Gli intoccabili nepalesi sono sul piede di guerra e minacciano di boicottare l’importante festa religiosa di Dashain che cade fra pochi giorni. I dalit da sempre vengono chiamati, in occasione di Dashain e di altre ricorrenze religiose, a raccogliere i resti degli animali sacrificati durante le funzioni religiose e a consumarli. Questa pratica e’ riservata a loro, perche’ gli animali sacrificati sono considerati impuri e nessun induista ne puo’ mangiare, altrimenti ne paga in termini di merito per la vita futura. Ma le carcasse dei bufali, galline, oche che vengono offerte alla dea Durga, dea della potenza, quest’anno rischiano di restare nei templi, perche’ i Dalit non vogliono piu’ consumare le loro carni. Soprattutto i giovani dalit si stanno ribellando, spiegando la loro decisione con il fatto che questa pratica aggrava lo stato di discriminazione in cui sono costretti a vivere. La protesta dei Dalit e’ stata appoggiata anche da diverse associazioni per i diritti umani, ma e’ osteggiata da organizzazioni induiste che vogliono mantenere le tradizioni.
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Rivolta degli intoccabili del Nepal: non mangeremo animali sacrificali
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Scontri in Austria e in Punjab tra Sikh
Nei giorni scorsi c’è stata una sparatoria a Vienna tra Sikh che ha avuto ripercussioni in India, con scontri in Punjab, lo stato nor occidentale indiano patria del sikhismo, con due morti. Il mio amico Maro Restelli, orientalista, esperto di sikhismo, ha pubblicato sul suo blog questo post esplicativo.
LA CRONACA DEI FATTI. A Vienna domenica 24 maggio una banda di 6 fondamentalisti sikh, armati di coltelli e pistole, attacca il tempio di una setta sikh “eterodossa” (chiamata Ravidasia o Sach Khand Dera). Nel tempio si erano radunati circa 400 indiani per ascoltare i sermoni di due Sant, cioè di due autorità spirituali della setta. Durante l’attacco restano ferite una quindicina di persone, fra le quali uno dei due Sant, Rama Nand, che muore il 26 maggio. Questa serie di eventi ha due conseguenze immediate: 1) movimenti della destra austriaca chiedono al governo di Vienna misure restrittive nei confronti dell’immigrazione indiana; 2) manifestazioni di protesta e scontri di piazza si scatenano in Punjab – stato dell’India settentrionale a maggioranza sikh – ad opera dei Ravidasia, coadiuvati da gruppi di Dalit, cioè di fuoricasta o “intoccabili”.
Ad Amritsar, a Jalandhar e in altre città del Punjab vengono bruciate automobili e assaltati edifici pubblici; negli scontri fra manifestanti e polizia muoiono due persone. Per fronteggiare la situazione e allontanare lo spettro della guerra civile (che insanguinò il Punjab negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso) le autorità politiche e religiose del Punjab si muovono su più fronti. Il Capo Ministro del Punjab, Parkash Singh Badal – che è un sikh – condanna duramente l’attacco sikh al tempio dei Ravidasi di Vienna, e contemporaneamente impone il coprifuoco nella città epicentro delle violenze, Jalandhar. Analoga dura condanna dei fondamentalisti sikh che hanno colpito Vienna viene espressa dal Primo Ministro dell’India Manmohan Singh – anch’egli un sikh – e dal partito sikh al governo in Punjab, lo Shiromani Akali Dal, che invita i commercianti a una serrata anti-violenza per martedì 26 maggio. Al momento in cui scriviamo, in Punjab regna la tensione ma la situazione pare sotto controllo.
