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Per l’ONU le caste violano i diritti umani, ma l’India non ci sta

Il sistema delle caste, formalmente abolito, ma assai radicato nei paesi di cultura hindu, fra cui l’India, potrebbe essere presto inserito dall’Onu nella lista delle violazioni di diritti umani. Durante la 12/a sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhrc), in corso a Ginevra, è stato discusso un documento in cui si prospettano le linee guida per l’eliminazione delle “discriminazioni basate su lavoro e discendenza” – così è definita la questione delle caste – che riguarda 260 milioni di persone dell’Asia meridionale. La proposta di trasferire nel 2010 il dibattito all’Assemblea generale dell’Onu ha ottenuto l’adesione della presidenza svedese dell’Unione europea, dell’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu e del Nepal. Proprio la posizione di Kathmandu rappresenta una novità significativa rispetto al passato. Il paese himalaiano infatti, dove l’80% dei cittadini è di religione hindu, è il primo della regione ad ammettere apertamente che il sistema delle caste, che persiste in molte società, è discriminante. “Siamo favorevoli all’idea di coinvolgere organismi nazionali e internazionali per combattere questo tipo di discriminazioni”, ha dichiarato il ministro per l’Amministrazione generale nepalese Jeet Bahadur Darjee Gautam. Il ministro ha poi detto che le linee guida del documento sono “utili strumenti per combattere questo flagello” ed ha infine espresso la speranza, con evidente riferimento all’India, che “altri paesi seguano l’esempio”. L’India però, come fatto in passato, si è rifiutata a Ginevra di assimilare le caste alla discriminazione razziale. Anche se la costituzione indiana del 1950 le ha abolite, il sistema, fortemente legato alla tradizione hindu, è radicato ad ogni livello della società, penalizzando e condannando alla povertà gli appartenenti ai livelli più bassi. Risalenti a 2.500 anni fa, le caste sono principalmente quattro: Brahmani (sacerdoti), Kshatriya (guerrieri e nobili), Vaishya (agricoltori e mercanti), Shudra (servitori, artigiani impuri, orafi, carpentieri). A queste si aggiungono i dalit, gli schiavi, che sono considerati fuori casta. Anticamente le caste erano mobili e le persone venivano definite dal mestiere. Preoccupati per l’eccessiva mobilità sociale i sacerdoti stabilirono che i Brahmani derivavano dalla bocca del dio Brahma, gli Kshatriya dalle spalle, i Vaishya dalle anche e gli Shudra dai piedi, e che alle caste si apparteneva per nascita senza possibilità di cambiamento.

fonte: ANSA

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La suprema corte conferma: l’omosessualità in India non è reato

La suprema Corte indiana, il tribunale piu’ alto nell’ordine giurisdizionale del paese, ha confermato l’ordinanza dell’alta corte di Delhi che chiedeva la legalizzazione dell’omosessualita’ nel paese. Lo riferisce la televisione indiana IBNLive. Lo scorso due luglio, con una ordinanza che fece discutere, l’alta corte di Delhi aveva chiesto al governo di adoperarsi per legalizzare l’omosessualita’ nel paese, considerato un reato in base ad un artucolo del codice penale risalente al periodo del dominio britannico. L’alta corte motivo’ la sua decisione con il fatto che la legge violava un diritto individuale, chiedendo la legalizzazione di rapporti omosessuali fra consenzienti. A questa decisione, valida per il solo stato di Delhi, si sono appellati gruppi religiosi, soprattutto islamici, contrari alla legalizzazione dell’omosessualita’. La decisione di oggi potrebbe aprire nuovi scenari, dal momento che il giudizio della Suprema Corte ha valore su tutto il paese.

