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Arrestati monaci in Tibet e detenuti anche due giornalisti italiani

Più di 100 monaci del monastero tibetano di An Tuo, nella provincia cinese di Qinghai, sono stati arrestati dopo una manifestazione tenuta in occasione del Capodanno tibetano, che si è celebrato il 25 febbraio. Lo hanno affermato oggi alcuni monaci dello stesso monastero parlando con due giornalisti italiani, il corrispondente dell’ANSA e quello di Sky Tg24, che subito dopo sono stati fermati dalla polizia per tre ore. Gli arresti sono stati 109 sui circa 300 monaci che vivono abitualmente nel monastero. I monaci di An Tuo hanno aggiunto che domani, 50/mo anniversario della rivolta tibetana che si è conclusa con la fuga in India del Dalai Lama, potrebbero verificarsi altre manifestazioni. Poco dopo essere usciti dal monastero, i due giornalisti italiani sono stati fermati dalla polizia e trattenuti per oltre tre ore, pur non avendo violato alcuna legge cinese. La polizia non ha dato spiegazioni sulle ragioni del fermo. Un altro episodio di protesta si è verificato oggi nella provincia del Qinghai, nella contea di Guoluo, dove due auto della polizia sono state colpite da una rudimentale bomba. Sia la contea di Guinan, che quella di Guoluo, hanno la popolazione in gran parte tibetana.

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La Cina vieta al mondo di incontrare il Dalai

Duro monito al mondo intero da parte del ministro degli esteri cinese Yang Jiechi sulla questione tibetana: nessuno – ha detto – permetta al Dalai Lama di usare il territorio del proprio stato per azioni che favoriscano la separazione del Tibet dalla Cina. Si avvicinano importanti ricorrenze che fanno temere alle autorità di Pechino nuove ondate di proteste degli attivisti pro-Tibet. In questo contesto il ministro degli esteri ha ricordato che “Il Dalai Lama vuole creare un Grande Tibet che comprenda un quarto dell’intero territorio cinese”. Il Dalai Lama e i suoi accoliti, secondo Yang Jiechi, “vogliono cacciare le forze armate cinesi e chiedere ai non tibetani di andare a vivere altrove (…) E voi lo definite una personalità religiosa”. “Se vogliono sviluppare i rapporti con la Cina, gli altri paesi non devono permettere al Dalai lama di visitarli e non devono permettergli di usare il loro territorio per attività separatiste che mirino all’indipendenza del Tibet”, ha detto. I due anniversari ritenuti particolarmente pericolosi in questi giorni da Pechino sono il 50/o anniversario dell’esilio del Dali Lama, cha cade martedì prossimo, e il primo anniversario della rivolta scoppiata il 14 marzo scorso a Lhasa, con decine di morti.

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Giovane monaco tenta il suicidio bruciandosi in Tibet

Tensione alta in Tibet dopo il tentativo di suicidio con il fuoco di un giovane monaco tibetano ad Aba (Ngaba in tibetano) in una zona a popolazione tibetana della provincia cinese del Sichuan, un gesto confermato oggi anche dall’agenzia di stampa ufficiale di Pechino Nuova Cina. Secondo testimoni citati dalla Campagna Internazionale per il Tibet (ICT), un gruppo filotibetano basato negli USA, agenti di polizia avrebbero ripetutamente sparato contro il giovane monaco prima di spegnere le fiamme che lo avvolgevano. Confermando la notizia, l ‘agenzia governativa Nuova Cina ha scritto che il giovane e’ ricoverato in ospedale con ustioni “al collo e alla testa”, ma non fa menzione di ferite da arma da fuoco. Il dramma avviene mentre in tutte le zone a popolazione tibetana della Cina è in corso una silenziosa protesta che consiste nel non partecipare ai festeggiamenti per Losar, il capodanno tibetano, che in genere durano 15 giorni durante i quali si svolgono banchetti, canti e balli tradizionali. La protesta è stata indetta in segno di “rispetto” per le persone che hanno perso la vita durante le manifestazioni anticinesi che si sono svolte nel marzo dell’anno scorso in molte zone della Cina abitate da tibetani. Secondo Pechino i morti sono stati solo venti, tutti civili uccisi dai rivoltosi tibetani, mentre i tibetani in esilio sostengono che le vittime sono state circa duecento e di mille persone arrestate in quel periodo – tra marzo e maggio dell’ anno scorso – non si hanno notizie. Inoltre è vicina la delicata scadenza del 10 marzo, giorno nel quale cade l’ anniversario della rivolta del 1959 che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama, il leader spirituale tibetano che da allora è vissuto in esilio. Secondo la ricostruzione di ICT, la protesta del monaco risale a mercoledì ed è stata innescata dal divieto posto dalle autorità alla celebrazione delle preghiere di Monlam, una festa religiosa collegata a quella di Losar. Poche ore dopo la notifica del divieto Tapey, il cui corpo era già cosparso di kerosene, è stato visto nel mercato vicino al monastero e, prima che gli agenti presenti potessero intervenire, si è dato fuoco agitando una bandiera tibetana fatta a mano con al centro un ritratto del Dalai Lama. I poliziotti lo hanno circondato e si sono uditi dei colpi di pistola. In seguito le fiamme sono state spente ed il giovane è stato portato via, in un apparente stato di incoscienza. Secondo l’ emittente di tibetani in esilio Voice of Tibet, manifestazioni anticinesi e pro-Dalai Lama alle quali avrebbero preso parte centinaia di persone si sono svolte in questa settimana a Guinan (Mangra in tibetano) e ad Hainan (Tsolho in tibetano), nella provincia del Qinghai. Colloqui tra esponenti cinesi ed inviati del Dalai Lama si sono tenuti in ottobre senza che sia stato raggiunto un accordo. Pechino accusa il leader tibetano di perseguire la secessione del Tibet dalla Cina, mentre il Dalai Lama afferma di voler per il territorio quella che chiama una “vera” autonomia.

