opo due anni di stato di emergenza, il Bangladesh torna lunedì alle urne per eleggere il nuovo parlamento, per la prima volta dal 2001. Con una costante immutabile, il duello che si rinnova fra le “due Begum”, le due ex prime ministre che da oltre 15 anni dominano la politica del Paese asiatico. Protagoniste sono sempre loro, Khaleda Zia, alla testa del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp, di destra), e Sheikh Hasina Wajed, leader della Lega Awami (centro-sinistra laico). Entrambe sessantenni, si detestano; però sono state anche capaci, in passato (era il 1986), di unire le loro forze per cacciare il dittatore di turno, Hussain Muhammad Ershad. La Lega Awami è data per favorita, ma gli indecisi sono ancora una moltitudine, e circa un terzo degli 81 milioni di elettori (il Bangladesh ha 140 milioni di abitanti) voterà per la prima volta. Entrambe hanno una tragica eredità alle spalle: Zia è la vedova di Ziaur Rahman, presidente del Bangladesh assassinato dai militari nel 1981; Hasina la figlia di Sheikh Mujibur Rahman, il primo presidente del Bangladesh (l’ex Pakistan orientale divenuto indipendente nel 1971), anch’egli assassinato dai militari, nel 1975. Le due ‘begum’ (titolo onorifico nell’Islam) sono accomunate anche dalle peripezie giudiziarie, essendo state entrambe incriminate per corruzione e imprigionate, dall’estate del 2007 per un anno, dal governo ad interim di Fakhruddin Ahmed. Sono state liberate su cauzione l’estate scorsa per permettere loro di partecipare alle elezioni. Dietro la loro estromissione c’erano ancora una volta i militari, intervenuti per porre un freno alle violenze politiche che dall’ottobre 2006 insanguinavano il Paese. L’11 gennaio le forze armate avevano convinto il presidente Iajuddin Ahmed a dichiarare lo stato di emergenza, e poi a annullare le legislative che avrebbero dovuto tenersi dieci giorni dopo. All’origine delle violenze c’erano state le ricorrenti, reciproche accuse di brogli e di falsificazioni delle liste elettorali. Ma stavolta le irregolarità dovrebbero essere scongiurate dalla presenza nei 35.000 seggi di un esercito di osservatori: 200.000, di cui 2.500 stranieri. In più 60.000 militari e 600.000 poliziotti e paramilitari vigileranno sulla sicurezza durante le operazioni di voto. Inoltre, in meno di due anni di potere, il governo di tecnici di Fakhruddin Ahmed ha condotto una battaglia campale contro la corruzione, mettendo sotto inchiesta 10.000 persone e sbattendo in carcere 150 fra ex ministri, uomini d’affari e alti burocrati. Ma soprattutto spurgando le liste elettorali di ben 13 milioni di elettori ‘fantasma’. L’ex candidato repubblicano alla presidenza americana John McCain, in visita a Dacca nei giorni scorsi, ci ha messo una mano sul fuoco: questa volta il voto “é il più regolare del mondo”, ha dichiarato.