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Per la corte, la legge sull’omosessualità è anticostituzionale

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Con una storica sentenza che fa breccia in una legge coloniale del 1860, l’alta corte di New Delhi ha dichiarato che l’omosessualita’ non e’ piu’ un reato. Ora spetta al governo nazionale e al parlamento riformare i codici per estendere l’efficacia della sentenza dal solo territorio della capitale federale a tutta l’India. Ci sono voluti anni di battaglie sociali, manifestazioni, parate gay pride e anche suicidi per portare a quella che dai media indiani viene vista come una sentenza epocale che ora passa la palla al parlamento, il quale fra problemi e divisioni, e’ chiamato ora a legiferare. La sentenza ha dichiarato anticostituzionale il reato di omosessualita’ perche’ discrimina una parte sociale, confermando la rilevanza penale dei rapporti non consensuali, soprattutto con minorenni. Fino a oggi una legge emanata sotto l’Impero britannico e confluita nella sezione 377 del codice penale indiano, puniva il ”sesso contro natura” fino a dieci anni. In alcuni casi, la punizione poteva anche arrivare all’ergastolo. La legge inoltre equiparava gli omosessuali a coloro che hanno rapporti con animali, e contro queste discriminazioni, il movimento omosessuale indiano aveva da sempre combattuto. Gli attivisti omosessuali nel 2004 avevano anche fatto ricorso al tribunale di Delhi, che respinse la richiesta bollandola come ”accademica”.

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Tutte le petizioni sono state rigettate dalle autorita’ indiane che, almeno finora, hanno sempre considerato i comportamenti omosessuali contrari alla morale. I gruppi per la tutela dei diritti di gay e lesbiche da qualche anno stanno suffragando la loro lotta una nuova importante argomentazione: la lotta all’Aids. In India infatti vi sarebbero milioni di omosessuali a rischio Aids che, per paura del carcere, non denunciando la loro condizione e non hanno percio’ accesso alle cure mediche. Gia’ il ministro della salute – l’omosessualita’ in India e’ ritenuta infatti da molti una malattia – del passato governo, Ramadoss, si era impegnato a lavorare per depenalizzare il reato. Ma Ramadoss non riusci’ nel suo intento:: Palanippan Chidambaran, ministro degli interni alla fine del passato governo e in questo attuale, la settimana scorsa annuncio’ l’intento di voler riunire i suoi colleghi di gabinetto per analizzare il problema e arrivare alla depenalizzazione. Il giorno dopo il ministro della giustizia, pero’, dopo feroci critiche della comunita’ musulmana, freno’ dicendo che l’argomento non era in agenda. In base alla legge indiana, la sentenza di oggi vale solo per il territorio di Delhi e non per tutto il Paese, e dovra’ essere il governo a esprimersi sulla modifica del codice penale. Un mandato non facile: la sentenza e’ stata commentata da Shakeel Ahmed, portavoce del Partito del Congresso di Sonia Gandhi, con un laconico ”e’ una questione tra governo e tribunale”. La sentenza e’ stata salutata con slogan e canti in aula da un centinaio di attivisti dei diritti degli omosessuali, i quali hanno dichiarato la loro felicita’ per la depenalizzazione del loro status. Ma la stessa sentenza e’ stata subito condannata da alcuni leader religiosi indiani, soprattutto musulmani. ”E’ assolutamente sbagliato legalizzare l’omosessualita’, non accetteremo mai una legge del genere”, ha dichiarato alla tv l’ Imam della Jama Masjid di Delhi, la piu’ grande moschea dell’ India, Ahmed Bukhari. Anche il segretario dell’All India Muslim Peronsal Law Board, organismo che riunisce tutte le associazioni musulmane del Paese, il maulana Khalid Rashid Firangi Mahali, s’e’ dichiarato contrario alla sentenza: ”l’omosessulita’ e’ contro la religione e la sharia (la legge islamica, ndr)”. La Chiesa cattolica indiana, attraverso il Dominic Immanuel, pur ribadendo la sua contrarieta’ alle relazioni omosessualita’, e favorevole a rimuovere le discriminazioni contro gli omosessuali, che non rischiano piu’ l’arresto.