I PROTAGONISTI E IL CONTESTO. UN’ANALISI CULTURALE. Il sikhismo (qui sotto il suo simbolo, il Khanda)
è una religione monoteista che propugna un rapporto diretto fra l’uomo e Dio. E’ la quinta religione al mondo per diffusione, e nacque in Punjab nel XV secolo ad opera di Nanak, primo di dieci Guru. Il libro sacro dei Sikh, il Guru Granth Sahib, contiene 5.894 inni di numerosi poeti e mistici fra cui Ravidas (nel dipinto qui a destra)
che fondò un movimento spirituale nel XIV secolo. E’ da lui che prendono il nome i Ravidasi, cioè i sikh “eterodossi” che hanno subìto l’attacco a Vienna e poi scatenato le violenze in Punjab. Sono noti anche come Sach Khand Dera perché il Sach Khand o “Regno della Verità” è lo stadio finale dell’ascesa spirituale secondo il Sikhismo, di cui i Ravidasi sono comunque “figli”. A differenza dei Sikh – sia del Khalsa sia di altre comunità minori – non hanno il tempio centrale in Punjab bensì a Varanasi; pregano con lo stesso libro sacro dei Sikh ma non lo considerano – come fanno invece i Sikh – un “Guru vivente”.
Ma la ragione alla base della disputa fra le due comunità non è tanto di carattere dottrinario (anche perché, è questo il paradosso, ciò che unisce i Sikh e i Ravidasi è molto più di ciò che li divide) bensì sociale: Ravidas era un fuoricasta, un “intoccabile”, considerato impuro a causa del suo lavoro di ciabattino, in cui lavorava le pelli di animali; tuttavia sostenne nei suoi inni che anche un fuoricasta può giungere a Dio, e che la divisione in caste è un errore. Divenne perciò un eroe dei fuoricasta del Punjab, e ancora oggi il movimento che a lui si ispira, cioè quello dei Ravidasi, raccoglie i suoi seguaci fra i fuoricasta, o Dalit, in particolare del gruppo dei Chamar, i ciabattini.
Anche il Sikhismo sostiene l’uguaglianza degli uomini davanti a Dio e nega il sistema delle caste, ma la divisione castale – benché cancellata anche dalla Costituzione dell’India moderna – resta comunque ancora oggi onnipervadente. In qualsiasi comunità sociale e religiosa (e il nucleo centrale dei Sikh in Punjab resta infatti di casta Jat). I protagonisti degli odierni scontri di piazza in Punjab, dunque, hanno manifestato per difendere la propria identità sociale di Dalit, offesa dall’attacco di Vienna. Perciò, trattandosi di un conflitto intercastale, agli “eretici Sikh” Ravidasi si sono uniti in piazza anche i Dalit di religione hindu e buddhista (questi ultimi, seguaci di Ambedkar).
Il commento più appropriato a questa desolante situazione ci sembra quello fatto da un giovane blogger sikh: «Credo che questa sia una tragedia degli anni ‘80 e ‘90, quando in Punjab c’era la guerra civile». Il colpo di coda di un passato che sembrava chiuso per sempre. Sembrava…
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Sull’Orissa e la questione religiosa
Ho letto e commentato questo post del blog di Enrica Garzilli, ottimo come sempre. Vi stimolo a continuare la discussione. Intanto, però, leggo da Repubblica, che prende le notizie dall’agenzia del Pontificio Istituto Missioni estere, che alcune suore di Madre Teresa sono state aggredite (mi pare, leggendo il pezzo, più appropriato il termine ‘minacciate’ e quello ‘bloccate’) in una stazione. Che scandalo! Ovviamente non che le suore siano state bloccate, ma che Repubblica lo scrivi. Ma vi rendete conto di quello che fate? Che giornalismo è questo? Raccontare cose che sono nella, purtroppo, quotidianità di questo paese, non fa altro che alimentare questi atti. Mi sembra di sentire quegli italiani che dicono, riferendosi ai musulmani, “noi li ospitiamo nel nostro paese e gli costruiamo le moschee e loro non ci fanno costruire le chiese nei loro”. Ma basta con questi noi e loro. E soprattutto basta con questi articoli. Ci siamo già dimenticati dei tre preti che sono stati barbaramente picchiati a Torino. Ah già, dimenticavo, sono stati degli extracomunitari a farlo. Magari degli induisti dell’Orissa. Intendiamoci: io sono cattolico apostolico (ma poco romano) e confido nella libertà religiosa. Non ho letto in nessun passo del vangelo l’obbligatorietà di ricevere questa libertà, anzi, il cristianesimo ha nei martiri della fede, figure fantastiche. Ovviamente non tutti sono votati al martirio e alla santità, ma a me interessa quello che faccio io per gli altri, non quello che gli altri fanno per me.
