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La figlia della Bhutto realizza rap in onore madre uccisa

bakhtawares_468x344 Bakhtawar Bhutto Zardari

Bakhtawar Bhutto Zardari, la diciottenne figlia di Benazir Bhutto e Asif Ali Zardari, ha scritto un rap in onore di sua madre assassinata il 27 dicembre dell’anno scorso. Lo scrive l’agenzia indiana PTI. La ragazza si e’ sempre dichiarata fan del genere musicale ed era riuscita a conoscere il suo idolo, il rapper americano Puff Daddy pochi giorni prima della morte della madre. Il rap, che e’ andato anche su Youtube, si intitola ”vorrei cacciare via il dolore” e racconta del suo dolore e di quello della sua famiglia per la tragica morte della madre assassinata al termine di un comizio elettorale a Rawalpindi, nei pressi di Islamabad. ”Cara mamma, ho poche cose da dirti – canta Bakhtawar – cose che non ti ho mai detto… Ma se ti potessi avere… Vorrei mandare via il dolore”. Il rap dura cinque minuti ed e’ recitato su una base hip hop. La performance, prima di essere postata su Youtube, e’ stata trasmnessa dalla televisione di stato pachistana PTV. Il video mostra le ultime immagini di Benazir durante il suo discorso a Rawalpindi e alcune immagini della sua vita. Bakhtawar e’ la seconda figlia (dopo l’unico maschio Bilawal Bhutto Zardari e prima della sorella Asifa) nata dall’unione dell’attuale presidente pachistano Asif Ali Zardari e dall’ex primo ministro Benazir Bhutto. Alla morte della madre, i tre figli hanno unito anche cognome dellaa quello del padre. Bakhtawar, che vive tra Londra e il Pakistan, era molto legata alla madre tanto da tentare il suicidio nel settembre scorso perche’ convinta del coinvolgimento del padre nell’omicidio della madre. La notizia fu smentita dal presidente pachistano ma ebbe grossa eco su tutti i giornali. Fu proprio Benazir Bhutto a incoraggiare Bakhtawar ad andare avanti sulla strada della musica.

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La vittoria di Zardari, tra bombe e il fantasma di Benazir Bhutto