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Dietro front del governo sulla depenalizzazione dell’omosessualità

Tutti coloro che credevano che l’India, la “più grande democrazia del mondo” mostrasse segni di giustizia sociale di rispetto dei diritti, dovranno restare delusi. Nonostante gli annunci anche recenti, il governo indiano non intende per ora depenalizzare l’omosessualita’ in India. Lo ha detto all’agenzia PTI il ministro della giustizia indiano Veerappa Molly. Era stato il suo collega degli interni, Palanippam Chidambaran ad annunciare, nei giorni scorsi, un incontro con alcuni suoi colleghi, per discutere della depenalizzazione di parte della sezione 377, che prevede pene per il ”sesso contro natura”, inglobando gli omosessuali con coloro, ad esempio, che hanno rapporti con animali. Il dietro front del ministro della giustizia arriva dopo che oggi il Maulana Abdul Khalik Madrasi, vice cancelliere del Darul Uloom Deoband, una importante scuola islamica di Muzaffarnagar, nello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh, ha detto che ”l’omosessualita’ e’ vietata dalla Sharia (la legge islamica, ndr) e proibita nell’Islam”, sbarrando di fatto la porta alla depenalizzazione. Molly aveva detto che la decisione di depenalizzare il reato sarebbe stata presa solo dopo aver ascoltato tutte le forze sociali, compresi i responsabili religiosi. Il veto del maulana Madrasi, e’ stato ampliato dal Maulana Salim Kasmi, vice presidente dell’All-India Muslim Personal Law Board (AIMPLB), la piu’ importante organizzazione islamica indiana. Per Kasmi, ”le attivita’ gay sono un crimine” e l’omosessualita’ non deve essere depenalizzata dall’ambito della sezione 377. In base alla legge indiana tuttora in vigore (che risale al 1861, quando l’India era ancora colonia britannica) chi pratica ”sesso contro natura” e’ punibile con il carcere fino a 10 anni, ergastolo in casi piu’ gravi. Gruppi di attivisti umanitari e organizzazioni non governative da anni lottano per l’abrogazione di questa legge. Ma tutte le petizioni sono state rigettate dalle autorita’ indiane che, almeno finora, hanno sempre considerato i comportamenti omosessuali contrari alla morale indiana. I gruppi che cercano di tutelare le ragioni dei gay portano una nuova importante argomentazione a supporto della loro tesi: la lotta all’Aids. In India infatti ci sarebbero milioni di omosessuali a rischio Aids che, per paura del carcere, non denunciando la loro condizione e quindi non hanno accesso alle necessarie cure mediche.

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L’India pensa a depenalizzare l’omosessualità

Il Governo indiano potrebbe rivedere la sua posizione e dichiarare non penalmente perseguibile lomosessualita’. Lo scrive il Times of India. Fino ad ora l’esecutivo di New Delhi era stato contrario alla modifica della sezione 377 del codice penale indiano che considera l’omosessualita’ un reato, ma adesso si sta considerando, anche a pressioni interne e internazionali, la possibilita’ di abrogare quella legge. L’attuale Ministro dell’interno, P. Chidambaram, ha espresso parere favorevole in tal senso. Per questo Chidambaram ha indetto una riunione con il Ministro della Sanita’, Ghulam Nabi Azad, con il Ministro della Giustizia, V. Moily, e con i Ministri dell’Interno di tutti gli Stati dell’Unione per discutere l’argomento. Una decisione definitiva sull’abrogazione del reato di omosessualita’, infatti, potrebbe essere presa solo con il consenso di tutti. In base alla legge indiana tuttora in vigore (che risale al 1861, quando l’India era ancora colonia britannica) chi pratica ”sesso contro natura” (avvicinando gli omosessuali a coloro che hanno rapporti con animali) e’ punibile con il carcere fino a 10 anni. Ergastolo in casi piu’ gravi. Gruppi di attivisti umanitari e organizzazioni non governative da anni lottano per l’abrogazione di questa legge. Ma tutte le petizioni sono state rigettate dalle autorita’ indiane che, almeno finora, hanno sempre considerato i comportamenti omosessuali contrari alla morale indiana. I gruppi che cercano di tutelare le ragioni dei gay portano una nuova importante argomentazione a supporto della loro tesi: la lotta all’Aids. In India infatti ci sarebbero milioni di omosessuali a rischio Aids che, per paura del carcere, non denunciando la loro condizione e quindi non hanno accesso alle necessarie cure mediche.

