periodo di dominio si è rivelato problematico soprattutto a causa degli insediamenti che vi erano stati eretti. Malgrado infatti la presenza di un milione di palestinesi Israele confiscò quasi un quarto del territorio della Striscia per costruire colonie in cui si insediarono solamente 9 mila ebrei.
Scontri a Gaza
La violenta opposizione degli abitanti di Gaza all’esercito ebraico e ai coloni in quel periodo era dunque giustificata e si è dimostrata efficace. Tale opposizione, che per cinque anni, durante l’Intifada, è costata la vita a una quarantina di soldati e civili israeliani, ha costretto infine Israele al ritiro, allo smantellamento degli insediamenti e alla riconsegna dell’intero territorio di Gaza ai suoi abitanti, o, nella fattispecie, al governo di Hamas democraticamente eletto.
Ma i dirigenti di questa organizzazione, inorgogliti ed esaltati dalla sensazione di vittoria, invece di tirare un sospiro di sollievo, riappropriarsi delle terre evacuate dai coloni e dare il via a un accelerato processo di ricostruzione che tutto il mondo avrebbe guardato con favore concedendo ampie e generose sovvenzioni, hanno cominciato a programmare il proseguimento della lotta. Come se il ritiro israeliano non fosse che il primo passo per un definitivo annientamento dello Stato ebraico.
Scontri a Gaza
Non bisogna infatti dimenticare che l’ideologia integralista di Hamas, condivisa da non pochi palestinesi, non riconosce la legittimità dell’esistenza di Israele, e non importa entro quali confini. Come dopo il ritiro unilaterale israeliano dal Libano meridionale gli esponenti di Hezbollah si erano illusi di poter sgretolare Israele e avevano aperto il fuoco sulle comunità civili del Nord portando morte e distruzione nel proprio Paese, così i palestinesi di Gaza hanno cominciato non solo ad accarezzare il sogno di una liberazione della Palestina ma anche quello di una utopistica grande rivoluzione islamica, ispirata da Iran e Hezbollah.
E anziché rifornirsi di materiali edili e di macchinari per l’industria, hanno fatto scorta di razzi – anche a lunga gittata – cominciando a martellare i centri abitati israeliani del Sud. A tale pioggia di razzi Israele ha risposto chiudendo i valichi con la Striscia e ponendo un embargo sui rifornimenti a quella piccola e isolata regione. E allorché al termine di una tregua di sei mesi gli uomini di Hamas hanno ripreso a sparare contro le comunità civili (arrivando a lanciare fino a 70 razzi al giorno), è scattata l’attuale offensiva militare.
Gaza
Gli europei che osservano questa guerra, pur giustificando la reazione di Israele al lancio dei razzi, si domandano se non sia troppo violenta, «sproporzionata». Israele è uno Stato forte e moderno che dispone di armi letali e sofisticate ma si trova di fronte una popolazione a livello di Terzo Mondo. Sì, i palestinesi di Gaza possiedono razzi, ma i danni che questi provocano sono relativamente limitati.
E a riprova di questo è il fatto che le migliaia di razzi lanciati negli ultimi tre anni, dopo il ritiro dalla Striscia, hanno causato la morte di meno di 30 persone mentre l’esercito israeliano, in una sola settimana, ha ucciso centinaia di palestinesi. A questo punto occorre però chiarire una cosa fondamentale. È vero, la potenza di fuoco israeliana è decine di volte superiore a quella palestinese ma la capacità di sopportazione e di resistenza dei palestinesi è infinitamente superiore a quella degli israeliani.
Gaza
Se Israele avesse reagito in modo «proporzionato», rispondendo con un razzo per ogni missile caduto sul suo territorio, nessuno a Gaza ne sarebbe rimasto impressionato. I capi di Hamas avrebbero addirittura deriso una simile reazione e continuato a lanciare razzi a loro piacimento. Dopo un settimana di bombardamenti israeliani, che hanno causato enormi disagi alla popolazione e durante i quali sono morti centinaia di palestinesi (per lo più guerriglieri di Hamas ma anche parecchi civili) e sono stati distrutti numerosi edifici, non solo Hamas non mostra segni di resa ma non è nemmeno disposto a negoziare una tregua, a differenza di quanto fecero Egitto e Siria durante le passate guerre. Il governo di Hamas è indifferente alla sua popolazione.
I capi e dirigenti si sono dati alla clandestinità o, più precisamente, si sono rintanati nei bunker sotterranei lasciando il popolo in preda alle sorti di un’irrealizzabile avventura fondamentalista. Non c’è da stupirsi che, a eccezione di alcune scontate e automatiche manifestazioni di sostegno, la maggior parte dei palestinesi di Cisgiordania e di Israele, nonché il mondo arabo, osservino con indifferenza ciò che avviene nella Striscia.