Come largamente annunciato, Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto e co-presidente del Partito del Popolo PAchistano (PPP) ha vinto le elezioni presidenziali in Pakistan. Zardari, secondo i dati ufficiosi della commissione elettorale, ha ottenuto 481 dei 702 voti necessari per l’elezione, ottenendo la maggioranza dei consensi nel senato, nell’assemblea nazionale (l’equivalente della nostra camera dei deputati) e nelle quattro provincie in cui e’ diviso il paese. Nella provincia del Sindh, la cui capitale Karachi e’ stata per anni il luogo dove la famiglia di Zardari e quella della Bhutto hanno vissuto, il nuovo presidente pachistano ha conquistato tutti i 65 voti disponibili, acquistando in totale un margine superiore ai 350 necessari per essere eletto. Molto distanti i due altri candidati: l’ex giudice Saeed-uz-Zaman Siddiqui della Lega Pachistana Musulmana-N (PML-N) di Nawaz Sharif e Mushahid Hussain Syed della Lega Pachistana Musulmana-Q (PML-Q) vicina all’ex presidente Musharraf. Ma neanche nel giorno che molti in Pakistan definiscono ‘storico’ (il ministro degli esteri Qureshi a caldo ha commentato l’elezione come la svolta del paese), e’ cessato il rumore delle bombe che hanno continuato a scuotere soprattutto la tormentata regione del nord ovest. Mentre il vedovo della Bhutto si assicurava il 90% dei consensi nella Provincia di Nord Ovest (NWFP), nella capitale di questa, Peshawar, un’autobomba e’ esplosa per far ricordare a tutti che possono cambiare i presidenti e i governi, ma nel paese la minaccia terroristica interna ed esterna e’ ancora grave. Oggi almeno 16 persone sono morte e oltre 80 ferite quando un’auto carica di esplosivo e’ stata fatta esplodere nei pressi di un posto di controllo della polizia a Zangi, sulla Kohat Road, facendo crollare tre palazzi attorno e distruggendo un mercato. Sotto le macerie, ci sono ancora alcune persone. Secondo la polizia locale, l’attentato di oggi ”e’ un atto di terrorismo” ed e’ legato alle operazioni militari che l’esercito da mesi sta tenendo contro i taleban nell’area. Zardari ha promesso di occuparsi in prima persona del problema terrorismo e ha ribadito, dopo le dure prese di posizione dei giorni scorsi del governo pachistano a seguito delle infiltrazioni dell’esercito USA sul suolo pachistano, il suo appoggio incondizionato alla lotta al terrorismo degli americani. Una scelta dettata piu’ dalla necessita’ di non perdere gli ingenti finanziamenti di Washington che per altro. La preoccupazione maggiore dei rivali di Zardari, e’ che il vedovo di Benazir possa essere un secondo Musharraf, il suo compagno di scuola che ha sostituito alla piu’ alta carica pachistana dopo le dimissioni dell’ex generale in procinto di essere assoggetto ad una procedura di impeachment. Zardari, infatti, non ha acconsentito prima delle elezioni ai cambiamenti costituzionali che avrebbero cancellato le modifiche volute da Musharraf, ritornando cosi’ a limitare i poteri del presidente. Il vedovo di Benazir Bhutto ha pero’ voluto tranquillizzare tutti annunciando, dopo la sua elezione, che ‘il presidente dovra’ essere subordinato al parlamento’. Zardari non ha neanche detto che lascera’ il ruolo di presidente del partito che occupa insieme al figlio Bilawal, ma ha ricordato come la sua elezione rientra nella scia di vittorie per la democrazia secondo il detto di sua moglie che ”la democrazia e’ la migliore vendetta”. E il fantasma dell’ex primo ministro uccisa in un attentato il 27 dicembre scorso, e’ aleggiato per tutto il giorno sia dentro l’aula del parlamento dove si votava, sia per le strade di tutto il Pakistan. Alla notizia della vittoria di Zardari, migliaia di sostenitori del Partito popolare pachistano sono scesi per strada non per gridare il nome del nuovo presidente, ma quello della Bhutto. Cosa che e’ avvenuta anche nel parlamento, dove molti parlamentari hanno inneggiato all’ex primo ministro pachistano. Con Zardari, ad assistere alle operazioni di votazione, le due sue figlie Bakhtawar e Asifa. La prima, teneva un poster con la foto della madre uccisa in un attentato ed entrambe ne inneggiavano il nome. Quello di Benazir sara’ una presenza che Zardari non potra’ mai rimuovere. Ma, fino ad ora, la cosa lo ha giovato, portandolo dall’essere il figlio di un proprietario di cinema al raggiungere la presidenza del piu’ grande partito pachistano e, soprattutto, quella del paese, passando attraverso anni di galera per omicidio e corruzione, la nomea di mister 10%.

