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Musharraf rischia la galera, per lui si profila l’esilio

Pervez Musharraf, una volta potete presidente del Pakistan, rischia l’arresto e la detenzione fino a tre anni. Un avvocato pachistano, Mohammad Aslam Ghuman, ha infatti denunciato l’ex presidente e capo dell’esercito di Islamabad, per aver arrestato i giudici nel periodo dello stato di emergenza da lui proclamato nel 2007. La polizia di Islamabad ha cosi’ aperto una inchiesta che potrebbe portare alla condanna di Musharraf fino a tre anni. Ma l’arresto potrebbe essere deciso, come di prassi, prima. E, secondo la polizia pachistana, i giudici potrebbero anche decidere per un mandato di arresto internazionale tramite l’Interpol, visto che Musharraf si trova ora a Londra, citta’ nella quale ha trascorso molto del suo tempo da quando si e’ dimesso l’anno scorso. Contro Musharraf, che ad agosto del 2008 preferi’ le dimissioni pur di non andare incontro all’impeachment, la Suprema Corte, guidata dal quel Iftikhar Mohammad Choudary che lo stesso Musharraf mise agli arresti domiciliari nel 2007, ha deciso due settimane fa la violazione della costituzione proprio in relazione all’arresto dei giudici e ad altri atti decisi durante lo stato di emergenza. La corte ha demandato al parlamento pachistano la decisione se avanzare o meno un procedimento per tradimento nei confronti dell’ex padre-padrone del Pakistan. Per Musharraf si aprono cosi’ le porte di una possibile detenzione o di un esilio, circostanza alla quale in passato egli stesso ha obbligato i suoi rivali come Benazir Bhutto e Nawaz Sharif, evitando che finissero in carcere. L’Arabia Saudita, per bocca del suo ambasciatore a Islamabad, ha fatto sapere di essere pronta ad accogliere l’ex generale in un eventuale esilio. Per ora, sia sull’apertura dell’inchiesta che sulla possibilita’ che il parlamento decida per un’accusa di tradimento, il governo non si e’ espresso. Secondo alcuni osservatori, il silenzio soprattutto del presidente Asif ALi Zardari deriverebbe da un patto tra i due, che ha permesso a Zardari e Bhutto di tornare in Pakistan e di veder cancellate tutte le accuse contro di loro.

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Spirano forti venti di guerra tra India e Pakistan

I venti di guerra che spirano sempre piu’ forti tra India e Pakistan, ad un mese esatto dagli attentati di Mumbai, stanno spingendo truppe pachistane verso il confine indiano. Questo mentre l’India invita i suoi cittadini a non recarsi in Pakistan perche’ non sicuro e il primo ministro Singh chiama a rapporto lo stato maggiore della difesa per essere aggiornato sulla situazione. In verita’ questi incontri tra i responsabili della difesa e il capo del governo indiano sono di routine, ma nell’ultimo mese sono aumentati e oggi, con lo spostamento delle truppe pachistane, assumono un significato diverso. Fonti di stampa pachistane, confermate da esponenti dell’esercito che sono rimasti anonimi, hanno riferito di oltre 20000 soldati gia’ dispiegati al confine indiano. Molti di questi provengono dalla zona occidentale, dai confini con l’Afghanistan, dove da mesi l’esercito di Islamabad combatte contro terroristi talebani ed estremisti indipendentisti. Testimoni delle zone frontaliere occidentali hanno riferito di oltre 40 camion militari con truppe che dal confine afghano si stanno spostando verso quello indiano. Anche gli abitanti civili delle zone frontaliere con l’India, soprattutto in Punjab e in Kasmhir, sono stati informati di un possibile degenerarsi dei rapporti. Secondo quanto Ghulam Rasool Nagra, esponente della difesa pachistana ha detto al giornale pachistano Dawn, il suo ufficio ha lanciato una campagna informativa per ”preparare il popolo all’auto-difesa e alla risposta in una situazione di emergenza, in considerazione della minaccia di una possibile aggressione indiana”. Il Pakistan ha annunciato oggi di aver cancellato tutte le licenze ai militari e di aver messo in stato di allerta soprattutto l’aviazione, dopo che il 13 dicembre dei jet indiani violarono lo spazio aereo pachistano a Lahore. La notizia della violazione e’ stata poi smentita dall’India. Come e’ stata smentita da New Delhi la notizia rimbalzata da Islamabad che l’esercito indiano ha dispiegato truppe lungo il confine con il Pakistan. I due governi continuano a dire di non volere la guerra, ma intanto prendono precauzioni. Delhi ha avvisato i suoi cittadini che non e’ sicuro andare in Pakistan. Lo ha fatto dopo che quattro indiani sono stati arrestati dai pachistani perche’ ritenuti responsabili dell’attentato che due giorni fa ha causato la morte di una donna. La stampa sia indiana che pachistana parla di ”diversi” arresti di cittadini indiani a seguito dell’attentato, anche se la polizia pachistana ha confermato il fermo di quattro persone. L’India continua la azione diplomatica per convincere la comunita’ internazionale a premere sul Pakistan chiedendo maggiori interventi. Oggi il ministro degli esteri indiano Pranab Mukherjee ha incontrato oggi il principe Saud Al-Faisal, ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, al quale ha fornito le prove del coinvolgimento del Pakistan nell’attentato che a Mumbai, giusto un mese fa, ha fatto 170 morti. Oltre all’Arabia, il cui ministro degli esteri ha detto oggi che ”il terrorismo e’ un cancro che deve essere tagliato”, anche gli USA e l’Inghilterra si stanno impegnando ad abbassare le tensioni fra i due vicini nucleari. E nel gioco diplomatico ha fatto il suo ingresso un attore importante, la Cina. Il ministro degli esteri di Pechino, Yang Jiechi, negli ultimi due giorni ha chiamato ripetutamente sia Islamabad, suo storico alleato, che New Delhi. Secondo fonti ufficiali diplomatiche indiane, Yang ha proposto un incontro congiunto con India e Pakistan per discutere delle tensioni tra i due paesi dopo gli attentati di Mumbai. Yang ha offerto il suo paese come luogo per l’incontro.