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Per il Dalai e’ un capodanno da non festeggiare

”Nella nevosa terra del Tibet per tradizione celebriamo il capodanno con complessi rituali che incorporano sia elementi spirituali che materiali. Tuttavia, poiche’ lo scorso anno in Tibet centinaia di persone hanno perso la vita e altre migliaia hanno subito torture e detenzione forzata, quest’anno non e’ il momento giusto per festeggiare con la solita gioia”. Queste le parole con cui il Dalai Lama, in un comunicato stampa, ha espresso la volonta’ di osservare, quest’anno, un Capodanno (il cosiddetto Losar tibetano) silenzioso. Il calendario tibetano e’ composto da dodici mesi lunari e la festa del Losar comincia il primo giorno del primo mese lunare. ”Ognuno – ha proseguito il leader tibetano – dovrebbe invece utilizzare questo periodo per azioni positive, perseguendo finalita’ virtuose, cosi’ che coloro che hanno sacrificato le loro vite per la causa del Tibet possano trovare una loro realizzazione attraverso la rinascita in regni piu’ elevati”. Il Dalai Lama ha poi continuato sottolineando, nel comunicato, come le azioni contro i tibetani non si siano mai fermate. ”Ordini provocatori sono stati dati per le celebrazioni del Capodanno – si legge ancora nel comunicato – appare quindi chiaro che l’intenzione e’ quella di sottoporre il popolo tibetano ad un tale livello di crudelta’ in modo che poi non sia piu’ in grado di sopportare e reagisca. Per questo io faccio appello al popolo tibetano affinche’ eserciti la pazienza e non risponda a queste provocazioni”.

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Capodanno silenzioso in Tibet

Di seguito il pezzo dell’Ansa da Pechino.