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Ancora bombe in Pakistan

Non si placa l’ondata di terrore in Pakistan mentre il paese attraversa un difficile momento di incertezza legata alla situazione politica. Nel pomeriggio due kamikaze si sono fatti esplodere all’esterno dei una fabbrica di armi, facendo 70 vittime, poche ore dopo l’annuncio di Nawaz Sharif, leader del partito di governo Lega Musulmana Pachistana-N (PML-N), di essere pronto a lasciare la maggioranza e andare all’opposizione se entro venerdi’ non si trovera’ l’accordo sul ‘dopo Musharraf’. Era il momento del cambio del turno nella fabbrica di armi a Wah Cantt, a 30 chilometri da Islamabad, quando due kamikaze si sono fatti esplodere simultaneamente dinanzi ai cancelli. La Pakistani Ordnance Factories di Wah e’ un insieme di circa 20 unita’ industriali che producono artiglieria, munizioni anti aerei e munizioni anti carro destinate all’esercito pachistano. Nella fabbrica sono impiegati dai 25.000 ai 30.000 operai. L’attentato e’ stato rivendicato dal gruppo talebano Tehreek-e-Taliban, attivo soprattutto nella zona del nord ovest dove, da mesi, e’ in atto una guerra tra esercito pachistano e estremisti locali che vogliono imporre la sharia, la legge islamica, nell’area. A maggio e’ stato decretato un cessate il fuoco che pero’ e’ durato molto poco e gli attentati sono ripresi in maniera cruenta, facendo registrare il picco negli ultimi giorni, dal 12 agosto. Da allora oltre 50 attentati sono stati portati a termine dai taleban contro istallazioni militari e civili. Il gruppo e il portavoce, Maulvi Omar, che ha rivendicato l’attentato di oggi, sono gli stessi che hanno rivendicato l’attentato di due giorni fa, quando furono 23 le vittime dello scoppio di una bomba nel compound dell’ospedale Dera Ismail Khan, nei pressi di Peshawar, nell’0area nord orientale del paese. Omar, oggi come due giorni fa, ha detto che ci saranno nuovi e potenti attentati in tutto il paese, militanti sono stati gia’ inviati nelle maggiori citta’ pachistane e colpiranno obiettivi militari e civili, se il governo non interrompera’ le operazioni nel nord ovest del paese. Il consigliere agli interni del primo ministro pachistano, Rehmand Malik, ha detto di avere importanti prove sull’attentato di ieri l’altro all’ospedale e presto saranno effettuati degli arresti. Malik ha anche detto che una mano straniera sarebbe dietro agli attentati e che il 25 agosto si terra’ a Karachi una importante riunione per fronteggiare la ‘talebanizzazione’ del paese. L’escalation di attentati e’ aumentata con il periodo di incertezza politica legato alle sorti di Musharraf e che poi e’ culminato con le dimissioni del presidente, lunedi’ scorso. Il governo e la maggioranza non sono ancora riusciti a raggiungere un accordo su questioni ritenute fondamentali, come il futuro dell’ex presidente, il candidato a succedergli ma soprattutto il reintegro dei giudici. Oggi Nawaz Sharif ha fatto sapere di essere pronto a passare all’opposizione se i giudici non saranno reintegrati al loro posto subito. Il Partito del Popolo Pachistano di Bilawal Bhutto Zardari e Asif Ali Zardari intende invece procedere con calma al reintegro, per assicurarsi che non vengano cancellate dai giudici ordinanze emesse da Musharraf, in particolare quella che ha permesso a Benazir Bhutto e a suo marito Zardari di rientrare in Pakistan. Sharif ha lanciato un ultimatum che dovrebbe scadere domani per raggiungere un accordo anche se, fonti di stampa, ritengono che l’ondata di attentati potrebbe far estendere questo termine.

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Il pakistan del dopo Musharraf tra tensioni, incertezze e attentati

Ecco il pezzo uscito nel circuito dell’Ansa ieri.