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Musharraf, un profilo

Un mio profilo di Musharraf apparso oggi su Il Mattino.

Da nove anni padre-padrone assoluto del Pakistan, l’ex generale Pervez Musharraf è stato sempre considerato un uomo forte all’interno dello scacchiere orientale. Fautore di una stretta alleanza con gli Stati Uniti, che gli ha causato non pochi problemi di terrorismo interno per le proteste di militanti islamici vicini, negli ultimi anni, alle posizioni dei terroristi fondamentalisti e dei talebani, Musharraf ha saputo tessere buoni rapporti all’estero, che hanno portato anche alla ripresa dei rapporti con l’India. La sua capacità e i “successi” in campo internazionale, però, non sono stati bilanciati da una capacità di gestione del paese che, invece, è passato da una democrazia ad una quasi dittatura, con un capo dello stato affermatosi con un colpo di stato (nel 1999) e rieletto “democraticamente” il 6 ottobre scorso. Gli oppositori politici lo accusano di aver militarizzato il paese: non a caso l’ex generale capo dell’esercito, carica che ha tenuto per se unitamente a quella di presidente per anni, aveva trasferito anche la sua residenza ufficiale da Islamabad a Rawalpindi, sede dell’esercito. Proprio la forza nei confronti del fragile assetto democratico del paese gli sono costati il ruolo e lo hanno costretto all’esilio. Il generale nato a New Delhi 65 anni fa, infatti, nel novembre scorso, all’indomani della sua rielezione, decise di dichiarare lo stato di emergenza in Pakistan, sciogliere le camere, concentrare in se tutto il potere, dopo aver già dismesso giudici ostili, tra i quali quell’Iftikhar Chaudry, capo della corte suprema, che avrebbe dovuto decidere sull’ìeleggibilità di Musharraf e che per la sua detenzione agli arresti domiciliari, dove si trova da oltre un anno. Non solo: Musharraf si affrettò a cambiare la costituzione promulgata nel 1973, emendandola nel senso di concedersi più poteri, conferendosi il diritti di sciogliere le camere e dimettere il primo ministro. Un pungo duro che aveva usato anche per reprimere azioni terroristiche interne, come quella che nel luglio dell’anno scorso portò l’esercito ad aprire il fuoco contro gli studenti e i talebani asserragliati nella moschea rossa di Islamabad facendo oltre 100 vittime. Sicuro di tenere in mano il potere, il presidente mise un suo uomo a capo dell’esercito e continuava a gestire l’ISI, il terribile servizio segreto pachistano, accusato, tra l’altro, di essere dietro alla morte dell’ex primo ministro Benazir Bhutto e, recentemente, alle bombe all’ambasciata indiana di Kabul. Con la stessa sicurezza affrontò le elezioni di febbraio dell’anno scorso che lui stesso aveva indetto su pressioni internazionali, in primis quelle dell’alleato americano, che però, grazie anche all’onda emotiva seguita all’attentato fatale che colpì Benazir Bhutto, furono vinte dal partito del popolo pachistano della Bhutto mentre la sua Lega Pachistana Musulmana-Q subì una sonora sconfitta. Da allora, la sua parabola è andata discendendo. Nonostante si fosse prodigato per far tornare in patria la Bhutto e Zardari, suo marito, questi, su pressioni del nemico giurato di Musharraf, Nawaz Sharif (lo stesso che, primo ministro, nel 1999 fu mandato all’esilio in seguito al colpo di stato del generale), suo alleato di governo, ha fatto di tutto per cacciarlo, minacciando l’impeachment e accusandolo, tra l’altro, di aver sottratto fondi dagli aiuti statunitensi alla lotta al terrorismo. Fondi che sarebbero serviti anche a rintracciare quell’Osama Bin Laden che, da quando è cominciata la sua latitanza, si dice essere nelle montagne pachistane ai confini con l’Afghanistan. Circostanza che Musharraf ha sempre rinnegato, soprattutto per tenere buono l’alleato americano il quale, però, alla prima occasione gli ha parzialmente girato la faccia, concedendo all’India e non al Pakistan forniture nucleari civili. Dimostrazione, questa, secondo analisti, del fatto che comunque gli USA sapevano di avere in Musharraf un alleato scomodo ma necessario, vista la posizione strategica del paese. Ora per lui pare si prospetti un futuro in Arabia Saudita, a Gedda, la stessa città (e pare lo stesso palazzo) che ospitò il suo rivale Nawaz Sharif.

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