Archivi categoria: Diario indonapoletano

Addio

La transizione è avvenuta. A malincuore abbandono la nave. Non ce la faccio a gestirne due, la Cina è grossa e impegna. Il blog rimarrà attivo, ma non rispondo ai commenti,s egnalazioni o email. L’India è purtroppo lontana. Come mi diceva sempre un mio amico di Benares, “tu puoi lasciare l’India ma l’India non ti lascerà mai”. E io rispondevo, “salutam ‘a soreta”.
Vi lascio con i consigli per la lettura. Abbonatevi e leggete quotidianamente il sinonapoletano di partecinesepartenopeo.wordpress.com. Mi fa simpatia e pare una brava persona. Saluti a tutti, Namastè.
p.s.: non leggerà ne i commenti ne le mail, per cui non vi aspettate risposte.

12 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

Forza Napoli, non prevalebunt

L’ennesimo furto di ieri sera ai danni del Napoli merita vendetta. Magari, come suggerisce il sinonapoletano, bisognerebbe mandare gli arbitri nei campi di rieducazione, come succede in Cina.

Lascia un commento

Archiviato in Diario indonapoletano

Consigli di lettura: La vita e gli insegnamenti di Milarepa

milarepa


Francis Tiso, grande amico e prete americano, oltre che mio maestro da quasi vent’anni, ha finalmente pubblicato l’opera che lo tiene impegnato da tempo. Un lavoro capillare, una ricerca profonda, vissuta sui libri di tutto il mondo e sul campo in India, Nepal e Tibet. Una esegesi completa della vita, le opere e gli insegnamenti di Milarepa, uno dei maestri più famosi del buddismo. Il libro è in inglese e può essere ordinato direttamente all’autore. Maggiori dettagli sul libro e informazioni sull’acquisto cliccando qui.

http://www.wikio.it/

3 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

L’indirizzo del nuovo blog

Il nuovo bloog è attivo. Per arrivarci, dovrete dimostrare tutta la vostra conoscenza di uno dei miei tre miti (insieme a Tony Tammaro e Maradona), cioè Totò. Il titolo del nuovo blog parafrasa una famosa battuta del principe della risata, molto conosciuta, anche se detta in un film poco noto. Siamo in una pellicola del 1950, nella quale Totò prende il posto di un famoso poliziotto internazionale per smascherare un mostro. Basta, ora vi ho detto troppo. Buona ricerca.

7 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

Si chiude bottega

Cari amici vicini e lontani, dopo anni di onorata carriera, l’indonapoletano chiude baracca e burattini. L’esperienza indiana è finita, ho venduto, ahimè, l’Ambassador, ho chiuso casa, salutato gli amici cari e lasciatomi l’India alle spalle. Per dove? Se fate una ricerca nel blog lo scoprite. No, non lo dico apertamente perchè nel posto dove sto andando, anzi dove sono già arrivato, non apprezzano molto alcune mie idee, per cui me le devo tenere per me e fare finta di niente. Qui il Grande Fratello è forte e potente, così devo stare attento. Ma non vi lascio soli. Ho aperto un altro blog (che non è ancora attivo, vi informerò quando lo sarà), sempre con wordpress. Il titolo? Lo scoprirete, non è difficile, ha a che fare con quello di quetso blog. E se proprio non ci arrivate, bhe, inviatemi una mail e vi rispondo. Il blog Indonapoletano comunque non chiude. Non posso assicurare che lo aggiornerò quotidianamente come facevo prima, ma restareà in piedi l’archivio. Inoltre risponderò alle mail e ai messaggi di coloro che avranno la cortesia di scrivermi.
Vi lascio con un gioco: le cose “più” e “meno” dell’India rispetto alla mia esperienza. Un elenco che vi invito a completare e commentare con la vostra esperienza, con le vostre domande e suggerimenti.