Si apre tra sangue, instabilita’ e incertezza il dopo Musharraf. All’indomani dell’annuncio delle dimissioni da parte dell’ex presidente pachistano Pervez Musharraf, i due principali partiti, la Lega musulmana pachistana-N dell’ex primo ministro Nawaz Sharif e il Ppp del vedovo della Bhutto, Asif Ali Zardari e di suo figlio Bilawal, si trovano ad affrontare un momento di impasse, divisi su questioni politiche di fondo e incapaci, almeno sinora di trovare una soluzione o quantomeno un compromesso. Quella di oggi e’ stata una giornata di riunioni fiume che pero’ non hanno portato a nulla. Sullo sfondo un paese agitato dall’imperversare dei terroristi specie nelle zone di confine e scosso da continui attentati. L’ultimo oggi, quando oltre venti persone sono rimaste uccise per l’esplosione di un ordigno nell’ospedale di Dera Ismail Khan, nel Pakistan nord occidentale, al confine con le zone tribali. L’ordigno e’ esploso quando un gruppo di persone si e’ riunito nei pressi dell’ospedale per protestare per l’uccisione di un leader sciita che era poco prima stato colpito a morte e che era stato trasportato proprio in quell’ospedale. E ieri notte almeno venti militanti islamici sono stati uccisi in scontri con le forze di sicurezza pachistane a Bajur, roccaforte dei taleban ai confini con l’Afghanistan. L’attentato di oggi e’ stato rivendicato dal portavoce locale dei Taleban, Maulvi Umer, che ha detto che attacchi suicide del genere continueranno fino a quando non smetteranno le operazioni dell’esercito pachistano nello Swat e in altre aree della North West Frontier Province, la provincia di nord ovest al confine con l’Afghanistan. Sul versante politico non si trova un accordo su problemi quali la restaurazione dei giudici deposti proprio da Musharraf e il destino di quest’ultimo, e l’elezione del suo successore. Per questo ruolo, da un lato sembra che il candidato ideale possa essere Nawaz Sharif, ma dall’altro il Ppp non pare disposto a cedere, come ieri ha ribadito Bilawal Bhutto. In gioco anche un esponente della Nwfp, per tentare di tenere unito il paese, e la sorella di Zardari, che ha preso il posto di Benazir Bhutto in parlamento. Le divergenze maggiori sembra siano sulla questione dei giudici rimossi da Musharraf. La lega pachistana musulmana-N vorrebbe che i giudici tornassero al proprio posto subito, senza ulteriori indugi e senza troppe formalita’ mentre il Ppp di Asif Ali Zardari propenderebbe per una procedura diversa, seguendo la costituzione. Zardari e’ infatti piu’ cauto, preoccupato forse anche dell’eventuale rientro del giudice Chaudry, oppositore di quel Nro (National Reconciliation Order) che aveva permesso proprio alla Bhutto e a Zardari di tornare in Pakistan. L’incertezza politica, la mancanza di un solido terreno comune, rende dunque il paese estremamente fragile, in cui restano dubbi anche su quello che sara’ il futuro di Musharraf. Mentre dall’Arabia Saudita giunge una smentita che l’ex presidente starebbe per trasferirsi a Gedda, il Daily Telegraph ha oggi affermato che corrono voci che potrebbe essere proprio Londra la prossima destinazione di Musharraf. Intanto non e’ ancora chiaro se all’ex presidente verra’ o meno concessa l’immunita’ o se dovra’ comunque affrontare un processo per tradimento. Anche su questo non vi e’, a quanto pare, ancora consenso. Stamane un gruppo di parlamentari ha chiesto che Musharraf affronti un ”processo chiaro e trasparente” e che non lasci il paese. Ipotesi questa non appoggiata dai sostenitori dell’ex presidente, i membri della lega pachistana-Q, e in parte forse anche dal Ppp, che propenderebbe per lasciare la decisione finale su Musharraf al parlamento. Mentre continuano i festeggiamenti per le strade per le dimissioni di Musharraf, un sondaggio ha rivelato che il 67% dei pachistani sono contenti che il generale-presidente Musharraf sia andato via, e il 65% lo vorrebbe sotto processo. (ANSA)

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Musharraf abbandona, paese volta pagina

Ecco il pezzo uscito ieri sera nel circuito Ansa.