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Niente jeans per le ragazze dei college di Kanpur

Ieri, leggendo l’ottimo blog dell’amica Enrica Garzilli (che ho anche scoperto avere antenati per me importanti, perchè hanno a che fare ocn l’invenzione della pizza margherita), ho letto questo interessante articolo e lo ripropongo nella versione che ho pubblicato per l’Ansa. Tnks to Enrica.

Niente jeans in quattro college dello stato dell’Uttar Pradesh, nel nord dell’India. I rettori del Dayanand Degree College (DDC), Acharya Narendra Dev College (ANDC), Sen Balika College (SBC) e Johari Degree College (JDC), tutti associati all’universita’ di Kanpur, hanno emesso un decreto con il quale si vieta agli studenti, soprattutto alle ragazze, di indossare jeans e altri capi o accessori di abbigliamento occidentali. I rettori hanno giustificato la loro scelta spiegando di aver ricevuto una serie di lamentele da parte delle ragazze di molestie al di fuori dei cancelli dei college. Per evitare cosi’ che potessero subire molestie, i rettori hanno deciso di vietare i capi di abbigliamento occidentali, che, anche se lunghi, segnerebbero troppo le forme delle ragazze. Via jeans e camicette, ma anche minigonne e magliettine attillate. A tutti gli studenti, inoltre, e’ stato vietato di utilizzare i cellulari all’interno del campus, se non per ragioni strettamente necessarie. I rettori hanno anche deciso di incontrarsi a breve per formalizzare un codice di condotta sull’abbigliamento nei diversi istituti. Non tutti gli studenti hanno accettato la decisione. Un gruppo studentesco femminile ha fatto notare alla stampa indiana che se davvero l’intento era quello di proteggere loro dalle molestie sessuali, si poteva pensare ad aumentare la sicurezza o a chiedere l’intervento e l’aiuto della polizia. Si preannunciano manifestazioni di studenti e insegnanti contro il nuovo codice di condotta, che prevede multe per i trasgressori e punizioni che arrivano fino alla sospensione. Lo stato dell’Uttar Pradesh e’ il piu’ popoloso dell’India e quello nel quale c’e’ la piu’ alta percentuale di musulmani. Il portale on line di informazione Islam On line, spiega, nel titolo dell’articolo sulla faccenda di Kanpur, che la decisione dei rettori e’ stata presa ”per proteggere le ragazze”.

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Le vedove vendute in India dai suoceri

Vedove vendute o utilizzate come schiave per fare i lavori piu’ pesanti o umili. E’ la tradizione indiana della ”Ruka” tuttora esistente nella comunita’ di Handi Koracha, nell’India meridionale, che vive al confine tra gli stati del Karnataka e dell’Andhra Pradesh, secondo la quale, al momento del matrimonio i genitori dello sposo regalano alla sposa un sacchetto con delle monete. Questa e’ considerata una promessa solenne da parte di lei che sara’ al servizio del marito e dei suoceri per tutta la vita. In caso di morte del marito i suoceri sono quindi legittimati a venderla o cederla a terzi, se non ne hanno piu’ bisogno o se ritengono che mantenerla sia troppo dispendioso. Le vedove vendute vengono poi utilizzate dai loro nuovi padroni per pulire i maiali o per altri lavori simili. ‘’E’ ancora una pratica molto diffusa – ha raccontato al Times of India Sunkappa, un vecchio membro della comunita’ – ancora oggi si fa una vera e propria compravendita di vedove’’. Il Governo indiano, al corrente di questa situazione, ha in piu’ occasioni promesso di intervenire ma finora nulla sembra essersi mosso. Il Ministro per il welfare indiano, D. Sudhakar, ha detto di essere rimasto scioccato nell’apprendere dell’esistenza di queste pratiche e di voler provvedere per fornire a queste donne sventurate case ed assistenza, oltre a promuovere campagne di sensibilizzazione e di istruzione nell’ambito della comunita’ Handi Koracha. Ma sono in molti a denunciare il fatto che, ad li la’ delle parole e delle promesse, il problema non e’ mai stato seriamente affrontato. Numerose organizzazioni non governative stanno da tempo occupandosi del fenomeno. Wimochana, una ONG di Bangalore, ha condotto lo scorso anno uno studio sulla diffusione della ‘’Ruka’’. ‘’Non e’ stato facile ottenere dei risultati significativi – spiega Madhu Bhushan, membro della ONG Wimochana – perche’ la gente e’ ancora reticente a parlarne. C’e’ una sorta di omerta’. Comunque stiamo lavorando per cercare di creare consapevolezza del problema fra la gente, anche se e’ il governo che dovrebbe fare dei passi in avanti per educare questa comunita’ e sradicare queste assurde pratiche, frutto soprattutto dell’ignoranza’’.

