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L’India critica alla vigilia del G8

Il primo ministro indiano Mannmohan Singh ha rimproverato oggi i Paesi industrializzati per il rallentamento finanziario ed economico attuale e per le avverse conseguenze derivanti dai cambiamenti climatici che il mondo sta affrontando. “Il rallentamento finanziario ed economico a cui stiamo assistendo – ha detto il Premier indiano – è particolarmente nocivo per il raggiungimento degli obiettivi da parte di paesi che si stanno sviluppando, come l’India. Si tratta di una crisi che non è stata causata da noi, ma della quale noi ci troviamo a dover subire le conseguenze. Il rallentamento nelle economie dei paesi avanzati ha colpito anche le nostre esportazioni, rafforzato sentimenti protezionisti e avuto impatto negativo anche sul flusso dei capitali”. Singh parteciperà da domani agli incontri del G8 (il gruppo degli otto paesi più ricchi e industrializzati) come invitato, e a quelli del G5 (il gruppo dei cinque paesi emergenti, Cina, India, Messico, Brasile e Sud Africa). “Quello dei cambiamenti climatici sarà certamente uno dei più importanti argomenti di discussione all’Aquila – ha proseguito Singh – sono i paesi in via di sviluppo che sono quelli che di più ne risentono”. L’India, insieme ad altre economie in via di sviluppo come la Cina, ha rifiutato di impegnarsi al taglio delle emissioni di carbone nel quadro di un trattato stipulato dai paesi industrializzati, in primis gli Stati Uniti. Singh, durante il suo soggiorno italiano, terrà anche incontri bilaterali con il presidente americano, Barack Obama, e con gli altri leaders dei Paesi G8. Parteciperà inoltre al MEF Major Economies Forum) sul tema degli scambi commerciali. “Vorremmo assistere – ha concluso il Premier indiano – ad una risposta globale ben concertata e coordinata per stimolare l’economia reale. A lungo termine, vorremmo poi vedere un maggiore livello di stabilità e sostenibilità nella crescita del mondo sviluppato e nella situazione finanziaria internazionale”.

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India al quinto posto tra i paesi per uscite illecite di denaro

Ogni anno dall’India escono illegalmente circa 27 miliardi di dollari. E’ quanto sostiene un rapporto della ”Global Financial Integrity” una organizzazione americana. Nel rapporto, intitolato ”Uscite illecite dai Paesi in via di Sviluppo dal 2002 al 2006” si legge che l’India figura al 5 posto posto nella lista dei paesi nei quali ogni anno si registrano ingenti uscite di denaro attraverso canali illeciti. Il direttore della GFI ha detto che non e’ solo un problema dell’India. In cima alla lista infatti figurano la Cina (con uscite illecite da 233 a 289 miliardi di dollari), l’Arabia Saudita (da 54 a 55 miliardi di dollari), il Messico (da 41 a 46 miliardi di dollari) e la Russia (da 32 a 38 miliardi di dollari). Il rapporto del Global Financial Integrity e’ stato stilato sulla base dei dati relativi agli scambi commerciali e al debito estero forniti dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. In India il tema della fuoriuscita illecita di denaro e’ attualmente oggetto di confronto tra il Partito del Congresso e quello dell’opposizione, il BJP. Quest’ultimo infatti accusa il Congresso di aver ignorato il problema durante gli anni del suo governo. Il Congresso, dal canto suo, accusa il BJP di voler esagerare la portata del problema a fini elettorali.

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Praga meglio di New Delhi nella ricerca farmaceutica

Di seguito riporto un articolo de Il Sole 24ore pubblicato ieri a pagina 28, a firma di Micaela Cappellini. L’articolo è reperibile anche qui in formato pdf, dove ci sono anche i grafici. Credo che questo articolo faccia cadere un altro mito nell’ambito dell’economia mondiale che vede l’India meta privilegiata per questo tipo di ricerche.