La cosa più bella: gli occhi della gente, soprattutto dei bambini.
La cosa più brutta: la sofferenza, le malattie, il dolore.
Il cibo più buono: i dosa.
Il cibo meno buono: gulab jammun.
Il posto più bello: Sanchi, Jaisalmer, Kajhuraho.
Il posto più brutto: Agra (intesa come città).
La più grossa delusione avuta: l’assenza di spiritualità.
La più bella scoperta: alcuni italiani e alcuni indiani.
L’incontro più bello: Dalai Lama e Sonia Gandhi.
Il meno significante: politici indiani.
Il momento più toccante: l’accoglienza negli ospedali di Kallol Gosh per bambini handicappati e per quelli malati di Aids, con Anna Chiara che giocava con loro.
Il meno toccante: alcune attività pseudoreligiose.
Il luogo più santo: Sanchi, Tempio d’Oro di Amristar, la casa di Madre Teresa.
Il più congestionato: il tempio di Kali a Calcutta.
Il luogo più esaltante: il Nepal.
Il luogo più deludente: Goa (per il mare).
Le persone che mi mancheranno di più: padre Dino, gli amici italiani e alcuni indiani, soprattutto quelli di LPTI
Quelle che mi mancheranno di meno: i vicini e i venditori che la domenica mattina venivano a bussare alla porta.
La cosa che mi mancherà di più: la mia Ambassador.
Quella che mi mancherà di meno: il caldo soprattutto quando manca la corrente e non si possono accendere i condizionatori.
Il momento più bello: l’arrivo e la partenza.
Il momento più brutto: l’arrivo e la partenza.
Cosa rimpiangerò dell’India: di non esserla riuscita a vedere tutta.
Cosa non rimpiangerò dell’India: la burocrazia, le code, certa mentalità ottusa degli indiani.
La bibita più buona: il latte di cocco bevuto nella noce fresca a Mumbai e nel sud.
La bibita meno buona: i litri di superalcolici che bevono gli indiani.
Il cibo di strada più buono mangiato: un panino sulla strada verso il tempio d’oro, preparato su un improbabile carrettino.
La bibita “di strada” più buona: un chai offertomi da alcuni cammellieri al Pushkar Camel Fair.
La gita più affascinante: tre giorni con un amico in un villaggio, vivendo all’indiana rurale.
La meno affascinante:il terzo giorno di questa gita, quando non ne potevamo più di lavarci con un secchio, dormire su una stuoia, fare i nostri bisogni vicino ad un albero.
La pizza migliore: a Calcutta (o a Kathmandu) da Fire and Ice.
La peggiore: Pizza Hut (un po’ meglio è pizza domino, ancora meglio Raffaele Slice of Italy)
Il negozio preferito: l’elettricista di South Modhi Bagh
Quello più odiato: Airtel
La più grossa bufala sull’India: che l’India è la più grande democrazia del mondo.
Il sentimento che manca: la tolleranza

10 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

Gli auguri Indonapoletani

“Mo vene Natale, nun teng renare, mu fum na pipa e me vac a cuccà”

E’ Natale per tutti. Quest’anno, non è che mi interessi proprio molto, ma the show must go on. E così, visto che l’Indonapoletano ha due anime, quella napoletana e quella indiana, vi faccio gli auguri in un duplice modo, con una meditazione finale.

Il Natale Napoletano

Non potevo esimermi, come già fatto in passato, dal segnalarvi, dal sito dell’ottimo Luciano Pignataro, del quale posso con orgoglio definirmi amico, un interessante suggerimento di Raffaele Bracale sul cenone di Natale. Per i non addetti ai lavori, per noi il cenone è quello che si fa il 24 sera, attendendo che arrivi la mezzanotte per andare in Chiesa. So che molti pranzano soltanto il 25. Noi no, non ci facciamo mancare nulla. Di seguito, i consigli culinari per un autentico Natale napoletano.

A mezzogiorno:
Pizza di Scarole

IL CENONE

Antipasto:
Polipo all’insalata

Vermicelli a vongole

Spigola all’acqua pazza oppure cefalo in bianco o in alternativa frittura di gamberi e calamari.

Baccalà fritto oppure zeppole di baccalà

Broccoli baresi lessati all’agro

Capitone fritto o in umido

Insalata di rinforzo

Frutta fresca: mele – uva – mandarini- melone di pane

Scioccéle (cioè frutta secca): noci, mandorle, nocciole,fichi,datteri etc

Dolci natalizi: struffoli/stringhette, raffiuoli semplici e a cassata, susamielle, mostacciuoli, roccocò, pasta reale, sapienze, divino amore etc.

Rosolî e liquori dolci, spumante secco

Vini: secchi e profumati bianchi campani (Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.

Il Natale Indiano

Un divertente video pescato su Youtube.

Meditazione

Fr. Thomas Merton, OCSO

Infine, una meditazione di uno dei maestri spirituali che hanno segnato la mia vita, Thomas Merton.

“La maggior parte di noi, nonostante disagi e problemi vari, sta molto meglio di come crede di stare. Ma il cuore dell’uomo può essere oppresso dal dolore anche quando esteriormente “va tutto bene”: ed è un fatto sempre più difficile da comprendere, tanto siamo abituati a pensare che ci sia sempre una spiegazione per tutto. La maggior parte di quello che accade dentro il nostro cuore non ha una spiegazione, e ci sono cose di cui non riusciamo a farci una ragione. Il ricorso a tecniche di rilassamento mentale, spesso proposte anche dalle religioni, non è di nessuna utilità. La Fede deve essere qualcosa di più profondo, radicato nel nostro inconscio, e nell’abisso oscuro che è il fondo del nostro essere. Non serve a niente continuare a frugare nel buio, nella speranza di veder apparire qualche risposta. Ma se impariamo ad esercitare la virtù della pazienza interiore, vedremo che i problemi si risolvono spontaneamente, o se preferite vengono risolti da Dio, e non vi aspettate di capire in che modo. C’è soltanto da imparare ad aspettare, e fare quanto è nella nostra possibilità per aiutare il prossimo. Spesso aiutando qualcuno troviamo la forza di sopportare meglio le nostre pene.”
Thomas Merton. The Road to Joy, Robert E. Daggy, editor (New York: Farrar, Straus & Giroux, 1989): 94.

