Oggi l‘Ansa è in sciopero. E lo sarà fino a sabato. Per cui, per rispetto ai colleghi, scriverò solo titoli e poche righe, o, se dovesse succedere, come pare, qualcosa, riporterò pezzi di altri.
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Nuovo direttore all’Ansa: Luigi Contu
Il CdA dell’ANSA, riunitosi oggi, ha nominato all’unanimità Luigi Contu direttore responsabile dell’Agenzia dal 15 giugno prossimo. Il CdA ha ringraziato il direttore uscente Giampiero Gramaglia per il lavoro svolto e ha formulato i migliori auguri a Luigi Contu. Luigi Contu, nuovo direttore dell’ANSA, romano di origini sarde, 47 anni, sposato con tre figli, inizia la sua attività giornalistica negli anni ’80 nella redazione del giornale economico Ore 12. Un’esperienza importante per la sua formazione e che lo porta prima alla redazione economica dell’ANSA, dove viene assunto nel 1987 dopo due anni di collaborazione. Nel 1990 approda alla redazione politico-parlamentare. Prima si occupa di economia e finanza, seguendo il lavoro delle commissioni parlamentari e l’attività del governo sul fronte dei conti pubblici. Poi allarga il proprio campo fino alla politica. Quando Giulio Anselmi prende le redini dell’ANSA nel 1997 chiama proprio Contu a guidare la redazione politica. Sotto la direzione di Pierluigi Magnaschi, Contu viene nominato vicedirettore dell’agenzia con il compito di coordinare l’informazione politica ed i rapporti con il mondo istituzionale. In quegli anni viene eletto prima segretario e poi vicepresidente della Associazione Stampa Parlamentare. Nel 2004, dopo 18 anni all’ANSA, arriva il momento del salto dall’agenzia alla carta stampata: fa così il suo ingresso a Repubblica, il quotidiano diretto da Ezio Mauro, quale capo della redazione interni. Oggi Contu viene designato dal Consiglio di Amministrazione all’unanimità, e torna, da direttore, nell’Agenzia dove aveva iniziato giovanissimo la sua vita professionale.
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Giovane monaco tenta il suicidio bruciandosi in Tibet
Tensione alta in Tibet dopo il tentativo di suicidio con il fuoco di un giovane monaco tibetano ad Aba (Ngaba in tibetano) in una zona a popolazione tibetana della provincia cinese del Sichuan, un gesto confermato oggi anche dall’agenzia di stampa ufficiale di Pechino Nuova Cina. Secondo testimoni citati dalla Campagna Internazionale per il Tibet (ICT), un gruppo filotibetano basato negli USA, agenti di polizia avrebbero ripetutamente sparato contro il giovane monaco prima di spegnere le fiamme che lo avvolgevano. Confermando la notizia, l ‘agenzia governativa Nuova Cina ha scritto che il giovane e’ ricoverato in ospedale con ustioni “al collo e alla testa”, ma non fa menzione di ferite da arma da fuoco. Il dramma avviene mentre in tutte le zone a popolazione tibetana della Cina è in corso una silenziosa protesta che consiste nel non partecipare ai festeggiamenti per Losar, il capodanno tibetano, che in genere durano 15 giorni durante i quali si svolgono banchetti, canti e balli tradizionali. La protesta è stata indetta in segno di “rispetto” per le persone che hanno perso la vita durante le manifestazioni anticinesi che si sono svolte nel marzo dell’anno scorso in molte zone della Cina abitate da tibetani. Secondo Pechino i morti sono stati solo venti, tutti civili uccisi dai rivoltosi tibetani, mentre i tibetani in esilio sostengono che le vittime sono state circa duecento e di mille persone arrestate in quel periodo – tra marzo e maggio dell’ anno scorso – non si hanno notizie. Inoltre è vicina la delicata scadenza del 10 marzo, giorno nel quale cade l’ anniversario della rivolta del 1959 che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama, il leader spirituale tibetano che da allora è vissuto in esilio. Secondo la ricostruzione di ICT, la protesta del monaco risale a mercoledì ed è stata innescata dal divieto posto dalle autorità alla celebrazione delle preghiere di Monlam, una festa religiosa collegata a quella di Losar. Poche ore dopo la notifica del divieto Tapey, il cui corpo era già cosparso di kerosene, è stato visto nel mercato vicino al monastero e, prima che gli agenti presenti potessero intervenire, si è dato fuoco agitando una bandiera tibetana fatta a mano con al centro un ritratto del Dalai Lama. I poliziotti lo hanno circondato e si sono uditi dei colpi di pistola. In seguito le fiamme sono state spente ed il giovane è stato portato via, in un apparente stato di incoscienza. Secondo l’ emittente di tibetani in esilio Voice of Tibet, manifestazioni anticinesi e pro-Dalai Lama alle quali avrebbero preso parte centinaia di persone si sono svolte in questa settimana a Guinan (Mangra in tibetano) e ad Hainan (Tsolho in tibetano), nella provincia del Qinghai. Colloqui tra esponenti cinesi ed inviati del Dalai Lama si sono tenuti in ottobre senza che sia stato raggiunto un accordo. Pechino accusa il leader tibetano di perseguire la secessione del Tibet dalla Cina, mentre il Dalai Lama afferma di voler per il territorio quella che chiama una “vera” autonomia.