Quest’anno i tibetani celebreranno in silenzio la festa di Losar, il capodanno, astenendosi dai canti e dai balli che di solito caratterizzano questa festa, in segno di rispetto verso le vittime della rivolta anticinese dell’anno scorso. ”La voce si e’ sparsa in tutto il Tibet e nelle altre zone a popolazione tibetana sin dallo scorso novembre”, ha confermato in una conversazione con l’ANSA la poetessa e blogger tibetana Woeser, che vive a Pechino. La protesta sara’ difficile da impedire, secondo la poetessa, perche’ la celebrazioni consistono nell’andare nei templi – a Lhasa, la capitale della Regione Autonoma del Tibet, migliaia di persone affluiscono nel tempio di Jokang -, accendere le cantare, pregare. ”Ma la gente – prosegue – si asterra’ dalle altre attivita’ normalmente associate alle festivita”’, che sono iniziate oggi e si protrarranno per quindici giorni. Woeser non fa mistero delle sue simpatie per il Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, ed e’ costantemente controllata dalla polizia, che segue regolarmente anche suo marito, lo scrittore cinese Wang Lixiong. Woeser e’ in contatto con parenti amici a Lhasa: ”Dall’ anno scorso – sostiene – non e’ cambiato niente, le strade sono controllate da centinaia di poliziotti e i militari che sono stati inviati (nei giorni della rivolta) non sono mai andati via…anche se non sempre sono in divisa”. La rivolta anticinese e’ scoppiata proprio a Lhasa, il 10 marzo del 2008, l’anniversario della rivolta del 1959 che si concluse con la fuga del Dalai Lama in India. Secondo gli esuli tibetani nel corso della rivolta, che in seguito si e’ estesa ad altre zone della Regione Autonoma e alle aree di altre province a popolazione tibetana ed e’ proseguita fino alla fine di maggio, sono morte circa 200 persone. Pechino afferma che i morti sono stati in tutto una ventina e che si tratta di civili uccisi dai rivoltosi il 14 marzo a Lhasa, quando gruppi di giovani tibetani hanno attaccato e saccheggiato negozi degli immigrati cinesi. Uno studente dell’Universita’ per le Minoranze di Pechino, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha dichiarato al giornale statunitense Los Angeles Times che gli studenti che l’anno scorso avevano chiesto l’autorizzazione a festeggiare Losar hanno rinunciato alle iniziative previste ma le autorita’ accademiche hanno detto loro che devono andare avanti con i festeggiamenti. ”Le celebrazioni sono obbligatorie”, ha sostenuto il giovane. Il portavoce del ministero degli esteri Ma Zhaoxu ha affermato oggi in una conferenza stampa che la situazione nel Tibet e’ ”normale”. ”Ora il Tibet e’ stabile e calmo, la gente ha una vita piacevole”. ”La cricca del Dalai (Lama) – ha proseguito il portavoce – sta cercando di mettere in giro voci false per sabotare la stabilita’ ma e’ destinata al fallimento”. Il Tibet e altre zone a popolazione tibetana delle province del Sichuan, Gansu e Qinghai sono di fatto chiuse dalle forze di sicurezza cinesi. L’accesso viene impedito ai giornalisti – a meno che non partecipino ad uno dei rari viaggi organizzati dal governo – e spesso anche ai gruppi turistici. La polizia cinese ha sostenuto di aver trovato ”una grande quantita’ di esplosivo” sotto ad un ponte nella prefettura di Chamdo, nel Tibet orientale ma non ne ha indicato l’origine. Due settimane fa, secondo gruppi tibetani in esilio, una ventina di tibetani sono stati arrestati a Lithang, nel Sichuan, dopo una manifestazione innescata da un monaco che ha innalzato un cartello con la scritta ”No alle celebrazioni di Losar”.

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Per la Cina in Tibet è tutto a posto

La situazione in Tibet e’ ”stabile” a poco meno di un anno dalla rivolta dell’ anno scorso. Lo ha detto oggi la portavoce del ministero degli esteri cinese Jiang Yu in una conferenza stampa a Pechino in una indiretta risposta al Dalai Lama. Il leader tibetano, arrivando ieri in Germania dove gli sara’ conferita un’ onorificenza, ha affermato che il Tibet e’ molto ”teso” e che una nuova rivolta potrebbe scoppiare ”in qualsiasi momento”. Jiang Yu ha sostenuto che il problema del Tibet ”non e’ problema di diritti umani” ma che riguarda ”l’ integrita’ territoriale della Cina”. ”Tutti coloro che conoscono la storia sanno che fin dal 13esimo secolo tutte le dinastie cinesi hanno avuto la sovranita’…il Tibet non e’ mai stato un Paese indipendente”, ha aggiunto la portavoce. Il 10 marzo ricorre il cinquantesimo anniversario della rivolta anticinese che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama, che da allora vive in esilio. Il 10 marzo dell’ anno scorso sono iniziate a Lhasa una serie di manifestazioni che il 14 sono sfociate in violenze contro gli immigrati cinesi. In seguito le manifestazioni si sono estese ad altre zone a popolazione tibetana e sono proseguite fino alla fine di maggio. Secondo i cinesi le vittime sono state poco piu’ di venti, mentre i gruppi tibetani in esilio parlano di duecento.

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La Cina s’incazza con i comuni italiani che hanno accolto il Dalai e la Farnesina se ne lava le mani