3 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

US Airways? non volateci, cercate un’altra compagnia

Questo post lo avrebbe dovuto scrivere Tuttoqua dall’alto della sua conoscenza del settore. Mi limito a raccontare la mia esperienza, perchè questa cosa m ha fatto apprezzare molto il servizio che ricevo dalle compagnie aeree europee. Dunque, veniamo al fatto. Ieri mattina sono andato in aeroporto a Las Vegas perchè dovevo partire per Philadelphia. Purtroppo, a causa della peggiore bufera di neve degli ultimi dieci anni, l’aeroporto di Philadelphia avrebbe chiuso di li a poco e il nostro volo cancellato. Poco male: riesco a farmi cambiare il volo con destinazione Newark via Phoenix. Per stare leggeri, ma soprattutto per avere la possibilità di comprare qualcosa qui, viaggiamo con un solo bagaglio tre di noi. Dovendo rimanere oltre 20 giorni, la valigia pesa un po’ di più: 23 chili invece che 20. Ma è una sola rispetto alle tre che dovremmo portare, quindi 23 chili invece dei 60 che ci toccherebbero. Arrivati al check in la sopresa: per i 3 chili in più ci chiedon di pagare 75 dollari. Motivo: l’impiegato che alza la valigia, poichè è pesante, potrebbe farsi male alla schienza. E quindi io devo pagare le sue cure. Brutto pezzo di m…a che non sei altro, io te la spezzo la schiena. Ma vaffa….o tu e tutta la US Airways. Per tre chili ti spezzi la schiena? Vai ad alzare le pietre o, come si dice dalle mie parti, Va a ‘ncasà (o spezzà) i vasoli (Mimmo, traduci pls). Morale? Abbiamo dovuto comprare un borsone per metterci 3 chili di vestiti. Io posso capire che uno debba pagare se il bagaglio supera il peso stabilito, ma noi eravamo sotto di 37 chili. Che fa, mi date i soldi indietro? Dopotutto vi faccio consumare meno carburante. E invece no, neanche un po’ di tolleranza, ci chiedono di pagare. Il borsone, poi, lo abbiamo dovuto portare a mano. Già, perchè nonostante US Airways non fosse una low cost, si paga 25 dollari per ogni bagaglio che imbarchi su tratte interne. Anche se il nostro biglietto è internazionale e prevede solo uno stop over su Philadelphia, dobbiamo pagare i 25 dollari. All’andata non li pagammo perchè non facemmo stop over, ma dovemmo, per ragioni di sicurezza, riprendere il bagaglio al nastro e poi reimmetterlo dopo la dogana. Sempre per la politica della spremitura del viaggiatore, i pasti a bordo si pagano. 5 ore di volo su una compagnia non a basso costo e l’unica cosa gratuita che ti danno è un bicchiere d’acqua o di bibita. Il resto lo devi pagare. La cosa non vale per la tratta intercontinentale. Qui paghi se vuoi vedere i film o ascoltare la musica: 7 dollari per le cuffie. Avevo già volato con US Airways, ma non avevo mai avuto di questi problemi. Eppure risulta essere una delle compagnie con più passeggeri, una delle più forti. Credo che non mi vedranno più. E, spero, neanche a voi. E per gli amanti della bellezza: le hostess sono tutte più anziane di mia nonna.

5 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

La pizza napoletana: i sei tipi classici e tutto quello che volete sapere

Sempre sulla pizza, un interessante articolo di Raffaele Bracale, pubblicato dall’ottimo Luciano Pignataro, sui diversi tipi di pizza

Questa volta – a rischio d’esser considerato un iconoclasta ed un incompetente – inizio affermando (senza tema di smentita!) innanzitutto che la cosiddetta pizza margherita fu copiata, non ideata nel 1889 dal pizzaiolo napoletano (ma, a mio avviso, indegno d’esser considerato tale) Raffaele Esposito, attivo presso la pizzeria Brandi (alla salita Sant’Anna di Palazzo) che la dedicò alla regina Margherita di Savoia dandole il nome di “pizza Margherita”. Pizza che tradendo il vecchio vessillo napoletano borbonico bianco con i gigli di francia rappresentava, nell’intento del pizzaiolo, la nuova bandiera tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomidoro ed il verde del basilico.L’incolto Esposito, probabilmente a digiuno di storia patria, con l’omaggio fatto ai sovrani discendenti dell’usurpatore Vittorio Emanuele IISavoia-Carignano, fece sí una splendida operazione commerciale (la pizza margherita sarebbe diventata famosissima nel mondo), ma oltre che macchiarsi di tradimento nei confronti dei vecchi regnanti Borbone, fece un’offesa gravissima nei confronti della tradizione partenopea, tradizione che voleva quali autentiche pizze napoletane le seguenti:

pizza marinara, pizza ‘nzogna e pummarole, pizza cu ‘cicenielle,pizza alla mastunnicola e, cazone ‘mbuttunato.