Dopo nove anni di ‘regno’, il presidente pachistano Pervez Musharraf ha rassegnato oggi le dimissioni ed ha lasciato il palazzo presidenziale, travolto da una serie di accuse di corruzione e scandali politici. “Abbandono nell’interesse supremo del paese”, ha detto stamani l’ex generale, 65 anni, alla fine di un discorso alla nazione, che è stato salutato per le vie di Islamabad e di altre città pachistane da canti, danze e manifestazioni di gioia da parte dei sostenitori della coalizione di governo, vincitrice delle elezioni politiche del febbraio scorso. La decisione di gettare la spugna, nonostante le smentite dei più stretti collaboratori dell’ex presidente fino a poco prima dell’inizio del discorso, era nell’aria oramai dal 7 agosto scorso, da quando i partiti vittoriosi nelle elezioni politiche, con in testa il Partito del popolo pachistano (Ppp) e la Lega Musulmana Pachistana-N, avevano- annunciato che avrebbero iniziato una procedura di impeachment nei confronti del presidente, accusato di gravi reati contro la costituzione. Le dimissioni di Musharraf, salito al potere nel 1999 con un incruento colpo di stato e per anni indispensabile alleato degli stati Uniti nella guerra contro il terrorismo internazionale, lasciano molti interrogativi sul tappeto, anche a causa della fragilità della coalizione di governo e dell’assetto interno del paese, che deve fronteggiare una continua minaccia terroristica. E giungono nel giorno in cui i partiti di Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto, e di Nawaz Sharif, ex primo ministro, avevano intenzione di presentare il dossier con i capi d’accusa e le motivazioni della richiesta di impeachment nei confronti del presidente. Alla notizia delle dimissioni, sia Nawaz Sharif che Asif Ali Zardari, hanno parlato di “vittoria del popolo”. E il giovane figlio di Zardari, Bilawal, presidente del Partito del popolo pachistano e indicato da sua madre, Benazir Bhutto, come suo erede politico, arrivato proprio oggi a Karachi, ha esultato. ” Il maggiore ostacolo alla democrazia è stato rimosso – ha affermato parlando da presidente del partito – Sono molto orgoglioso del mio popolo e del mio paese. Il giorno dopo l’uccisione di mia madre dissi che la democrazia è la migliore vendetta. Oggi ne sono ancora più convinto. Nel suo discorso d’addio Musharraf si è soffermato molto sulle accuse mossegli, in particolare quella di aver intascato finanziamenti Usa destinati alla lotta al terrorismo. “Non una sola accusa contro di me potrebbe essere provata – ha scandito – perché non ho fatto nulla per me, ma tutto per il Pakistan”. E ha vantato numerosi successi raggiunti dal Pakistan durante il suo mandato: “il Pakistan era percepito nel mondo intero come uno stato terrorista – ha aggiunto – ma io ho aiutato a cambiare la percezione del Pakistan nel mondo, favorendo due elezioni, raggiungendo importanti obiettivi, migliorando l’economia. Ho preso in mano il paese mentre stava cadendo nelle mani dei terroristi… La stessa imposizione della legge marziale ha aiutato la crescita del Pakistan”. Sul Pakistan del dopo-Musharraf si profilano nubi. La coalizione di governo è instabile. Il PPP rimane fermo sulle sue posizioni e il partito di Sharif è da maggio fuori dall’esecutivo. Sia Zardari che Sharif aspirano alla carica presidenziale, da oggi e per i prossimi trenta giorni, nelle mani del presidente del Senato Muhammadmian Soomro. A complicare le cose, anche il ritorno di Bilawal Bhutto, molto amato dal popolo, ma ancora giovanissimo, compirà 20 anni il prossimo 21 settembre. Per tutta la sera, fino a notte, si é tenuta una riunione fiume dei due maggiori partiti per disegnare il futuro assetto del Pakistan, che non ha portato ancora a nulla. Sul tavolo, il reintegro in carica dei giudici esautorati da Musharraf e il ripristino della costituzione del 1973, che era stata emendata in direzione fortemente presidenziale dall’ex generale. Secondo le indiscrezioni di stampa pachistana, a convincere Musharraf a dimettersi si sarebbero dati molto da fare i servizi segreti sauditi, che gli avrebbero assicurato un’uscita di scena onorevole. Un aereo militare saudita è da qualche giorno a Rawalpindi, dove risiede Musharraf, e sarebbe pronto a portarlo a Gedda. Gli stessi emissari sauditi avrebbero ottenuto che il presidente non venga processato. (ANSA).

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Musharraf, un profilo

Un mio profilo di Musharraf apparso oggi su Il Mattino.

