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Addio

La transizione è avvenuta. A malincuore abbandono la nave. Non ce la faccio a gestirne due, la Cina è grossa e impegna. Il blog rimarrà attivo, ma non rispondo ai commenti,s egnalazioni o email. L’India è purtroppo lontana. Come mi diceva sempre un mio amico di Benares, “tu puoi lasciare l’India ma l’India non ti lascerà mai”. E io rispondevo, “salutam ‘a soreta”.
Vi lascio con i consigli per la lettura. Abbonatevi e leggete quotidianamente il sinonapoletano di partecinesepartenopeo.wordpress.com. Mi fa simpatia e pare una brava persona. Saluti a tutti, Namastè.
p.s.: non leggerà ne i commenti ne le mail, per cui non vi aspettate risposte.

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L’indirizzo del nuovo blog

Il nuovo bloog è attivo. Per arrivarci, dovrete dimostrare tutta la vostra conoscenza di uno dei miei tre miti (insieme a Tony Tammaro e Maradona), cioè Totò. Il titolo del nuovo blog parafrasa una famosa battuta del principe della risata, molto conosciuta, anche se detta in un film poco noto. Siamo in una pellicola del 1950, nella quale Totò prende il posto di un famoso poliziotto internazionale per smascherare un mostro. Basta, ora vi ho detto troppo. Buona ricerca.

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L’uomo della speranza ci ricade di nuovo

No, non voglio saperlo. Che nessuno si azzardi a dire che ce l’ho con lui. Assolutamente non è vero. Però, caro speranzoso mio, così non va. Devi fare più attenzione. Ho la buona abitudine di non leggerlo. Dopo essermi sorbito i due libri  mentre recitavo il mantra “e questo mo dove vuole arrivare?”, ho deciso che sarebbe stato troppo, per me, leggere anche i blog o gli articoli del Nostro. Così, ci butto l’occhio qualche volta. Tempo fa l’ho beccato in fallo. Era da tempo che non lo leggevo, così mi sono ributtato a vedere cosa avesse scritto. Et voilà, la speranza di sbagliare ritorna. In questo pezzo, il buon speranzoso, fa cominciare le elezioni tre giorni prima, il 13 anziché il 16. Forse dipende dal fatto che lui è avanti rispetto agli altri. Oppure che subisce il fuso orario cinese. Chissà. Per carità, l’errore è possibile, è di tutti. Ma dai grandi, sono cose che non ci si aspetta, quindi… Nei giorni scorsi, anche il suo giornale aveva subito il suo influsso e si era dato alle notizie non vere. E’ una malattia dilagante. Ci sarà un vaccino?

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Sull’efficienza indiana

Da tempo vado professando l’inefficienza indiana, almeno relativa a nostri canoni e nostri metri di valutazione. Fanno le cose a loro modo, un modo tutto loro, che spesso porta a risultati, ma dopo molto tempo e in maniera non soddisfacente. Ricevo per questo attacchi, qualcuno dice che non ho capito lo spirito indiano. C’è poco da capire. Sfido chiunque abbia vissuto almeno un paio di anni in India a pensarla diversamente. Navigando su internet, ho trovato una testimonianza a favore di quello che dico. L’ha scritta la mia collega Maria Grazia Coggiola, che vive a Delhi da un anno in più di me, apprezzata giornalista e fotografa. La testimonianza di seguito, è relativa alle bombe che sono esplose a Delhi sabato scorso, ed è un estratto di un suo post dove racconta come gli artificieri hanno disinnescato una bomba non esplosa. Sabato sera lei da buona cronista era sul posto. Io sono rimasto a  casa perché dovevo mandare news in continuazione all’Ansa e guardavo i telegiornali. Sono rimasto anch’io colpito dall’eccitazione di tutti i giornalisti per questa buffa macchinetta. Tanta eccitazione, che hanno focalizzato l’attenzione su questa macchinetta dimenticandosi dei morti e dei feriti. Ma il modo con il quale la polizia ha utilizzato la macchinetta, mi lascia pensare che sia vero quello che credo sull’efficienza indiana.

A un certo punto a Connaught Place sono arrivate le squadre degli artificieri con un aggeggio a metà strada tra una mini betoniera e un motorino tagliaerba. Forse, io sono abituata a vedere i robot artificieri che pensavo avessero in dotazione anche gli indiani. Il “bomb defuser” è stato scaricato da un camion nell’eccitazione dei giornalisti televisivi che si cimentavano a elencarne i pregi in diretta. C’è stato un parapiglia generale in cui i militari si sono inciampati nei cavi delle telecamere. Ha fatto un po’ di metri e si è spento improvvisamente. I cameramen sudatissimi si azzuffavano per riprendere ogni particolare. Un minuto dopo è arrivato un militare con una bottiglia di plastica piena di benzina. Il motore era a secco. Ma il bello doveva ancora venire. Per salire sul marciapiede ed entrare nel giardino c’è uno scalino di circa 30 centimetri. Qualcuno ha quindi portato una plancia di metallo, ma non era abbastanza larga per far passare le ruote. Passano dieci minuti. Arrivano dei sacchi di sabbia probabilmente prelevati da un vicino posto di blocco. Ma le ruotine del bomb defuser non c’è la fanno, lacerano i sacchi e si insabbiano. C’è un momento di panico in cui anche le telecamere si spengono. Qualcuno dei giornalisti suggerisce di sollevare la macchina. E’ la soluzione. Il bomb defuser entra trionfalmente nel parco dove gli artificieri stanno aspettando con un sacchetto di plastica appeso ad una sorta di canna da pesca. Era una delle nove bombe, non esplose, piazzate dagli Indian Mujahiddin come rivendicato nella loro articolata mail di 13 pagine spedita ai mass media.

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