E l’Esposito non fu neppure originalissimo (perciò ò parlato di copia…); già nel 1830, un non meglio identificato Riccio (di lui mancano precise notizie biografiche) nel libro Napoli, contorni e dintorni, aveva scritto di una pizza (quantunque poco usata) con pomodoro, mozzarella (disposta, peraltro sul disco di pasta già condita con il pomodoro, in maniera sagomata tale da da formare i petali di una margherita) e basilico, pizza che comunque esulava da riferimenti storici e/o politici e la margherita non era dunque il nome della consorte del re, quanto semplicemente quello del nome del fiore; dunque l’ Esposito fece una indegna furbata appropriandosi di qualcosa di dominio comune…

Cominciamo a soffermarci sul sostantivo pizza;

Pizza s.vo f.le
1 (gastr.) focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità in origine tipicamente napoletana, ma oggi diffusa ovunque: pizza margherita, marinara, quattro stagioni.
2 nel linguaggio cinematografico, la scatola piatta e circolare in cui si custodisce un rotolo di pellicola; per estens., la pellicola stessa
3 (fam. fig.) persona o cosa estremamente noiosa.

Quanto all’etimo della voce pizza qualcuno ipotizza ch’esso sia da collegarsi alla voce pita voce mediterranea e balcanica, di origine greca; secondo questa ipotesi la parola deriverebbe dall’ebraico פִּתָּה o פיתה, dall’arabo كماج o dal greco πίτα, da cui anche pita che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce; qualche altro ipotizza una derivazione dal longob. bizzo ‘morso, focaccia’, ma io reputo piú esatta e logica una derivazione dal latino pinsam (placentam)=focaccia schiacciata dal verbo pinsere=pigiare, schiacciare con ns→nz→zz per assimilazione regressiva)

A margine rammento che della pizza napoletana (sia pure in senso generico, come il piú usuale cibo popolare partenopeo) le prime notizie vengono fatte risalire al periodo che va dal 1715 al 1725. ad opera di un tal Vincenzo Corrado (Oria, 29 marzo1738 – Napoli, 4 novembre1836)celebre cuoco e letteratoitaliano. che alla metà del ‘700 scrisse un pregevole trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli,trattato in cui osservò come fosse costume del popolo condire la pizza ed i maccheroni con del pomodoro. In un certo senso quelle osservazioni del Corrado costituiscon quasi la data di nascita della pizza napoletana, un sottile disco di pasta condito dapprima con strutto pomodoro e formaggio e successivamente con altri ingredienti tra i quali l’olio d’oliva che sostituí lo strutto. Le prime pizzerie comparvero a Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX secolo esse furono un fenomeno esclusivo di quella città. A partire dalla seconda metà del ‘900 le pizzerie si sono diffuse ovunque nel mondo, sempre con il termine di pizza napoletana,termine spesso palesemente usurpato. Rammenterò che la pizza, quale uno dei consueti asciolvere popolari si conquistò un posto persino nella smorfia (cfr. alibi), dove è considerato sotto il numero 24 ed anche con moltissimi altri numeri, secondo come sia variamente condita, per cui si à: p. napoletana – 2,p.dolce -36, p. rustica – 37, p. con sugna e formaggio – 61, p. con alici fresche – 62, p. pomidoro e mozzarella – 53.

Torniamo ad illustrare i varii tipi di autentiche pizze napoletane:

1) pizza alla mastunnicola (pizza alla mastro Nicola) è questa la originaria prima pizza napoletana,ideata da un non meglio identificato mastro Nicola che conduceva una piccola taverna con cucina casareccia nei dintorni della centrale Rua Catalana dove aprivono bottega numerosissimi artieri ed artigiani che si rifocillavano quotidianamente in quella piccola taverna; tale originaria prima pizza napoletana con la variazione successiva (cfr. n° 2) diede il la a tutte le altre;si tratta di una semplicissima pizza per la cui pasta vedi al successivo n° 2 sub A, condita con dello strutto di maiale, con abbondante formaggio pecorino, guarnita con del basilico e cotta in forno.