Da nove anni padre-padrone assoluto del Pakistan, l’ex generale Pervez Musharraf è stato sempre considerato un uomo forte all’interno dello scacchiere orientale. Fautore di una stretta alleanza con gli Stati Uniti, che gli ha causato non pochi problemi di terrorismo interno per le proteste di militanti islamici vicini, negli ultimi anni, alle posizioni dei terroristi fondamentalisti e dei talebani, Musharraf ha saputo tessere buoni rapporti all’estero, che hanno portato anche alla ripresa dei rapporti con l’India. La sua capacità e i “successi” in campo internazionale, però, non sono stati bilanciati da una capacità di gestione del paese che, invece, è passato da una democrazia ad una quasi dittatura, con un capo dello stato affermatosi con un colpo di stato (nel 1999) e rieletto “democraticamente” il 6 ottobre scorso. Gli oppositori politici lo accusano di aver militarizzato il paese: non a caso l’ex generale capo dell’esercito, carica che ha tenuto per se unitamente a quella di presidente per anni, aveva trasferito anche la sua residenza ufficiale da Islamabad a Rawalpindi, sede dell’esercito. Proprio la forza nei confronti del fragile assetto democratico del paese gli sono costati il ruolo e lo hanno costretto all’esilio. Il generale nato a New Delhi 65 anni fa, infatti, nel novembre scorso, all’indomani della sua rielezione, decise di dichiarare lo stato di emergenza in Pakistan, sciogliere le camere, concentrare in se tutto il potere, dopo aver già dismesso giudici ostili, tra i quali quell’Iftikhar Chaudry, capo della corte suprema, che avrebbe dovuto decidere sull’ìeleggibilità di Musharraf e che per la sua detenzione agli arresti domiciliari, dove si trova da oltre un anno. Non solo: Musharraf si affrettò a cambiare la costituzione promulgata nel 1973, emendandola nel senso di concedersi più poteri, conferendosi il diritti di sciogliere le camere e dimettere il primo ministro. Un pungo duro che aveva usato anche per reprimere azioni terroristiche interne, come quella che nel luglio dell’anno scorso portò l’esercito ad aprire il fuoco contro gli studenti e i talebani asserragliati nella moschea rossa di Islamabad facendo oltre 100 vittime. Sicuro di tenere in mano il potere, il presidente mise un suo uomo a capo dell’esercito e continuava a gestire l’ISI, il terribile servizio segreto pachistano, accusato, tra l’altro, di essere dietro alla morte dell’ex primo ministro Benazir Bhutto e, recentemente, alle bombe all’ambasciata indiana di Kabul. Con la stessa sicurezza affrontò le elezioni di febbraio dell’anno scorso che lui stesso aveva indetto su pressioni internazionali, in primis quelle dell’alleato americano, che però, grazie anche all’onda emotiva seguita all’attentato fatale che colpì Benazir Bhutto, furono vinte dal partito del popolo pachistano della Bhutto mentre la sua Lega Pachistana Musulmana-Q subì una sonora sconfitta. Da allora, la sua parabola è andata discendendo. Nonostante si fosse prodigato per far tornare in patria la Bhutto e Zardari, suo marito, questi, su pressioni del nemico giurato di Musharraf, Nawaz Sharif (lo stesso che, primo ministro, nel 1999 fu mandato all’esilio in seguito al colpo di stato del generale), suo alleato di governo, ha fatto di tutto per cacciarlo, minacciando l’impeachment e accusandolo, tra l’altro, di aver sottratto fondi dagli aiuti statunitensi alla lotta al terrorismo. Fondi che sarebbero serviti anche a rintracciare quell’Osama Bin Laden che, da quando è cominciata la sua latitanza, si dice essere nelle montagne pachistane ai confini con l’Afghanistan. Circostanza che Musharraf ha sempre rinnegato, soprattutto per tenere buono l’alleato americano il quale, però, alla prima occasione gli ha parzialmente girato la faccia, concedendo all’India e non al Pakistan forniture nucleari civili. Dimostrazione, questa, secondo analisti, del fatto che comunque gli USA sapevano di avere in Musharraf un alleato scomodo ma necessario, vista la posizione strategica del paese. Ora per lui pare si prospetti un futuro in Arabia Saudita, a Gedda, la stessa città (e pare lo stesso palazzo) che ospitò il suo rivale Nawaz Sharif.

