Archivi tag: angela merkel

Ma il muro, è caduto?

bl_wall

Sono stato per un mese da fine luglio a fine agosto a Berlino. Una piacevole scoperta, una bellissima città, anche se ho potuto visitarla, essendo impegnato per lavoro, solo tre ore in una mattina alla fine di agosto. Mi riprometto di tornarci, le poche cose che ho visto, anche la sera quando uscivo per la cena, mi hanno lasciato un’ottima impressione della città. Quello che sono riuscito a fare è stato parlare molto con i locali. Grazie agli amici afteriani, ero lì per i campionati mondiali di atletica e mi sono intrattenuto spesso con i volontari, tutti tedeschi, molti berlinesi. E li ho avuto impressione che la caduta del muro ha avuto una valenza più per noi che per loro. I giovani, quelli che non hanno vissuto quei momenti, se ne fregavano quasi, è stata una cosa come un’altra, un evento importante ma del quale hanno solo sentito parlare. Gli adulti invece erano divisi in due: quelli dell’est parevano contenti della riunificazione, quelli dell’ovest non così tanto. I contenti dell’est erano soprattutto quelli di Berlino, quelli che invece vivevano nelle altre città dell’ex DDR l’hanno vissuto, almeno quelli che ho incontrato io, con piacere, ma in maniera non così esaltante. Una signora di Berlino ovest, ad esempio, continuava a chiamare “loro” quelli di Berlino est. Mi ha detto, in perfetto italiano, quindi non posso non aver capito bene (certo, se lo avesse detto in napoletano sarebbe stato meglio), che quelli dell’ovest non si relazionano con quelli dell’est. “Sai – mi ha detto – una mia mica addirittura convive con uno dell’est. Io non potrei mai”. Una frase che ho sentito da più di una persona. Quelli dell’ovest, soprattutto, sono incazzati per gli aiuti piovuti all’est, per il deprezzamento del marco rispetto alla moneta dell’est. Si considerano comunque due germanie. Aveva ragione la Merkel a dire che la riunificazione succeduta alla caduta del muro non è stata completata. Verissimo. Io spero solo che la caduta di quel muro, evento sensazionale e commovente (anche girando per quei luoghi oggi si avverte una certa emozione), possa essere d’esempio e convivere ad abbattere quei muri, anche piccoli, che resistono, molti dei quali sono proprio nel sud est asiatico. Ultima notazione. Ho seguito la bella cerimonia e mi ha colpito l’assenza di Obama. Molto. Ad un evento del genere, di portata così storica, non si doveva mancare. Dopotutto si sapeva che c’era. Certo, forse ce ne sarà un altro fra 10 anni, auguro ad Obama di essere ancora al potere in quei giorni. Ma stasera doveva esserci. Non doveva mancare. Tanto più che il suo programma per quel giorno non mi pare prevedesse eventi di così vitale importanza. Non a caso il web si è risentito e basta googlare “obama berlin” o “obama absence berlin” che appiano newsgroup, giornali e blog che criticano il presidente americano. L’invio del video, poi, secondo me è stato di cattivo gusto. Perchè Obama non c’è andato? Sul web ci sono tante ipotesi. Io ne sposo una sola. Durante la sua campagna elettorale, ad Obama fu vietato, dal governo tedesco, di tenere un comizio dinanzi alla porta di Brandeburgo. Dovette ripiegare in un altro luogo, dinanzi alla Siegessäule, la colonna della vittoria di Wendersiana memoria, dove fu molto applaudito. Voleva imitare Regan, che nel 1987 dinanzi alla porta di Brandeburgo disse ”Mr. Gorbacev, butti giù questo muro”, oppure JFK, che dal balcone del municipio pronunciò la famosa “Ich bin ein Berliner”, “sono un berlinese”. Certe cose non si dimenticano e qualcuno se le lega al dito.

2 commenti

Archiviato in Cazzeggi in giro per il mondo, Diario indonapoletano

Il mio Giotto

La mia prolungata assenza dei giorni scorsi non era dovuta a inerzia o a vacanze. Tutt’altro. Con i miei amici afteriani, sono stato impegnato nelle operazioni di accredito per il G8 de l’Aquila. Dopo essere stato al centro accrediti di Roma, sono stato catapultato in quello della città abruzzese. Una esperienza devastante (in senso buono), sia dal punto di vista lavorativo che umano. Ho conosciuto molta gente, tanta ne ho ritrovata, avrò dormito 4-5 ore in totale tutta la settimana.

Ero fra coloro che erano scettici sull’idea di trasferire il G8 a l’Aquila. Mi sono dovuto ricredere. Una cassa di risonanza del genere non potrà che far bene alla popolazione martoriata dal terremoto. Le testimonianze dei ragazzi che lavoravano con me nel centro accrediti, tutti scampati dal terremoto e la maggior parte dei quali che vivevano nelle tendopoli, hanno suffragato quelle che son diventate le mie convinzioni. A loro ha fatto piacere che l’Aquila sia diventato il centro del mondo, con la speranza che nessuno la dimentichi spenti i riflettori.

Il G8 è stato un successo. E non parlo di questioni politiche, le cui considerazioni e analisi finali si possono leggere sui giornali di tutto il mondo. Parlo del successo di tutto quello che il G8 ha significato. Silvio è stato anche fortunato. Il 7 ci sono state scosse di terremoto ed acquazzoni incredibili. Dall’8 all’11 niente scosse e sole che spaccava le pietre. Scosse e maltempo si sono fatti vivi dal 12.