Repubblica Ceca, Polonia, Sudafrica. È qui che si fa l’innovazione nel campo della farmaceutica e delle tecnologie per la salute. Qui molto meglio che in Cina o in India. Anche se,quando si parla di delocalizzazione della ricerca e sviluppo, la mente va subito ai due giganti asiatici. Dalla loro hanno la dimensione, ma, a conti fatti, offrono una performance minore rispetto a gioielli più piccoli, ma più scintillanti, fra i Paesi emergenti. A sostenerlo sono gli analisti di Deloitte, che hanno elaborato un pacchetto di indicatori per misurare il livello di innovazione nel campo della salute da parte dei Paesi emergenti. Tabelle che tengono conto della presenza di laboratori per la ricerca, di personale specializzato, ma anche di tutela dei brevetti, di capacita di tradurre un’innovazione in un prodotto commercializzabile, di catena di distribuzione, di ambiente di business. Il risultato è chiaro: Repubblica Ceca, Polonia, Sudafrica, ma anche Corea del Sud e Singapore, battono Pechino e New Delhi e si avvicinano molto agli standard europei o statunitensi. “Molti test clinici a livello globale vengono già fatti in Repubblica Ceca – spiega Roberto Go, responsabile della divisione Life Sciences and Health Care di Deloitte – qui sono presenti Sanofi Aventis, che ha recentemente acquisito Zentiva,e Teva”. Varsavia, invece, se la cava molto bene sul fronte dello sviluppo clinico, mentre Pretoria ha saputo creare eccellenti sinergie tra le università e i laboratori di ricerca industriali. “Tra le compagnie da tenere d’occhio in Polonia – continua Go – ci sono la Polpharma e la. Polski Holding Farmaceutyczny, mentre in Sudafrica meritano attenzione la Adcock Ingram e la Aspen Holdings”. Più note le potenzialità nel campo della ricerca di altri due emergenti, la Corea del Sud e Singapore. E i risultati si vedono: “La Pfizer – ricorda Go – ha già investito 300 milioni di dollari nella R&S a Seul. Mentre per la prima volta una società sudcoreana, la LG Lifesciences, ha ottenuto l’approvazione da parte dell’Fda, l’ente di controllo dei farmaci Usa, per la commercializzazione negli Stati Uniti della sua Gemifloxacina, per la terapia delle infezioni dell’apparato respiratorio”. Anche vantaggi che offre Singapore sono molteplici: “Dalla disponibilità di venture capital – conclude Go – alle leggi per la protezione dei brevetti, fino a un’ampia disponibilità di ricercatori professionisti”.

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L’India perde colpi: non è tra i migliori paesi dove investire

L’India è scesa di undici posti fino al 75mo, della speciale classifica realizzata dalla rivista americana Forbes e riguardante i migliori paesi per il business. Ai primissimi posti, Danimarca e Stati Uniti. L’India è scivolata in graduatoria ed è posizionata al 125mo posto per libertà di commercio e di scambi, al 64mo per tecnologia, al 118 per tasse societarie, al 71mo per corruzione. Nel campo della libertà monetaria l’India è al 107mo posto, al 44mo per il diritto di proprietà, al 30mo per l’innovazione, al 90mo per il “red tape” (l’eccessiva complessità delle regole e delle leggi, una sorta di indice di tasso di burocrazia), al 54mo posto per le libertà personali. Il Canada è il terzo paese al mondo seguito da Singapore, Nuova Zelanda, UK, Svezia, Australia, Hong Kong e Norvegia. L’Italia è al 28mo posto. Le mancate riforme economiche, la forte tassazione, i dazi, il protezionismo che impedisce l’accesso degli stranieri in diversi settori, hanno peggiorato il giudizio sull’India anche se il giornale ha notato qualche spiraglio in alcuni settori come le telecomunicazioni. Le privatizzazioni mancate rimangono un problema, anche se l’economica è cresciuta in maniera esponenziale dal 1997, riducendo la povertà di circa il 10%.