2) pizza pomidoro, sugna e formaggio; si tratta della variazione apportata forse dalla stesso mastro Nicola alla originaria prima pizza napoletana, variazione che diede il la a tutte le altre;

A) l’autentica ricetta originaria prevede che per ogni litro di acqua necessitino 50 grammi di sale, 5 grammi di lievito e 1,8 kg di farina. È codificato altresí che la farina debba essere aggiunta gradualmente e lentamente (non meno di dieci minuti) e che l’impasto vada lavorato per venti minuti fino a che non raggiunga il cosiddetto punto di pasta, cioè fino a quando l’impasto non risulti gonfio e liscio, molto estensibile e poco elastico.Ancóra è codificato che lo impasto vada lasciato a riposare su di un piano di marmo o in una madia di legno per quattro ore coperto da un panno inumidito per evitare che la superficie indurisca. Trascorse le quattro ore l’impasto va poi suddiviso in pezzi (palle) sfere di circa 180-200 gr. Da ogni singola sfera si ricaverà una pizza che si deve stendere, senza l’ausilio di matterello, soltano con abili movimenti delle mani, pigliandola e stendendola su un piano di marmo coperto di fior di farina fino a che lo spessore diventa pari a circa 0,3 cm nella parte centrale e pari ad 1 cm per il bordo (cornicione).

B)A questo punto si può procedere ad aggiungere i condimenti sui dischi (di circa 15 – 20 cm. di diametro cadauno) di pasta approntati l’uno accanto all’altro sul piano di marmo; i condimenti per la pizza a margine sono pochi e semplici; su ogni pizza viene distribuito, per tutta la superficie, un cucchiaio e mezzo di sugna indi con uguale procedimento si aggiungono due cucchiai di pomidoro passato, infine si sala ad libitum e si aggiunge un cucchiaio e mezzo di formaggio (in origine pecorino, oggi anche grana) grattugiato distribuito accuratamente per quanto è ampia la pizza.

C) Cosí condita la pizza è pronta per la cottura che va fatta in un forno con brace di legna con una base di mattoni refrattari ed una cupola anch’essa in materiale refrattario ad una temperatura di 460 – 490 gradi e va sollevata brevemente e di tanto in tanto ricevendo il calore in modo uniforme. A fine cottura il bordo esterno (cornicione) che sarà stato leggermente pizzicato prima che s’inforni la pizza risulterà regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature, di colore dorato e dal profumo caratteristico del pane. La parte centrale sarà invece morbida.

3) pizza â marenara

Pizza marinara, foto Andrea Scala

Si tratta quasi di una naturale evoluzione della pizza precedente della quale conserva la medesima procedura su A) e C); cambia invece la parte sub B quella relativa al condimento che nella pizza â marenara (pizza alla maniera dei marinai) è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, origano secco e sale. La pizza a marigine deve il suo nome al fatto che dismessa l’sanza di condire le pizze con sugna pomidoro e formaggio invalse quella (dapprima tra i marinai (donde il nome â marenenara) del mandracchio (vedi ultra) e poi tra altri artieri) di mangiare una pizza cotta al forno e condita con olio, pomidoro, aglio, sale ed origano; in sèguito essendo diventato questo, per ogni pizzaiolo il piú comune modo di condire la pizza, questo tipo di sugo usato per condire altri alimenti (pasta, carne e pesce fu detto alla pizzaiola ( cioè alla maniera dei pizzaioli), mentre per la pizza si mantenne il nome di â marenenara in quanto sarebbe stato del tutto tautologico parlare di una pizza alla pizzaiuola! Altra scuola di pensiero ritiene che il nome â marenenara derivi dal fatto deriva dal fatto che gli ingredienti, facilmente conservabili, potevano essere portati dai marinai per preparare pizze nel corso dei loro lunghi viaggi.La cosa però non è dimostrata, né probabilmente vera e/o accettabile in quanto tra il finire del ‘700 ed i principi dell’ ‘800 una delle malattie maggiormente diffuse tra i marinai fu proprio lo scorbuto malattia dovuta a carenza di vitamina C quella contenuta in parecchi vegetali, quasi mai presenti tra le scorte di cibo dei marinai (ed i pomidoro son dei vegetali!…) ,malattia che si manifesta con dimagramento, ulcerazioni ed emorragie delle gengive e degli organi interni. Son perciò convinto che il termine â marenenara sia da collegarsi a quei marinai adusi a frequentare le taverne e/o bettole nella zona del mandracchio taverne e/o bettole dove si facevano preparare delle pizze condite con olio, pomidoro, aglio, sale ed origano;Il mandracchio non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da marinai, facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto.

Le successive classiche pizze napoletane son quasi tutte una evoluzione della pizza â marenenara.Abbiamo:

4) pizza cu ‘alice ;

5) pizza cu ‘e cicenielle

Si tratta per ambedue di due pizze che della pizza sub 1)(pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio) conservano i punti A) e C) cambiano invece le parti sub B quelle relative al condimento che nella pizza cu ‘alice è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, piccole alici fresche decapitate e diliscate, sale e pepe;il condimento della pizza cu ‘e cicenielle è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato finemente, ed un paio di cucchiaiate di bianchetti freschissimi, sale e pepe.