Innanzitutto sul piano dell’immagine. La protezione civile e gli architetti della presidenza del consiglio sono riusciti a mettere su una struttura incredibilmente bella che ha saputo sapientemente mixare il dolore delle rovine nel centro de l’Aquila e potenti scenografie che hanno reso una grigia, seppur grande caserma in una struttura incredibilmente bella. Tutto però è stato sobrio, non esagerato, non kitsch.

La sala delle conferenze stampa aveva dietro ai relatori, vedute del Gran Sasso. Le montagne e i colori tenui la facevano da padrone, creando un ambiente di lavoro, per le oltre 18000 persone che abbiamo accreditato, favorevole.

Perfetta la sicurezza, buoni, anche se non eccelsi i trasporti. Qualche giornalista ha lamentato poca informazione, poca attenzione. Io mi sono lamentato del fatto che, pur facendomi un mazzo per oltre 20 ore al giorno, non fosse permesso a noi dell’0rganizzazione di mangiare nella struttura, gratuitamente come per tutti quanti. Di solito, non è così.

Il presidente è stato come suo solito populista, alla fine ha ringraziato tutti e, partiti i leader, si è fatto fotografare in una foto di gruppo insieme a molti tra quelli che hanno lavorato. I giornalisti stranieri sono rimasti contenti, così come le delegazioni.

Ho incontrato anche gli amici indiani, tra i quali il console di Roma, al quale ho potuto lagnarmi per l’accoglienza riservatami l’ultima volta che ho chiesto il visto. Mi hanno promesso che la prossima volta me ne daranno uno annuale senza fare storie. Io sono un buono, mi incazzo, ma non serbo rancore. Così, dopo avergliene dette 4 per quella storia, li ho accontentati, anche se non avevano rispettato al 100% la procedura. La cosa, ovviamente, è stata notata dai miei amici dell’ambasciata di Roma che, gentilmente, mi hanno ringraziato. E l’incidente si è chiuso li.

Meno contenti, noi rispetto alle delegazioni. Soprattutto le africane. Le regole di accreditamento prevedevano una procedura on line, alla quale hanno sottostato tutti, da Obama a quelli delle pulizie, con tutto il rispetto per il ruolo fondamentale di questi ultimi. Ma libici, nigeriani, angolani e senegalesi non hanno rispettato le procedure e così abbiamo dovuto fare tutto ex novo, inserendo nome per nome e foto per foto per emettere i badge. Tanta pazienza, molte ore di sonno perse, sia noi che i liaison officer, per lo più giovani appena entrati in diplomazia. Ecco, se posso dire, un’altra parentesi positiva sono stati questi. Dopo un paio di scazzi con alcuni di loro, si sono cementati ancora di più i rapporti e ho scoperto persone molto diverse dagli ovattati indossatori di feluche, dai presuntuosi che ho imparato a conoscere in giro per il mondo. Certo, questi sono giovani, non hanno ancora avuto modo di essere inoculati con il gene del “distanziatore”, ma i loro atteggiamenti mi fanno ben sperare.

Gentili, simpatici e disponibili. Nonostante dovessi rifare tre volte lo stesso lavoro (leggi: libici imparate a seguire le regole) lo si faceva in allegria. Nonostante fossero le quattro del mattino.

Prendi la bandiera, cambia la bandiera. Voglio quella dell’organismo internazionale che rappresento; no, ora voglio quella del mio paese. Io da celeste devo diventare blu. Io da blu devo diventare rosso. A me serve il passi dell’auto. Io ho la stampa al seguito. Io da stampa al seguito devo diventare delegato. Io da delegato devo diventare stampa al seguito. Come, non c’è il mio nome? io devo entrare altrimenti non si fa il vertice. Se non accreditate questa signora, il leader potrebbe ripensare la sua partecipazione. Questo deve entrare per forza, deve attizzare il braciere. Ma come il ministro è celeste? voi lo avete segnato così! no, non siamo stati noi, è il sito che non funziona. Ora che siamo amici posso dirti che avevi ragione tu. La mia non era una richiesta esplicita, ma un consiglio diplomatico.  Siete voi che fate i budge? Buon giorno, devo fare il budget per entrare. Posso avere un tesserino per ricordo? Vi sono avanzati i laccetti? Ma se metto un floater rosso su un badge celeste, funziona? Lei non sa chi sono io.  e via dicendo.

I ragazzi che lavoravano con me mi hanno raccontato le loro storie sul terremoto. Ma tutti erano contenti del G8. Con la speranza che resti qualcosa. Obama l’ha promesso, così come la Merkel. Intanto tutti gli alberghi nel raggio di chilometri ne hanno beneficiato, così come i ristoranti. Noi, come le aziende che hanno costruito le strutture o hanno lavorato alla realizzazione del G8, abbiamo reso tutto personale aquilano. I mobili delle stanze dei grandi, racchiusi in strutture che sono state chiamate Hotel con il nome di una regione italiana, una per ogni delegazione, sono stati già messi a disposizioni delle nuove case in costruzione. Alcuni appartamenti saranno destinati ai senzatetto.

L’attenzione, il clamore non devono finire, è l’unica cosa che possiamo fare.

4 commenti

Archiviato in Cazzeggi in giro per il mondo, Diario indonapoletano