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Capodanno silenzioso in Tibet
Di seguito il pezzo dell’Ansa da Pechino.
Quest’anno i tibetani celebreranno in silenzio la festa di Losar, il capodanno, astenendosi dai canti e dai balli che di solito caratterizzano questa festa, in segno di rispetto verso le vittime della rivolta anticinese dell’anno scorso. ”La voce si e’ sparsa in tutto il Tibet e nelle altre zone a popolazione tibetana sin dallo scorso novembre”, ha confermato in una conversazione con l’ANSA la poetessa e blogger tibetana Woeser, che vive a Pechino. La protesta sara’ difficile da impedire, secondo la poetessa, perche’ la celebrazioni consistono nell’andare nei templi – a Lhasa, la capitale della Regione Autonoma del Tibet, migliaia di persone affluiscono nel tempio di Jokang -, accendere le cantare, pregare. ”Ma la gente – prosegue – si asterra’ dalle altre attivita’ normalmente associate alle festivita”’, che sono iniziate oggi e si protrarranno per quindici giorni. Woeser non fa mistero delle sue simpatie per il Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, ed e’ costantemente controllata dalla polizia, che segue regolarmente anche suo marito, lo scrittore cinese Wang Lixiong. Woeser e’ in contatto con parenti amici a Lhasa: ”Dall’ anno scorso – sostiene – non e’ cambiato niente, le strade sono controllate da centinaia di poliziotti e i militari che sono stati inviati (nei giorni della rivolta) non sono mai andati via…anche se non sempre sono in divisa”. La rivolta anticinese e’ scoppiata proprio a Lhasa, il 10 marzo del 2008, l’anniversario della rivolta del 1959 che si concluse con la fuga del Dalai Lama in India. Secondo gli esuli tibetani nel corso della rivolta, che in seguito si e’ estesa ad altre zone della Regione Autonoma e alle aree di altre province a popolazione tibetana ed e’ proseguita fino alla fine di maggio, sono morte circa 200 persone. Pechino afferma che i morti sono stati in tutto una ventina e che si tratta di civili uccisi dai rivoltosi il 14 marzo a Lhasa, quando gruppi di giovani tibetani hanno attaccato e saccheggiato negozi degli immigrati cinesi. Uno studente dell’Universita’ per le Minoranze di Pechino, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha dichiarato al giornale statunitense Los Angeles Times che gli studenti che l’anno scorso avevano chiesto l’autorizzazione a festeggiare Losar hanno rinunciato alle iniziative previste ma le autorita’ accademiche hanno detto loro che devono andare avanti con i festeggiamenti. ”Le celebrazioni sono obbligatorie”, ha sostenuto il giovane. Il portavoce del ministero degli esteri Ma Zhaoxu ha affermato oggi in una conferenza stampa che la situazione nel Tibet e’ ”normale”. ”Ora il Tibet e’ stabile e calmo, la gente ha una vita piacevole”. ”La cricca del Dalai (Lama) – ha proseguito il portavoce – sta cercando di mettere in giro voci false per sabotare la stabilita’ ma e’ destinata al fallimento”. Il Tibet e altre zone a popolazione tibetana delle province del Sichuan, Gansu e Qinghai sono di fatto chiuse dalle forze di sicurezza cinesi. L’accesso viene impedito ai giornalisti – a meno che non partecipino ad uno dei rari viaggi organizzati dal governo – e spesso anche ai gruppi turistici. La polizia cinese ha sostenuto di aver trovato ”una grande quantita’ di esplosivo” sotto ad un ponte nella prefettura di Chamdo, nel Tibet orientale ma non ne ha indicato l’origine. Due settimane fa, secondo gruppi tibetani in esilio, una ventina di tibetani sono stati arrestati a Lithang, nel Sichuan, dopo una manifestazione innescata da un monaco che ha innalzato un cartello con la scritta ”No alle celebrazioni di Losar”.