6) pizza ‘e quatte manere

nota anche come pizza quattro stagioni ma si tratta di un’apposizione inesatta in quanto nel pretto napoletano con la voce staggiona/e si indica segnatamente l’estate e non ciascuno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l’anno solare (primavera, estate, autunno, inverno); nella fattispecie l’antica napoletanissima pizza ‘e quatte manere si è imbolsita nel nome ed oggi è détta sconciamente pizza quattro stagioni quasi che i componenti di cui è guarnita quali condimenti fossero reperibili ognuno in una determinata stagione, laddove invece sono sempre reperibili nel corso dell’anno; si tratta di una pizza pur’essa partita dalla pizza sub 1)(pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio) di cui conserva i punti A) e C) cambia invece la parte sub B quella relativa al condimento; innanzi tutto è da ricordare che sull’originario disco di pasta della pizza cardine, vegono aggiunti due bastoncelli di pasta posti ortogonalmente a croce lungo due diametri del disco fino a determinare quattro comparti che vengon conditi tutti con sugo di pomidoro,olio, sale ed, ciscuno in modo diverso: a)funghetti sott’olio, b) cubetti di salame, c) cubetti di mozzarella di bufala, formaggio e basilico, d)aglio vecchio tritato ed origano.

Non esistono altri tipi di pizza autenticamente napoletane; qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei or ora esaminate (ad es. pizza capricciosa (con pomidoro, mozzarella, grana grattugiato, basilico, funghi, carciofini, prosciutto cotto, olive nere, olio, uova sode ed acciughe)oppure pizza quattro formaggi: pomodoro (facoltativo), mozzarella, altri formaggi a discrezione, basilico) oppure ancóra stranezze del tipo pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e mais, da molti chiamata mimosa, o la pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e funghi, detta anche dello chef. qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei or ora esaminate, dicevo, usurpa il nome di pizza napoletana, come non esito ad affermare che anche la pizza margherita (non quella originaria, ma quella ideata dall’Esposito della pizzera Brandi…) usurpa il nome di pizza napoletana trattandosi di una focaccia, pur se nata a Napoli, dedicata ad una regina di casa Savoia quella casa che invase ed usurpò per il tramite del masnadiero Garibaldi Giuseppe,della Massoneria inglese e di una manica di generali traditori il libero, indipendente e sovrano Reame di Napoli!E trattandosi di una pizza dedicata alla rappresentante d’una famiglia usurpatrice,è da ritenersi – a mio parere e per la proprietà transitiva – essa stessa usurpatrice, come del resto ò già dimostrato quando ò illustrato la pizza, antecedente a quella del Brandi, che aveva una guarnizione di mozzarella posta a mo’ dei petali di una margherita !

Esistono infine tre tipi di pizze di cui le prime due autenticamente napoletane, mentre la terza è in uso in provincia: queste tre pizze di cui ora dico non derivano dalla pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio; si tratta per le prime due di gustosi ripieni di cui uno détto cazone (= calzone) è un ripieno farcito con ricotta di pecora,pomidoro, mozzarella, formaggio e pepe cotto al forno come tutte le pizze fin qui viste, mentre il secondo ripieno è détto pizza cicule e ricotta essendo appunto un ripieno farcito con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale e fritto in olio bollente e profondo;la pasta di partenza per il calzone è il consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna e formaggio) su détto disco lungo l’ideale linea di un diametro vengono distributi nell’ordine la ricotta, i dadi di mozzarella, il sugo di pomidoro,il formaggio grattugiato ed il pepe, indi il calzone viene rinchiuso facendo combaciare i lembi del disco in modo che la farcitura resti serrata nella pasta; sul calzone cosí confezionato viene distribuita un’altra cucchiaiata di sugo di pomidoro ed infine si inforna ale consuete temperature e per i consueti tempi; diversa la procedura per la pizza cicule e ricotta che essendo un ripieno farcito appunto con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale da friggere in olio bollente e profondo, può ricavare la pasta da farcire non dal consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna e formaggio), ma da un fazzoletto quadrato della medesima pasta (quantunque piú assottigliata( cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza) quadrato di circa 10 -12 cm. di lato, quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale distribuiti lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e sigillato per pressione in forma di triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e profondo.Il terzo ripieno di cui dicevo che è in uso non in Napoli città, ma nella sua provincia è un ripieno che prende il nome di caniscione che è la corruzione popolaresca di un originale cannicchione = golosone (e per metonimia golosità); e di golosità si tratta in quanto il cannicchione/caniscione è un pletorico fazzoletto quadrato di pasta di pane (quantunque piú assottigliata( cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza) di circa 13 -15 cm. di lato, quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora,provola affumicata, formaggio pecorino grattugiato, pepe, ciccioli di maiale, salame e spicchietti di uova sode, il tutto distribuito lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e sigillato per pressione in forma di triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e profondo.