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La Cina chiede all’india di bloccare riunione speciale governo tibetano

Il governo cinese ha chiesto a quello indiano di bloccare l’incontro di sei giorni convocato dal Dalai Lama a Dharamsala, nel nord dell’India, il 17 novembre per discutere del futuro del Tibet. Lo scrive l’edizione on line del quotidiano The Times of India, riportando le dichiarazioni in conferenza stampa a Pechino di un portavoce del ministro degli esteri cinese. ”Il governo indiano si e’ impegnato solennemente a bloccare ogni attivita’ anticinese sul suo territorio. Speriamo che questa promessa verra’ mantenuta”, ha detto Qin Gang, portavoce del ministro degli esteri di Pechino. Secondo Gang, chiunque partecipi all’incontro organizzato dal Dalai Lama, non potra’ essere accettato dal popolo cinese, il cui governo ”e’ contrario a chiunque tenti di dividere la nazione o far emergere questa questione interna sulla scena internazionale”. L’India si era impegnata, alla vigilia dei giochi olimpici di Pechino, a bloccare attivita’ anticinesi sul territorio indiano e in cambio il governo di Pechino ha lodato l’impegno di New Delhi. Ma questa nuova richiesta non e’ contro i manifestanti pro Tibet, ma e’ diretta contro il Dalai Lama, che il governo di Pechino chiede a Delhi di fermare. Le diplomazie dei due paesi sono scese in campo per affrontare la questione. L’India teme da parte cinese una ”vendetta” nei confronti dell’Arunachal Pradesh, lo stato indiano mai riconosciuto dalla Cina che lo considera invece parte del proprio territorio. Il 17 novembre, a Dharamsala, la citta’ del nord dell’India dove ha sede dagli anni 50 il governo tibetano in esilio, si terra’ una riunione speciale degli organi di governo e amministrativi del Tibet. L’incontro e’ stato voluto dal Dalai Lama per decidere la nuova strategia futura sul Tibet, che potrebbe anche prevedere la sua uscita di scena, dal momento che la sua ”via di mezzo”, l’azione non violenta nei confronti della Cina nella richiesta di una completa autonomia, e’ fortemente criticata soprattutto dai giovani tibetani che sono per un intervento piu’ deciso. Il leader spirituale e politico dei tibetani ha nelle scorse settimane, esternato la sua frustrazione e delusione nei confronti delle trattative con Pechino, parlando di ”perdita di fiducia” e di scomparsa del Tibet. L’ultimo round di colloqui a Pechino tra inviati del Dalai Lama e governo cinese e’ terminato da poco, ma da parte tibetana non ci sono stati commenti che, hanno annunciato stamattina i due inviati, verranno fatti solo durante l’incontro speciale del 17 novembre.