Gaza
Che fare allora? Cosa è possibile e giusto sperare? Cosa può fare Israele per uscire dal circolo vizioso della violenza che domina la sua esistenza fin dal primo giorno della sua fondazione? Innanzi tutto evitare per quanto possibile un’offensiva di terra. Israele non ha la forza di sradicare il governo di Hamas e deve fare tutto ciò che è in suo potere per non peggiorare la situazione dei civili. Il tentativo di distruggere fino all’ultimo razzo nascosto nei bunker della Striscia costerebbe la vita a molti palestinesi e a non pochi soldati israeliani. Solo il popolo palestinese potrà sostituire i propri governanti.
Israele può aiutare la gente di Gaza a cambiare opinione, a convincersi che occorre riconoscere la realtà dei fatti, abbandonare la via della violenza e concentrarsi sullo sviluppo e sul benessere. Non dimentichiamo che quella gente è nostra vicina, ha una patria in comune con noi che chiama Palestina e che noi chiamiamo terra di Israele e dovrà convivere con noi nel bene e nel male. Dobbiamo dunque fare il possibile per non inasprire e rendere ancora più sanguinoso il conflitto.
Gaza
Un simile peggioramento si imprimerebbe nella memoria collettiva rinfocolando sentimenti di amarezza e di vendetta. Anche i più estremisti tra i palestinesi non sono creature metafisiche, come non lo sono gli ebrei. Sono esseri umani soggetti a cambiamenti e persino un’organizzazione quale l’Olp, che in passato non era disposta a riconoscere in nessun modo la legittimità di Israele e aveva optato per la via del terrore, da anni mantiene un dialogo con lo Stato ebraico.
Ma un auspicabile cambiamento a Gaza, dopo l’avvento di una tregua, non dipenderà solo da quest’ultima e dall’apertura dei valichi di frontiera ma soprattutto da ciò che Israele farà in Cisgiordania. È laggiù che la politica degli insediamenti, da sempre uno dei maggiori ostacoli alla pace, dovrà subire un radicale cambiamento. Ridurre il numero delle colonie e smantellare subito tutti gli avamposti illegali significherebbe eliminare barriere divisorie e posti di blocco e agevolare la vita dei cittadini. Ogni modifica della politica israeliana in Cisgiordania a favore di una più rapida creazione dello Stato palestinese darà agli abitanti di Gaza, stremati e in lutto dopo i recenti avvenimenti, la speranza e la determinazione di voltare le spalle alla politica di Hamas che li ha condotti nel baratro.
Traduzione di A. Shomroni

Abraham B. Yehoshua
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L’abbazia di Chevetogne, un’oasi di pace e integrazione
Un posto fantastico per trascorrere un po’ di tempo. Non c’entra nulla con l’India, ma rientra in una di quelle cose che hanno da sempre accompagnato la mia vita. Insieme al mio fraterno amico Cornelio, ho trascorso un lungo week end all’abbazia di Chevetogne, in Belgio, non lontano da Bruxelles. Un’abitudine che avevamo in passato, quando spesso visitavamo le abbazie italiane ed estere. L’occasione è arrivata grazie all’After e al solito lavoro di badge per il consiglio europeo. Già da tempo avevamo sentito parlare di quest’abbazia benedettina che ha una caratteristica: ha una comunità di monaci divisi dalla liturgia, nel senso che una parte segue la liturgia latina romana, un’altra quella bizantina, in slavonico e in greco. L’abbazia è molto bella, ospitata in un castello ottocentesco della campagna belga, nei pressi di Ciney. Il bosco intorno la nasconde ala vista, ma il tesoro è all’interno. Due chiese ai lati del castello, una bizantina tutta affrescata e una latina, essenziale solo come i benedettini sanno essere. I monaci di Chevetogne accolgono tutti e, attraverso le due liturgie non solo vogliono conservare la tradizione, ma proclamare l’unita della religione e l’amizia tra i popoli. Studiano le lingue antiche e sono cultori della musica gregoriana e bizantina. realizzano cd musicali, con i quali finanziano le loro opera. Vi consiglio una visita.
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Un clandestino all’aeroporto
Ho fatto una scappata a Bruxelles per il consiglio europeo straordinario sulla Georgia-Russia. Una cosa inutile, se non fosse che ho mangiato ottimo pesce, carne e bevuto ottima birra, sia la lambic che producono a La Becasse, sia la Leffe Scura. Ho rivisto gli amici dell’After e ho mangiato alla Quincaillerie, come sempre ottimo ristorante. Ho viaggiato con Jet Airways, diretto da Delhi a Bruxelles. All’andata mi è andata benissimo, perché mi hanno upgradato in business e ha il letto flat. Al ritorno sono stato bene, ho scelto il posto e ho riposato. Il ritorno a Delhi è stato “indiano”. Mentre nell’aeroporto dopo aver preso i bagagli facevo la fila per prenotare un taxi, ho notato un clandestino. A Delhi ti fanno un sacco di controlli manuali che sono la gioia per tutti coloro che amano essere tastati in ogni parte del corpo, ed invece questo clandestino che vedete nel video, si muoveva senza timori e problemi.
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