Il conferimento al Dalai Lama, il leader tibetano in esilio, della cittadinanza di Roma “offende il popolo cinese” e costituisce un’ “interferenza” negli affari interni di Pechino. Lo ha detto oggi la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, in una conferenza stampa a Pechino. Jiang ha detto che l’ Italia deve prendere “immediate misure” per rimediare al danno apportato alle relazioni tra i due Paesi, ma non ha specificato quali. “Le parole e le azioni del Dalai Lama – ha detto la portavoce – dimostrano che non è solo una figura religiosa, ma un uomo politico impegnato in attività secessioniste con la scusa della religione”. I Paesi stranieri, ha aggiunto, dovrebbero “capire e sostenere” la posizione della Cina sul Tibet, che è “completamente parte della Cina”. “Il problema del Dalai Lama non è un problema di diritti umani, ma un problema attinente alla sovranità e alla integrità territoriale della Cina”, ha concluso Jiang. Il Dalai Lama, che nel 1989 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace, vive in esilio dal 1959 e chiede per il Tibet quella che chiama una “vera autonomia”. Dopo Roma, oggi sarà la città di Venezia a conferire al leader tibetano la cittadinanza onoraria. Ribadisce il ”fermo sostegno” alla politica di una sola Cina, ma ricorda anche l’autonomia dei comuni italiani. La Farnesina, in una nota, risponde cosi’ alle dichiarazioni del portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, secondo il quale la cittadinanza onoraria conferita dal comune di Roma al Dalai Lama ”offende il popolo cinese”. La Farnesina, in una nota, sottolinea come ”sia stato gia’ chiarito in altre numerose occasioni all’Ambasciatore cinese in Italia che i comuni italiani sono autonomi e assumono le loro decisioni in assoluta indipendenza dal Governo”. E ricorda ”il fermo sostegno del Governo italiano alla politica di una sola Cina, politica che il Presidente Berlusconi e il Ministro degli Esteri Frattini hanno ribadito ai loro omologhi anche in occasione degli ultimi incontri avuti”.

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Ancora critiche cinesi a Sarkozy per il Dalai

La Cina ha chiesto al presidente francese Nicolas Sarkozy di ”non usare i valori europei” per ”interferire” negli affari interni della Cina. Lo ha detto oggi il portavoce del ministero degli esteri Liu Jianchao riferendosi all’ incontro di Sarkozy col Dalai Lama, avvenuto il 6 dicembre in Polonia. ”Ho sentito che il presidente Sarkozy vuole risolvere questo problema (le divergenze tra Cina ed Europa sul Tibet) senza rinunciare ai valori europei”, ha detto Liu. ”Vorrei dirgli – ha aggiunto – che noi non interferiamo nei valori che altri hanno adottato ma allo stesso tempo non possiamo accettare che quei valori vengano usati come pretesti per minare gli interessi di altre nazioni e di altri popoli”. Pechino chiede ai capi di governo degli altri paesi di non ricevere il Dalai Lama, leader del buddhismo tibetano e premio Nobel per la Pace, che considera un secessionista. Il Dalai Lama, che vive dal 1959 in esilio in India, chiede per il Tibet quella che definisce una ”vera” autonomia e si dichiara contrario all’ indipendenza della regione. Sarkozy, incontrando in Polonia il Dalai Lama, aveva detto: ”L’idea che mi faccio dell’Europa e’ un’Europa libera, indipendente, che difende i suoi valori”.

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Dalai Lama e Sarkozy si incontrano a Danzica