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Inviati tibetani a Pechino per colloqui

La Cina non ha confermato né smentito la prossima visita di due inviati del Dalai Lama annunciata dalla stampa di Hong Kong, ma dall’ India il governo tibetano in esilio ha confermato la loro partenza per la Cina. I due inviati, Lodi Gyaltsen Gyari e Kelsang Gyaltsen, afferma un comunicato, sono partiti per Pechino dove si fermeranno “per circa una settimana”. In una conferenza stampa a Pechino la portavoce cinese Jiang Yu non ha né smentito né confermato la notizia. Si tratterà dell’ ottavo incontro tra rappresentanti cinesi e tibetani dal 2002 e del terzo dopo la rivolta della scorsa primavera, nella quale secondo gli esuli tibetani sono morte più di 200 persone e “migliaia” sono state arrestate. Pechino parla di poco più di 22 vittime e di 41 persone condannate a pene detentive. Il nuovo incontro avviene a sorpresa, dopo che il Dalai Lama, il leader tibetano e Premio Nobel per la Pace che vive in esilio dal 1959, aveva affermato di essere “stanco di aspettare” un segnale positivo da Pechino. Nella dichiarazione il leader tibetano afferma tra l’ altro di “non aver perso la fede nel popolo cinese” ma aggiunge: “la mia fiducia nell’ attuale governo cinese si sta affievolendo e sta diventando molto difficile”. Poche ore dopo le dichiarazioni del leader tibetano, Pechino ha annunciato di aver invitato per i colloqui i tibetani “su richiesta del Dalai Lama”.

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L’alta Corte chiede al governo di Delhi di non discriminare gli omosessuali

L’alta corte indiana ha inviato una richiesta al governo centrale di non continuare la discriminazione nei confronti degli omosessuali che, secondo la legge indiana, sono punibili con la galera fino all’ergastolo. L’alta corte si chiede ”cosa spinga lo stato ad avere ancora interesse a continuare con queste leggi contro gli omosessuali dal momento che queste persone soffrono di discriminazione e vengono visti non degni dalla societa”’. La richiesta dell’alta corte nasce dall’esigenza di poter assicurare agli omosessuali che sono malati di AIDS, di poter fare ricorso alle cure. Questi, infatti, per paura di essere scoperti e di andare in galera, non dichiarano ne’ la loro omessualita’ ne’ tanto meno la loro malattia. Secondo il governo, invece, non e’ questione di legge ma semplicemente di inculcare una educazione diversa sulle cure per l’HIV. ”Legalizzare questi atti – ha risposto l’avvocato generale dello stato PP Malhotra – non e’ la risposta. Coloro che indugiano in questi atti non si fanno avanti non per timidezza, ma per incolpare il governo”. Malhotra, mentre giustifica le misure penali contro gli omosessuali, ha spiegato che l’India non puo’ seguire il trend delle societa’ occidentali che considerano l’omosessualita’ normale. Per l’avvocato, che ribadisce che ”non c’e’ il concetto di orientamento sessuale nella costituzione indiana”, il diritto alla privacy degli omosessuali non e’ assoluto mentre deve essere preso in considerazione l’interesse di larga parte della societa’. ”Il sesso tra gay – ha detto Malhotra all’agenzia PTI – e’ contro l’ordine naturale. Noi andremmo contro la natura se gli permettessimo di agire. E’ uno dei casi, questo, nel quale lo stato deve chiedere l’aiuto della legge per mantenere la moralita’ pubblica”. La richiesta della corte e’ arrivata dopo la presentazione di una istanza da parte di un gruppo di attivisti per i diritti degli omosessuali che chiede la cancellazione della legge penale contro di loro. Secondo le associazioni per i diritti dei gay, le leggi che giudicano penalmente l’omossessualita’ in India, portando fino alla pena dell’ergastolo per i gay, violano i diritti fondamentali di di uguaglianza, discriminando gli atti omosessuali sul terreno della moralita’. Nel governo, il solo ministro della salute, Ramadoss, si è da tempo espresso a favore della depenalizzazione dell’omoessualità nel paese.

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