In coda a tutto quanto fin qui détto e prima di segnalare alcune tipiche espressioni partenopee che dalla pizza prendono il la, esamino alcune voci incontrate in questo excursus; di pizza, marenara e mandracchio ò già détto antea; andiamo oltre e troviamo

pummarola s.vo f.le = pomodoro 1 pianta erbacea annuale con foglie composte imparipennate, fiori gialli piccoli in grappoli e frutto a bacca (fam. Solanacee)
2 il frutto rosso, carnoso e commestibile di tale pianta, usato come vivanda e come condimento; la voce napoletana deriva da pomo d’oro con la variazione di po→pu in quanto vocale atona, raddoppiamento espressivo della emme intervocalica, alternanza osco-mediterranea d/r ed infine dissimilazione r – r →r-l e cambio di genere per cui si è avuto pomo d’oro→pummod’oro→pummororo→pummarola;

mozzarella s.f.
1 formaggio fresco di origine campana e bassolaziale, a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala
2 (fig.) persona estremamente fiacca.

Ci troviamo a parlare di una voce nata in Campania e poi adottata nel basso Lazio ed infine trasmigrata nel lessico nazionale; per il vero la voce mozzarella dovrebbe essere d’uso esclusivo di Campania e basso Lazio in quanto è in tali regioni e non in altre che viene prodotta l’autentica, vera mozzarella formaggio fresco a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala; formaggi simili prodotti in altre regioni con latte vaccino usurpano il nome di mozzarella di cui copiano i sistemi di lavorazione ,ma non l’ingrediente di base: il latte intero di bufala, di modo che tuttalpiú possono chiamarsi fiordilatte= (formaggio fresco di pasta filata, molle e cruda, prodotto con latte di vacca) ma non mozzarella che etimologicamente è un deverbale di mozzare = troncare in un sol colpo una parte da un tutto, come avviene nel caso appunto delle mozzarelle che in pezzi di circa 3 etti cadauno vengono troncati (un tempo a mano, oggi anche con l’ausilio di mezzi meccanici),mediante torsione e strappo (mozzatura) da un filone di pasta filata , filone ricavato dalla lavorazione artigianale, con procedure trasmesse di padre in figlio, del latte intero di bufala.

recotta s.vo f.le = ricotta latticino molle e bianco, che si ottiene facendo bollire il siero di latte rimasto dopo la lavorazione del formaggio | è un uomo di ricotta, (fig.) debole, senza carattere | aver le mani di ricotta, (fig.) lasciar cadere frequentemente le cose che si hanno in mano | avere le gambe di ricotta, (fig.) deboli, che non reggono. Voce deverbale di recocere (cuocere due volte) di cui è part. pass. f.le

‘nzogna s.vo f.le = sugna, struttopreciso súbito che la voce napoletana a margine che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.

Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis ‘asse’ e ungere ‘ungere’; propr. ‘grasso con cui si spalma l’assale del carro’; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso.

Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.

cicule s.vom.le pl. di ciculo =ciccioli di maiale, avanzi appunto dei pezzetti del grasso di majale, dopo cavatone lo strutto o sugna; dal latino:(ins)cic(i)olu(m) Va da sé che i ciculi piú gustosi siano quelli residui del napoletano lardiciello che è il grasso di gola del maiale (altrove détto anche guanciale) formato da due strati di grasso inframmezzato da uno strato di carne) e non della ‘nzogna ‘mpane(alto stato di solo grasso ricavato dalla pancia della bestia )Rammento qui che con la medesima voce: cicoli o ciccioli in salumeria o, ma meno spesso, in macelleria si vendono dei gustosissimi prodotti industriali che provengono non dai residui della liquefazione di cubi di sugna, ma dalla cottura a vapore di carni, grasso e cotenna provenienti in massima parte dal collo del maiale, opportunamente salati e pepati. Al termine della cottura a vapore il tutto viene opportunamente pressato in forme metalliche fino ad ottenere dei grossi pani cilindrici piú larghi ( circa 50 cm.) che alti(circa 15 cm) , che raffreddati vengono venduti a taglio ed a peso nelle salumerie al banco dei salumi cui sono, sia pure impropriamente apparentati; la sugna che comunque si ricava da questa spremitura di carni, grasso e cotenne viene venduta ugualmente come condimento sia pure di seconda scelta. Ancóra in tema di sugna ricorderò che un tempo chi non provvedesse a prepararla in casa liquefacendo i pannicoli di ‘nzogna ‘mpane e/o lardiciello poteva acquistarla dal proprio macellaio di fiducia che sostituendosi alla massaia provvedeva alla bisogna e metteva in vendita la sugna approntata in consistenza di pomata conservata non in vasetto, ma nelle vesciche di maiale: ‘a vessica (dal lat. vesica(m)) ‘e ‘nzogna.che poteva essere acquistata per intera o piú spesso a peso.E qui giunti posso rammentare alcune espressioni tipiche che prendono il via dalla pizza in epigrafe:

– Chijarsela a libbretta.