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Da una parte la crisi e i problemi, dall’altro l’India

E già, è proprio così. Il mondo crolla, l’economia affossa i paesi tra i quali l’India (vedi il post sui disoccupati), siamo sull’orlo di una guerra nucleare con il Pakistan, i nazionalisti picchiano le donne che bevono e fumano nei pub minacciando ritorsioni per San Valentino e i media indiani che fanno? Da ieri dirette sull’asta in corso oggi a Goa tra i consorzi realizzati per la seconda edizione del campionato di cricket indiano, per aggiudicarsi i migliori giocatori a suon di milioni di dollari. Voi direte: beh, succede anche in Italia, durante il calciomercato. Si, è vero, ma in Italia questa non è la notizia di apertura, collegamenti 24 ore su 24, giornali e telegiornali che parlano solo di questo. E tutto il resto? E la crisi? E la guerra? Poi accusano noi napoletani che con una chitarra e un mandolino cantiamo anche sulle disgrazie.

Basta ca ce sta ‘o sole,

ca c’è rimasto ‘o mare,

na nénna a core a core,

na canzone pe’ cantá…

Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto…

chi ha dato, ha dato, ha dato…

scurdámmoce ‘o ppassato,

simmo ‘e Napule paisá!…

Certo è una cosa buona, spezzare un attimo la tensione di questi giorni. Ma qui stiamo esagerando. Tutti, e dico tutti i media parlano solo di questo. Complimenti. La stampa indiana è si democratica e pluralista forse più che in qualsiasi altro paese, ma non mi sembra molto di qualità. Unico accenno alla guerra per ora fortunatamente solo fredda, il fatto che nessun giocatore pachistano potrà giocare in India. Amen.

SIMMO ‘E NAPULE PAISA’

di Fiorelli – Valente

Tarantella, facennoce ‘e cunte, nun vale cchiù a niente ‘o ppassato a penzá…

Quanno nun ce stanno ‘e tramme, na carrozza è sempe pronta n’ata a ll’angolo sta giá:

Caccia oje nénna ‘o crespo giallo, miette ‘a vesta cchiù carella, (…cu na rosa ‘inte capille, saje che ‘mmidia ‘ncuoll’ a me…)

Tarantella, facènnoce ‘e cunte, nun vale cchiù a niente “‘o ppeccomme e ‘o ppecché…”

Basta ca ce sta ‘o sole, ca c’è rimasto ‘o mare, na nénna a core a core, na canzone pe’ cantá…

Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… chi ha dato, ha dato, ha dato… scurdámmoce ‘o ppassato, simmo ‘e Napule paisá!…

Tarantella, stu munno è na rota: chi saglie ‘a sagliuta, chi sta pe’ cadé!

Dice buono ‘o mutto antico: Ccá se scontano ‘e peccate… ogge a te…dimane a me!

Io, nu poco fatto a vino, penzo ô mmale e penzo ô bbene… ma ‘sta vocca curallina cerca ‘a mia pe’ sa vasá!

Tarantella, si ‘o munno è na rota, pigliammo ‘o minuto che sta pe’ passá…

Basta ca ce sta ‘o sole,

Tarantella, ‘o cucchiere è n’amico: Nun ‘ngarra cchiù ‘o vico addó mm’ha da purtá…

Mo redenno e mo cantanno, s’è scurdato ‘o coprifuoco, vò’ surtanto cammená…

Quanno sta a Santa Lucia, “Signurí’, – nce dice a nuje – ccá nce steva ‘a casa mia, só’ rimasto surtant’i’…”

E chiagnenno, chiagnenno, s’avvía… …ma po’, ‘a nustalgía, fa priesto a ferní…

Basta ca ce sta ‘o sole,

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500 mila disoccupati in più in India