Intanto, leggo dall’Ansa, nell’articolo che parla della riunione informale di ieri dei ministri dell’unione europea, che
…il titolare della Farnesina ha avuto modo di mettere sul tavolo anche un tema particolarmente caro al governo Berlusconi: la tutela della liberta’ religiosa. Dopo le violenze anti-cristiane dei giorni scorsi nello stato indiano dell’Orissa, Frattini aveva gia’ convocato l’ambasciatore indiano alla Farnesina per avere informazioni dirette su quanto stesse accadendo. E oggi la presidenza francese ha accolto la richiesta proprio di Frattini di inserire la questione nell’agenda del vertice Ue-India che si terra’ il prossimo 29 settembre a Marsiglia: l’Italia, ha osservato il ministro, e’ stato ”l’unico paese europeo ad aver sollevato il tema della liberta’ religiosa in India” e ”oggi la mia richiesta e’ stata accolta senza nessuna obiezione dalla presidenza francese”.
Come dice il mio amico Claudio: meji coglioni!
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L’India aumenta quota di posti riservati alle caste basse
La suprema corte indiana ha dato il via libera all’aumento della riserva di posti nei college e universita’ statali alle caste basse, portando la quota al 49.5%. La notizia e’ stata accolta con molto favore dal mondo politico indiano, in particolare dal partito del Congresso di Sonia Gandhi, promotore della legge, e dall’alleanza che governa il paese, ma sta scatenando, come gia’ da due anni, da quando si e’ cominciato a parlare di questa riforma, la protesta veemente degli studenti che lamentano l’addio alla meritocrazia. Alla riforma saranno infatti interessati alcune universita’ e centri di eccellenza del sapere indiano, come la All India Institute of Medical Sciences di Delhi e l’Indian Institute of Technology. Il provvedimento di oggi riguarda le cosiddette OBC, Other Backward Classes, gruppi castali arretrati, di fatto appartenenti all’ordine dei sudra, il più basso dei quattro ordini castali, anche se non tutti i sudra appartengono alle OBC. A queste ultime, il governo ha deciso di riservare una quota del 27,5% di posti disponibili nelle scuole, riserva gia’ presente nelle altre istituzioni statali. Alla riserva non partecipano pero’ i privilegiati delle OBC: la suprema corte ha infatti tagliato fuori dalla riserva gli appartenenti alle OBC che sono figli di parlamentari sia nazionali che regionali, dando cosi’ una sorta di indicazione di divisione per censo, non presente nella riserva. L’intoccabilita’ e’ stata formalmente abolita dalla costituzione indiana del 1950 e, nella stessa occasione, furono create due separate tabelle costituzionali (schedules) per i gruppi castali e tribali più discriminati. Per questi, conosciuti come Scheduled Castes e Scheduled Tribes, venne riservato il 22,5% dei posti pubblici e dei posti scolastici, incluse le universita’ e i centri d’eccellenza accademici. Con la sentenza di oggi anche alle OBC viene esteso lo stesso diritto alla riserva. Il governo applaude alla sentenza perche’ in quetso modo si finisce, ha detto Arjun Singh, ministro per lo sviluppo delle risorse umane, una discriminazione che dura da anni. La proposta, infatti, era stata gia’ avanzata negli anni 80 e applicata una decina di anni dopo ma non alle universita’, college e centri di accoglienza. Il governo vede la decisione di oggi anche come una vittoria in vista di elezioni regionali dei prossimo mesi e di quelle nazionali dell’anno prossimo. Soddisfazione anche dall’opposizione che pero’ richiama il governo alle sue promesse. Per sedare la rivolta degli studenti contrari, il governo di Delhi ha promesso di aumentare il numero chiuso alle universita’, cosi’ da poter concedere a piu’ gente di parteciparvi. Ma per ora non c’e’ nessuna certezza dell’aumento dei posti totali e quindi gli studenti hanno minacciato di riscende in piazza come fecero sia due anni fa che l’anno scorso, manifestazioni che portarono centinaia di arresti e feriti. Su internet gia’ monta la protesta degli studenti che promettono azioni dure.