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Sull’efficienza indiana
Da tempo vado professando l’inefficienza indiana, almeno relativa a nostri canoni e nostri metri di valutazione. Fanno le cose a loro modo, un modo tutto loro, che spesso porta a risultati, ma dopo molto tempo e in maniera non soddisfacente. Ricevo per questo attacchi, qualcuno dice che non ho capito lo spirito indiano. C’è poco da capire. Sfido chiunque abbia vissuto almeno un paio di anni in India a pensarla diversamente. Navigando su internet, ho trovato una testimonianza a favore di quello che dico. L’ha scritta la mia collega Maria Grazia Coggiola, che vive a Delhi da un anno in più di me, apprezzata giornalista e fotografa. La testimonianza di seguito, è relativa alle bombe che sono esplose a Delhi sabato scorso, ed è un estratto di un suo post dove racconta come gli artificieri hanno disinnescato una bomba non esplosa. Sabato sera lei da buona cronista era sul posto. Io sono rimasto a casa perché dovevo mandare news in continuazione all’Ansa e guardavo i telegiornali. Sono rimasto anch’io colpito dall’eccitazione di tutti i giornalisti per questa buffa macchinetta. Tanta eccitazione, che hanno focalizzato l’attenzione su questa macchinetta dimenticandosi dei morti e dei feriti. Ma il modo con il quale la polizia ha utilizzato la macchinetta, mi lascia pensare che sia vero quello che credo sull’efficienza indiana.
A un certo punto a Connaught Place sono arrivate le squadre degli artificieri con un aggeggio a metà strada tra una mini betoniera e un motorino tagliaerba. Forse, io sono abituata a vedere i robot artificieri che pensavo avessero in dotazione anche gli indiani. Il “bomb defuser” è stato scaricato da un camion nell’eccitazione dei giornalisti televisivi che si cimentavano a elencarne i pregi in diretta. C’è stato un parapiglia generale in cui i militari si sono inciampati nei cavi delle telecamere. Ha fatto un po’ di metri e si è spento improvvisamente. I cameramen sudatissimi si azzuffavano per riprendere ogni particolare. Un minuto dopo è arrivato un militare con una bottiglia di plastica piena di benzina. Il motore era a secco. Ma il bello doveva ancora venire. Per salire sul marciapiede ed entrare nel giardino c’è uno scalino di circa 30 centimetri. Qualcuno ha quindi portato una plancia di metallo, ma non era abbastanza larga per far passare le ruote. Passano dieci minuti. Arrivano dei sacchi di sabbia probabilmente prelevati da un vicino posto di blocco. Ma le ruotine del bomb defuser non c’è la fanno, lacerano i sacchi e si insabbiano. C’è un momento di panico in cui anche le telecamere si spengono. Qualcuno dei giornalisti suggerisce di sollevare la macchina. E’ la soluzione. Il bomb defuser entra trionfalmente nel parco dove gli artificieri stanno aspettando con un sacchetto di plastica appeso ad una sorta di canna da pesca. Era una delle nove bombe, non esplose, piazzate dagli Indian Mujahiddin come rivendicato nella loro articolata mail di 13 pagine spedita ai mass media.
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Il paese dei famed e degli affamed
Navigando su internet, per puro caso, ho scoperto che due italiani hanno ricevuto due delle più importanti onorificenze indiane.
La professoressa Maria Offredi dell’Università di Venezia, ha ricevuto dalle mani del presidente indiano Patil, un premio per la sua alta opera di diffusione dell’Hindi.
L’ingegnere Sergio Scapagnini ha ricevuto la Civic Reception (la più antica dell’India data nella prima edizione nel ’24 al Mahatma e poia Tagore, Gunter Grass, Madre Teresa, Amartya Sen, Mandela, etc) nella Council Chamber del comune di Kolkata per il suo lavoro di cooperante e la sua opera culturale nel campo cinematografico che da oltre 30 anni svolge a Calcutta.
Mi risulta (ne sono sicuro per il secondo) che siano i primi italiani a ricevere tali onorificenze, cosa che sicuramente onora non solo loro ma la comunità italiana, e io mi sento orgoglioso di questi due premi, soprattutto per il fatto di essere italiano residente in India.
Ma questo orgoglio, non è lo stesso delle autorità italiane. NESSUNO e ribadisco NESSUNO (università, ambasciate, istituti di cultura) ha diffuso la cosa che ho scoperto sui siti indiani ma che non sono riuscito neanche a stampare.