Il Dalai Lama e il presidente di turno dell’Ue, Nicolas Sarkozy si sono incontrati sabato a Danzica, in Polonia, in sfida alle pressioni del governo cinese perché ciò non avvenisse, nella suggestiva cornice delle celebrazioni per il 25/o anniversario del conferimento del premio Nobel per la Pace a Lech Walesa. ” Un approccio opportunistico, avventato e miope alla questione tibetana”, ha reagito con insolita prontezza poche ore dopo l’agenzia di stampa ufficiale di Pechino ‘Nuova Cina’. Intorno alle 16:30, accompagnato personalmente da Walesa – che poi si è allontanato dalla stanza – Sarkozy ha incontrato il leader spirituale dei tibetani in forma privata per 30 minuti. Poco prima dell’incontro era stato categorico sulle minacce dei cinesi. “Come presidente della Francia e come presidente di turno dell’Ue sono libero di incontrare chi voglio, non mi faccio fare l’agenda dai cinesi: questo incontro poi non è da drammatizzare”, aveva detto ai giornalisti. Ma a stretto giro di posta è arrivata la dura risposta dell’Agenzia Nuova Cina che ha definito l’incontro ” una mossa imprudente che non solo ferisce i sentimenti del popolo cinese ma che mina le relazioni franco-cinesi”. Nulla è trapelato da fonti ufficiali sui contenuti del colloquio Sarkozy-Walesa, ma secondo quanto riferito dal portavoce dell’Istituto ‘Lech Walesa’, Tomasz Szymchel, Sarkozy ha riferito che il Dalai Lama non pretende l’indipendenza del Tibet mentre il leader tibetano ha espresso comprensione per la presenza del presidente francese all’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino 2008. Da parte sua Sarkozy ha sottolineato l’importanza del dialogo tra il Dalai Lama e lo stesso governo cinese. L’incontro aveva catalizzato nelle ultime settimane l’attenzione internazionale, soprattutto per l’atteggiamento della Cina che dapprima aveva annullato per protesta la sua partecipazione ad un vertice con l’Ue a Lione in programma il primo dicembre, per poi, 48 ore primo dell’incontro di Danzica, mettere in guardia Parigi dalle possibili ripercusioni sui rapporti commerciali, adombrando un boicottaggio dei prodotti francesi, promosso già su Internet dai nazionalisti. Il padrone di casa Walesa si era espresso in maniera molto critica nei confronti degli “amici” cinesi. “Sono stupefatto – aveva detto ieri – che un paese con una cultura così antica come la Cina, possa pretendere di vietare un incontro tra due persone”. Sarkozy era giunto a Danzica a mezzogiorno per discutere, insieme al premier polacco Donald Tusk e ad altri otto premier di paesi dell’Est europeo, del pacchetto climatico dell’Ue; poi é intervenuto alla conferenza internazionale “Solidarnosc per il futuro”. I travagliati rapporti di Sarkozy con la Cina sulla questione del Tibet avevano avuto un altro momento significativo nel marzo scorso, quando il presidente francese, aveva minacciato di disertare le cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino, scatenando una violenta reazione dei nazionalisti cinesi che avevano organizzato una serie di manifestazioni antifrancesi tra le quali il boicottaggio della catena di supermercati Carrefour. Il 25 aprile la Cina aveva manifestato la disponibilità a incontrare i rappresentanti del Dalai Lama, facendo cambiare idea a Sarkozy sul boicottaggio della cerimonia di apertuyra dei Giochi. Durante le Olimpiadi il colosso francese dell’energia, Edf, aveva concluso un contratto con il gruppo cinese Cgnpc per la costruzione di due centrali nucleari di terza generazione Epr in Cina. Poi però i colloqui tra cinesi e tibetani non avevano avuto l’esito sperato dal Dalai Lama, che ha ricordato anche ieri come la Cina abbia tutto il diritto di diventare una “superpotenza, ma per farlo le occorre anche l’autorità morale”.

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Il Dalai Lama a Bruxelles (avrà mangiato le cozze?:-))

I tibetani non vogliono l’indipendenza, ma l’autonomia dalla Cina, chiedono l’armonia che però non non si raggiunge “con la paura e con le armi”, respingono la “propaganda di Pechino” e vedono che al momento prevale l’ala più intransigente al governo. Queste a grandi linee le considerazioni più politiche del Dalai Lama, intervenuto ad una sessione solenne dell’Europarlamento a pochi giorni dall’annullamento da parte di Pechino del vertice con l’Ue, soprattutto a causa dell’incontro previsto sabato a Danzica fra il Dalai Lama e il presidente di turno dell’Ue Nicolas Sarkozy, nell’ambito dell’incontro dei Premi Nobel per la pace voluto da Lech Walesa. Secondo il Dalai Lama la posta in gioco è il desiderio della Cina di diventare una superpotenza mondiale. “Il potere militare ed economico c’é già, quello che le manca è l’autorità morale. La sua pessima performance sui diritti umani, sulla libertà di espressione e di stampa danneggiano l’immagine cinese nel mondo”, ha indicato il Dalai Lama, secondo il quale la Cina è passata da un totalitarismo marxista ad un totalitarismo capitalista. “Il Darfur, la Cambogia dei khmer rossi, la Birmania, la Corea del Nord… questa è l’immagine che c’é della Cina nel mondo”, ha affermato il leader spirituale dei tibetani, secondo il quale “i cinesi ragionevoli si rendono conto che la Cina deve essere molto più attenta a questi temi se vuole guadagnarsi il rispetto del mondo per avere maggiore responsabilità globale”. Il Dalai Lama ha spiegato che al momento è l’ala più dura del regime cinese ad avere il sopravvento, anche se ci sono molti intellettuali e scrittori in Cina che “sostengono la lotta” del popolo tibetano e criticano la politica del governo. “La mia fiducia nel popolo cinese non è mai venuta meno, anche se se si sta riducendo quella nei confronti del governo”, ha spiegato. “E’ una questione di tempo, ma dovranno aprirsi, anche nell’interesse della Cina” ha sottolineato il Dalai Lama, che ha confermato il suo incontro di sabato con Sarkozy. “Non ho un’agenda particolare per l’incontro col presidente francese. Ho già incontrato la moglie, donna affascinante, ora sono contento di vedere suo marito”, ha affermato sorridendo il Dalai Lama.

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