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L’identità indiana
Oggi è la festa della Repubbilca indiana. 58ma ricorrenza della proclamazione della Repubblica. Come ogni anno, ma quest’anno nel freddo siberiano, l’esercito è sfilato per Campi Elisi di Delhi, il Rajpath, la strada dei re che collega l’India Gate al Rashtrapati Bhavan, il palazzo presidenziale indiano.
Migliaia di persone presenti, ministri, deputati, il primo ministro, il presidente Patil e quello francese Sarkozy, ma senza la Bruni.
E’ in queste occasioni che si sente l’attaccamento degli indiani al loro paese. Devo dire che gli indiani non hanno un grosso sentimento nazionale. Il tricolore, l’inno scritto da Tagore, l’emblema del capitello di Ashoka, sembrano non essere dei collanti per tenere uniti gli indiani.
Dopotutto, 22 lingue ufficiali più l’inglese, dedine e decine di migliaia di dialetti, 28 stati membri e 7 territori dell’unione racchiusi in quai 3 milioni e 300 mila di chilometri quadrati (circa 11 volte l’Italia) con 1miliardo e 100 milioni di persone, non rendono la vita facile.
E allora, cosa rende uniti gli indiani? Un quesito che mi è stato posto durante il seminario alla seconda università di Napoli al quale ho partecipato due settimane fa.
Non è semplice rispondere. Sicurametne lo sport, il cricket in particolare, è un collante forte, un marcatore dell’identità indiana. Io però credo che il minimo comune denominatore sia la questione e il sistema delle caste.
Pur se sono state abolite dalla costituzione, le caste vivono e continuano a mantenere e regolare il sistema sociale indiano. Certo, non si assiste alle esagerazioni del passato, quando un dalit che incontrava sulla sua strada un bramino doveva allontanarsi in maniera tale che neanche le ombre si toccassero, ma non siamo molto lontani.
Quando sono arrivato in India, agli intoccabili, quelli ad esempio che vengono a raccogliere l’immondizia da casa, non si dava da bere in bicchieri, ma si versava direttamente l’acqua nelle mani, per non fare toccare loro le stoviglie, per non contaminarle.
Ovviamente a casa mia mai è successa una cosa del genere, ma nel mio palazzo e intorno a me succede ancora. Quando ho chiesto al mio padrone di casa, un bramino, di mettere lo scaldabagno nella stanzetta della mia cameriera, lui mi ha risposto di no, perchè “non bisogna abituarli”.
Stamattina è salito perchè mi si è rotto un rubinetto e si è meravigliato del fatto che oggi, festa nazionale indiana, io abbia dato il giorno libero alla cameriera e alla tata. Non si deve fare mi ha detto. Pensa se viene a sapere che do’ 200 euro ad una e 160 all’altra. Si incazza come una belva, visto che lui da 40 euro al mese 24h su 24 7 giorni su 7.
Anche i matrimoni sono ancora regolati dal sistema castale. Gli annunci sul giornale la domenica dividono le offerte e le richieste per casta, olter che per lingua e religione. Adesso da un annetto, ci sono anche gli annunci per le vedove, i malati di AIDS, i separati.
Ma siamo ancora molto indietro. L’India delle grandi città è un paese; quella delle periferie e dei villaggi è un’altra cosa, un altro paese. Il governo tende a riservare dei posti pubblici alle minoranze religiose e alle caste e alle tribù registrate, ma questo non fa altro che ampliare i dissidi fra le etnie, i gruppi sociali e religiosi, perchè gli emarginati da queste riserve protestano veementemente.
Non c’è soluzione alla cosa. Non credo che nel medio termine si possa cambiare. E poi cambiare perchè? Il sistema regge, mantiene, e sorregge tutto l’apparato. Quello di cui ci sarebbe bisogno è una minore sperequazione, una riduzione delle distanze economiche e sociali, una più equa distribuzione di tutto.
Ma non siamo ad Utopia. Questa è un’altra isola. Non molto felice.
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