Il disinteresse delle nostre istituzioni è assurdo, come anche la loro faccia tosta, nel continuare a presentare all’estero come eminenti personalità, individui totalmente sconosciuti in patria.
Nei giorni scorsi ho ricevuto l’invito ad una tavola rotonda a Mumbai organizzata dalla Camera di Commercio indoitaliana. La tavola rotonda, alla quale hanno partecipato il direttore generale dell’Enit e general manager di aziende italiane era moderata, come si legge nel comunicato, dal “famed italian journalist Mauro Aprile Zanetti“.
Carneade, e chi è costui? Forse manco da troppi anni dall’Italia, ma io questo “famed” non l’ho mai sentito. Eppure dovrebbe essere un collega. Eppure io lavoro per l’Ansa, dovrei conoscere i “famed”.
Su internet ho scoperto che questo giovane è un bravo (almeno quello che dice il suo curriculum) documentarista e cinematografaro, ma col giornalismo non ha molto a che vedere. Ma, guarda caso, i suoi scritti, la sua biografia, i racconti delle sue gesta, sono raccolti nel sito e nella rivista delle Camere di Commercio Italiane all’estero riunite in Assocamerestero.
Inutile dire che ho protestato con questi della Camera, soprattutto per la qualifica di “famed” (ma dde che, direbbero sotto il Colosseo).
In quei giorni tra Delhi e Mumbai, a parte i quattro soliti giornalisti italiani (io per l’Ansa, una collega per Il Giornale e Apcom, il corrispondente della Rai e quello del Sole24Ore) c’erano anche (mi hanno detto) Severgnini e Rampini (quest’ultimo non lo stimo molto professionalmente sull’India, perchè credo scriva ovvietà più che raccontare l’India vera, ma questo è un altro discorso).
Ma loro hanno fatto venire, ovviamente a spese della Camera, questo “famed”. Forse io da Delhi ero troppo “affamed” e poco “famed” per loro. Ma scherzi e delusioni a parte (non che ci tenessi ad andare, la mia è solo una critica al modus operandi), tutto ciò è dimostrazione di quanto anche se continuiamo a riempirci la bocca con “Sistema Italia” e le istituzioni a tutti i livelli continuano a parlare di India, l’unica cosa che hanno appreso da questo paese è il sistema castale che, in Italia, si basa sugli “amici degli amici”.
Noi, figli di un dio minore, senza agganci, senza sponsor, siamo orgogliosi del nostro orticello, del nostro lavoro. Ci resto male, sono amareggiato, soprattutto perchè davvero stiamo decandendo e nel mio campo tante cose interessanti non riescono ad emergere perchè siamo appiattiti verso il basso.
La gente critica i giornalisti perchè sui giornali si parla solo di morti e non di cose belle. Si critica Vespa e Mentana perchè campano sulle storie di Rignano, di Perugia, di Cogne e simili. Ma questi ci campano perchè il lettore, l’ascoltatore, le segue, le legge. Anche il giornalismo, purtroppo, è mercato. Si produce e scrive quello che si vende.
Basta filosofeggiare. Oggi mi aspetta un pranzo con un collega venuto dall’Italia a base di spaghetti alla puttanesca, un incontro con Sonali (le cui foto sono nel mio blog roll di Flickr, raggiungibili cliccando su More Photos sulla dx) oggi pomeriggio e una cena con amici stasera.
E vaffa (senza offesa per nessuno) ai vari Aprile, Maggio e Giugno. Vaffa alle istituzioni che si autolodano, che gesticono le cose a loro piacimento, che dividono la torta internamente, che non hanno rispetto verso chi davvero vale.
Che si gigionassero contenti nel loro essere “famed”. Ma fortunatamente c’è gente, come la Offredi, Scapgnini e tanti altri, che fanno davvero le cose e, proprio perchè credono in quello che di buono fanno senza nessun fine, rifuggono dall’essere “famed”.
Finisco con una citazione (dovete scoprire voi da dove viene, un regalo a chi lo scopre):
Figlio mio adorato, non rinnegare mai la tua gentilezza. Lasciatene illuminare.
Ti diranno che è un difetto del carattere, una malattia grave,
perchè quelli che ne sono affetti, sono destinati a perdere le battaglie di tutti i giorni.
E’ vero, ma tu non li ascoltare.
La gentilezza è la nostra forza.
E le nostre vittorie non appartengono a questo tempo…. a questo mondo!
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