– Letteralmente:piegarsela a mo’ di libretto.

È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non si possa farlo comodamente seduti al tavolo e si sia costretti a farlo in piedi.In tal caso si procede alla piegatura in quattro parti della pizza ed il disco prima piegato in due e poi ancóra ripiegato nel verso opposto assume quasi la forma di un piccolo libro di alcuni (quattro) fogli e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento che trattenuto nella ripiegatura, difficilmente deborda . Id est: obtorto collo,far di necessità virtú, sopportare, far buon viso a cattivo gioco.

E giunto qui faccio punto, scusandomi con qualcuno che si fosse sentito offeso dalle mie esternazioni anti-risorgimentali: ma al cuore non si comanda ed il mio pulsa per i Borbone e la sola vista d’un Savoia (ramo Carignano) mi mette l’orticaria addosso!

4 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano

E’ ufficiale: la pizza ha avuto il riconoscimento del marchio europeo

Può un Indonapoletano doc passare su una notizia del genere? certamente no. E allora ecco il comunicato stampa dell’associazione pizzaioli napoletani che gioiscono per il fatto che Bruxelles ha concesso alla vera pizza napoletana, fatta secondo le tradizioni e questo disciplinare, il marchio STG, Specialità Tradizionale Garantita

Bruxelles ore 13,00 di mercoledì 9 dicembre 2009, una data da ricordare: è ufficiale, la pizza napoletana è un marchio STG!
Finalmente un Marchio Europeo per la pizza napoletana!! Tutti esultano all’annuncio del Ministro Zaia per la delibera della commissione europea, che dopo ben otto anni di iter burocratico e opposizioni di grandi gruppi d’interesse avviene oggi, mercoledì 9 dicembre 2009: una grande soddisfazione per tutto il mondo della pizza napoletana e per quei professionisti ‘pizzaiouli’ che io amo definire Chef pizzaioli, dato che non hanno nulla da invidiare ai più grandi chef di Cucina.
Un grazie va a tutta la categoria dei pizzaiuoli che dal 1750 tramandano di padre in figlio questa grande arte. Le due associazioni, la nostra AVPN con il nostro Presidente Antonio Pace e l’associazione pizzaioli napoletani con Il Presidente Sergio Miccù hanno fatto un grande lavoro fin qui: eppure secondo me il riconoscimento STG è solo l’inizio di un percorso di valorizzazione e riscoperta della pizza napoletana e dei suoi Chef pizzaiuoli e per questo, dopo i grandi festeggiamenti e il solito gruppo di persone estranee che saliranno, si arrampicheranno sul carro dei vincitori, le due associazioni (Verace pizza napoletana e Pizzaiuoli napoletani) che hanno combattuto e presentato questo disciplinare che oggi ottiene il ‘via libera’ dall’Europa dovranno fare un grande sforzo per favorire la crescita di un settore troppe volte associato a stereotipi e folklore, che fanno tradizione, ma che talvolta risultano vecchi e stantii e contribuiscono a non far eveolvere il settore. E’ vero che la pizza napoletana è la regina dei cibi poveri, ma è altresì vero che ciò non dovrebbe in alcun modo impedire l’evoluzione della figura dello Chef pizzaiuolo, dopo che si è assistito, soprattutto negli ultimi 10 anni all’evoluzione del concetto di pizzeria napoletana nel mondo. Occorre investire forze ed energie, le stesse profuse per ‘spingere’ l’approvazione del marchio STG per la formazione professionale di nuove leve di Chef pizzaiuoli che siano grandi professionisti come i Maestri pizzaiuoli, ma che sappiano anche descrivere, riconoscere, utilizzare prodotti di qualità del nostro territorio nei modi e nei tempi giusti. Solo in questo modo si riuscirà a creare quelle necessarie sinergie tra mondo della pizza napoletana e filiera dei produttori. Questo secondo me è il grande obiettivo del consorzio di Tutela della pizza napoletana STG che nascerà a breve e che dovrà anche vigilare sul rispetto delle regole per acquisire il marchio. Intanto godiamoci i festeggiamenti…. Buon STG a tutti.
Il Vice-Presidente AVPN
Dott. Massimo DI Porzio

1 Commento

Archiviato in Diario indonapoletano

Consigli di viaggio

Cari amici, per chi ha intenzione di andare in India facendo un viaggio particolare, consiglio il tour guidato dal mio caro amico Marco Restelli, giornalista e indologo. Sul suo blog Milleorienti, il programma del viaggio, che vi porterà ad Aprile 2010 nella sacra città di Haridwar, durante il Kumbha Mela, la più grande festa religiosa induista, con milioni di santoni che si bagnano nel Gange.

9 commenti

Archiviato in Diario indonapoletano