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L’esordio di Bilawal

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”Ho la politica nel sangue, ma prima d’ogni altra cosa devo terminare i miei studi”. E’ questa la linea adottata dal 19enne Bilawal Bhutto Zardari, figlio di Benazir Bhutto e suo successore alla guida del Partito Popolare Pachistano (PPP), che oggi ha esordito al cospetto dei media internazionali in una conferenza stampa tenutasi a Londra. Chiedendo anche – e soprattutto – rispetto per la propria privacy. Il giovane Bhutto e’ sembrato sicuro di se’ e perfettamente in grado di reggere l’enorme pressione che si e’ accumulata sulle sue spalle da quando, settimana scorsa, e’ stato eletto leader del PPP – con suo padre, Asif Ali Zardari, nominato co-presidente. E sara’ proprio quest’ultimo a guidare il partito sino a che Bilawal non si riterra’ pronto ad affrontare la prima linea. ”Voglio compiere un percorso attento e graduale: nel mentre sara’ mio padre a guidare il partito. Al momento, la mia partecipazione sara’ limitata perche’ questo e’ il tempo d’imparare. Senza un’istruzione adeguata, credo sia impossibile entrare nell’arena politica di oggigiorno. D’altra parte, uno dei punti forti di mia madre e’ stata proprio l’istruzione che ha ricevuto”. Quindi un riferimento forte a cio’ che Benazir rappresentava per il partito e il Paese: ”Abbiamo perso la nostra speranza migliore per il Pakistan, ma non era l’unica”. E a chi gli ha rimproverato di conoscere a malapena il paese che il suo partito potrebbe tra breve governare, Bilawal ha risposto cosi’. ”E’ vero, non sono cresciuto in Pakistan, ma non e’ stata una mia scelta. Mia madre e’ stata costretta all’esilio e io sono stato tirato su da mia madre: mi diceva tutto quello che c’era da sapere”. ”Abbiamo parlato, a volte, del mio futuro all’interno del partito nel caso in cui qualcosa le fosse accaduto”, ha detto poi Bilawal Bhutto, rispondendo alla domanda di un giornalista, ”ma speravamo potesse non succedere mai. E comunque non pensavo avvenisse cosi’ presto”. In seguito, Bilawal ha negato che quella dei Bhutto sia una ‘dinastia’ che regna in Pakistan quasi per diritto divino. ”Sono stato eletto presidente con il supporto di tutto il partito”, ha detto Bilawal Bhutto. ”Non pretendo di avere nessuna aspirazione. Sono stato chiamato in causa e io ho accettato: era qualcosa che andava fatto, anche se ci sono dei rischi, perche’ il partito affrontava un momento di crisi Quindi l’affondo nei confronti del governo pachistano: ”Mia madre aveva chiesto protezione – ha dichiarato Bilawal – e lei sarebbe ancora qui se fosse stata protetta come si deve. Per questo diamo il benvenuto agli investigatori di Scotland Yard ma chiediamo nuovamente che l’inchiesta venga patrocinata dalle Nazioni Unite: non crediamo che le indagini condotte dal governo pachistano abbiano la necessaria trasparenza”. Non potevano mancare, infine, dei commenti riguardo l’ormai celebre pagina di Facebook: ”Sono sicuro – ha liquidato con una battuta rivolta ai giornalisti – ”che la vostra abilita’ nel condurre inchieste sia sufficiente a guidarvi nel capire cosa e’ vero e cosa e’ fasullo”. ”Chiedo – ha concluso – di essere lasciato in pace una volta tornato ad Oxford: fatemi terminare gli studi. Mia madre era molto aperta nei confronti della stampa e io voglio proseguire su questa linea. Ma con moderazione”. . Ha paura per la sua vita?, e’ stata, infine, la domanda d’obbligo per l’ultimo di una dinastia segnata dal sangue. ”Temo piu’ per la mia privacy”, ha risposto senza esitare Bilawal.

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