A causa della crisi mondiale, 500 mila persone hanno perso il lavoro in India tra ottobre e dicembre del 2008. Lo rende noto uno studio condotto dal ministero del lavoro indiano. Lo studio ha preso in esame 20 centri in undici stati, comprendendo otto tra i maggiori settori dell’economia indiana come tessile, metallurgico, information technolgy e outsorcing, automobilistico, gioielleria e pietre, trasporti, costruzioni e industria mineraria. In questi settori, il totale degli addetti e’ sceso da 16,2 milioni nel settembre 2008 a 15,7 milioni nel dicembre dello stesso anno. I settori destinati all’esportazione hanno visto il calo maggiore, con la gioielleria che ha perso l’8,43% della sua forza lavoro. A seguire, i settori metallurgico e tessile, con perdite del 2,6% e dell’1,29% della loro forza lavoro. Anche sul lato interno, la gioielleria e’ risultato il settore con la maggior perdita di addetti, con una percentuale dell’11,9%, seguita dal settore automobilistico e da quello dei trasporti che hanno perso rispettivamente il 4,79% e il 4,03% dei loro addetti.

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Sull’Orissa e la questione religiosa

Ho letto e commentato questo post del blog di Enrica Garzilli, ottimo come sempre. Vi stimolo a continuare la discussione. Intanto, però, leggo da Repubblica, che prende le notizie dall’agenzia del Pontificio Istituto Missioni estere, che alcune suore di Madre Teresa sono state aggredite (mi pare, leggendo il pezzo, più appropriato il termine ‘minacciate’ e quello ‘bloccate’) in una stazione. Che scandalo! Ovviamente non che le suore siano state bloccate, ma che Repubblica lo scrivi. Ma vi rendete conto di quello che fate? Che giornalismo è questo? Raccontare cose che sono nella, purtroppo, quotidianità di questo paese, non fa altro che alimentare questi atti. Mi sembra di sentire quegli italiani che dicono, riferendosi ai musulmani, “noi li ospitiamo nel nostro paese e gli costruiamo le moschee e loro non ci fanno costruire le chiese nei loro”. Ma basta con questi noi e loro. E soprattutto basta con questi articoli.  Ci siamo già dimenticati dei tre preti che sono stati barbaramente picchiati a Torino. Ah già, dimenticavo, sono stati degli extracomunitari a farlo. Magari degli induisti dell’Orissa. Intendiamoci: io sono cattolico apostolico (ma poco romano) e confido nella libertà religiosa. Non ho letto in nessun passo del vangelo l’obbligatorietà di ricevere questa libertà, anzi, il cristianesimo ha nei martiri della fede, figure fantastiche. Ovviamente non tutti sono votati al martirio e alla santità, ma a me interessa quello che faccio io per gli altri, non quello che gli altri fanno per me.

Intanto, leggo dall’Ansa, nell’articolo che parla della riunione informale di ieri dei ministri dell’unione europea, che

…il titolare della Farnesina ha avuto modo di mettere sul tavolo anche un tema particolarmente caro al governo Berlusconi: la tutela della liberta’ religiosa. Dopo le violenze anti-cristiane dei giorni scorsi nello stato indiano dell’Orissa, Frattini aveva gia’ convocato l’ambasciatore indiano alla Farnesina per avere informazioni dirette su quanto stesse accadendo. E oggi la presidenza francese ha accolto la richiesta proprio di Frattini di inserire la questione nell’agenda del vertice Ue-India che si terra’ il prossimo 29 settembre a Marsiglia: l’Italia, ha osservato il ministro, e’ stato ”l’unico paese europeo ad aver sollevato il tema della liberta’ religiosa in India” e ”oggi la mia richiesta e’ stata accolta senza nessuna obiezione dalla presidenza francese”.

Come dice il mio amico Claudio: meji coglioni!

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Frena la crescita indiana

L’economia indiana sta crescendo meno del previsto, facendo registrare la performance più bassa degli ultimi tre anni. Secondo i dati ufficiali del governo resi noti oggi, la crescita del prodotto interno lordo dell’India, terza economia asiatica, si è attestata al 7,9% nel primo quadrimestre di quest’anno finanziario, contro l’8,8% del quadrimestre precedente e il +9,9% registrato nello stesso periodo dell’anno scorso. Il rallentamento è dovuto ai continui interventi della banca centrale indiana che ha dovuto alzare tre volte i tassi di interesse per bloccare l’inflazione che ha raggiunto massimi storici da 13 anni, attestandosi a 12,40%. L’ufficio centrale di statistica indiano si aspettava per questo periodo una crescita dell’8,1%. Uno dei settori che ha patito di più è stato quello manifatturiero che è cresciuto del 5,6% nel primo quadrimestre contro i 10,9% dell’anno scorso. Nei settori dei servizi (che occupa più la metà del prodotto interno lordo), commercio, alberghi, trasporti e comunicazioni, la crescita è stata dell’11,2% contro i 13,1 precedenti. Finanza, assicurazione, servizi economici e immobiliare sono scesi dal 1,6% al 9,3%. La crescita dell’agricoltura è scesa dal 4,4% al 3%, in un settore che rappresenta il 20% del PIL indiano.

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Aria di recessione sull’India senza speranza

La tigre asiatica ha fermato il suo sviluppo? Guardando in televisione il programma Face the Nation, un talk show di approfondimento politico, eocnomico, culturale e sociale della teleisione IBN LIve, parrebbe di si.  Tassi di interessi altisismi per i mutui delle case, aumento di rate per prestiti su auto e moto, prezzi dei prodotti di prima necessita’ alle stelle, piccolo incremento dei salai, sono alcuni dei problemi che l’uomo comune indiano patendo in questi giorni. Gia’, l’uomo comune, come lo ha definito la politica dell’alleanza che governa in India, l’UPA, guidata da Sonia Gandhi. Verso la crescita dell’uomo comune e verso i contadini soprattutto, si era indirizzata la politica del governo. Si vede che hanno sbagliato strada e non hanno trovato l’indirizzo. Complice anche una situazione economica internazionale infleice, la situzione in India si sta facendo complicata, l’inflazione e’ ai massimi storici e la gente non acquista nulla, si bruciano miliardi nelle borse, l’economia crolla. Alla faccia della speranza indiana.

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Al bando in India i piloti stranieri. Alla faccia dell’economia aperta a tutti

Meno piloti stranieri e più piloti indiani in futuro nelle compagnie aeree del paese di Gandhi. E’ questo l’obiettivo che si prefigge il governo indiano per fronteggiare le proteste degli studenti indiani che, a volte dopo aver speso migliaia di euro per ottenere la licenza di volo (la cosiddetta Cpl) non riescono a trovare lavoro. Il Ministero dell’aviazione ha stabilito che una compagnia aerea indiana potrà usare un pilota straniero fino ad un massimo di tre anni e comunque non oltre il 31 luglio 2010. La possibilità di utilizzare piloti stranieri per un periodo più lungo o dopo quella data sarà resa complicata dal fatto che per ogni singolo caso la Direzione generale dell’aviazione civile dovrà consultare il Ministero. “Mandando richieste per l’utilizzo di piloti stranieri – spiega A.K Sharan, vice direttore generale della Dgca – le compagnie aeree indiane dovranno dimostrare che le loro necessità non possono essere soddisfatte facendo ricorso al mercato indiano, nonostante i loro sforzi di reclutamento e addestramento di piloti indiani”. “Non vogliamo danneggiare la crescita delle compagnie – ha dichiara un altro funzionario della Dgca – ma solo difendere gli interessi degli studenti indiani”. Dei 5.500 piloti che lavorano in India con le compagnie locali, attualmente circa 1.000 sono stranieri. Anche il numero dei co-piloti stranieri è in crescita, a dimostrazione di un trend generale.

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