Un altra immagine inconografica è caduta, così la mia battaglia contro le ovvietà sta andando avanti e ne sono orgoglioso. Chi pensava che solo a Napoli potessero fare un furto con destrezza sotto gli occhi di tutti, leggendo quello che c’è di seguito si dovrà ricredere. Certo, qualcuno potrà obiettare che il colpevole sia un napoletano in missione oppure sia un indiano addestrato da napoletani. Da presidente del Club Napoli New Delhi posso smentire entrambe le cose con cognizione di causa. Ecco i fatti. Il 26 gennaio qui è festa nazionale. Si festeggia la Festa della Repubblica, un po’ il nostro 2 giugno, e, come al solito, c’è la parata militare per la strada più importante di Delhi, RajPath, che va dalla residenza del presidente, il Rashtrapathi Bawan ex residenza del vicerè britannico, all’India Gate, il monumento ai caduti. Soldati, carriarmati, truppe cammellate (è il caso di dirlo) mezzi di ogni tipo di mare, cielo e terra, cannoni, missili, armi, e c hi più ne ha più ne metta. Ai lati delle strade, sedie, gradinate e pubblico stipato ad ammirare la magnificenza dell’artiglieria leggera e pesante indiana, accompagnata dalle cornamuse, dalle bande militari, dalle bandiere tricolori, dalle urla di gioia. Tutto il governo è presente (a parte, questa volta, il primo ministro che era in ospedale), il presidente, ospiti stranieri, il presidente kazakho, diplomatici, addetti militari delle ambasciate. Tutto il gotha, tutti quelli che contano. Una sicurezza incredibile, cecchini, truppe d’assalto, polizia, cani, agenti in borghese. Eppure è successo. Ad un alto diplomatico giapponese, seduto poche sedie più in là del presidente indiano Pratibha Patil, hanno rubato la borsa con documenti, soldi e quant’altro. A parte la solita ironia che potrebbe essere stata la stessa presidente visti i suoi trascorsi, la cosa ha dell’incredibile. Ma vi rendete conto? Nel luogo più controllato e protetto di tutto il paese, un ladruncolo qualsiasi riesce a rubare la borsa a due passi da dove il presidente dell’India è seduta. Un grande. Dovrebbero dargli la medaglia al valore e la pensione. Menzione speciale e cattedra ad honorem all’università dei quartieri spagnoli. La cosa che mi lascia perplesso è la questione della sicurezza, di cui ho già parlato diverse volte nel blog. Ma vi rendete conto che questa mappata di pseudo agenti controllano anche una quindicina di centrali nucleari in un paese ad alto problema terrorismo? Mi vengono i brividi. E poi ci chiediamo come abbiano potuto dieci persone a tenere in ostaggio una città come Mumbai per quasi una settimana. Meditate gente, meditate.
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L’identità indiana
Oggi è la festa della Repubbilca indiana. 58ma ricorrenza della proclamazione della Repubblica. Come ogni anno, ma quest’anno nel freddo siberiano, l’esercito è sfilato per Campi Elisi di Delhi, il Rajpath, la strada dei re che collega l’India Gate al Rashtrapati Bhavan, il palazzo presidenziale indiano.
Migliaia di persone presenti, ministri, deputati, il primo ministro, il presidente Patil e quello francese Sarkozy, ma senza la Bruni.
E’ in queste occasioni che si sente l’attaccamento degli indiani al loro paese. Devo dire che gli indiani non hanno un grosso sentimento nazionale. Il tricolore, l’inno scritto da Tagore, l’emblema del capitello di Ashoka, sembrano non essere dei collanti per tenere uniti gli indiani.
Dopotutto, 22 lingue ufficiali più l’inglese, dedine e decine di migliaia di dialetti, 28 stati membri e 7 territori dell’unione racchiusi in quai 3 milioni e 300 mila di chilometri quadrati (circa 11 volte l’Italia) con 1miliardo e 100 milioni di persone, non rendono la vita facile.
E allora, cosa rende uniti gli indiani? Un quesito che mi è stato posto durante il seminario alla seconda università di Napoli al quale ho partecipato due settimane fa.
Non è semplice rispondere. Sicurametne lo sport, il cricket in particolare, è un collante forte, un marcatore dell’identità indiana. Io però credo che il minimo comune denominatore sia la questione e il sistema delle caste.
Pur se sono state abolite dalla costituzione, le caste vivono e continuano a mantenere e regolare il sistema sociale indiano. Certo, non si assiste alle esagerazioni del passato, quando un dalit che incontrava sulla sua strada un bramino doveva allontanarsi in maniera tale che neanche le ombre si toccassero, ma non siamo molto lontani.
Quando sono arrivato in India, agli intoccabili, quelli ad esempio che vengono a raccogliere l’immondizia da casa, non si dava da bere in bicchieri, ma si versava direttamente l’acqua nelle mani, per non fare toccare loro le stoviglie, per non contaminarle.
Ovviamente a casa mia mai è successa una cosa del genere, ma nel mio palazzo e intorno a me succede ancora. Quando ho chiesto al mio padrone di casa, un bramino, di mettere lo scaldabagno nella stanzetta della mia cameriera, lui mi ha risposto di no, perchè “non bisogna abituarli”.
Stamattina è salito perchè mi si è rotto un rubinetto e si è meravigliato del fatto che oggi, festa nazionale indiana, io abbia dato il giorno libero alla cameriera e alla tata. Non si deve fare mi ha detto. Pensa se viene a sapere che do’ 200 euro ad una e 160 all’altra. Si incazza come una belva, visto che lui da 40 euro al mese 24h su 24 7 giorni su 7.
Anche i matrimoni sono ancora regolati dal sistema castale. Gli annunci sul giornale la domenica dividono le offerte e le richieste per casta, olter che per lingua e religione. Adesso da un annetto, ci sono anche gli annunci per le vedove, i malati di AIDS, i separati.
Ma siamo ancora molto indietro. L’India delle grandi città è un paese; quella delle periferie e dei villaggi è un’altra cosa, un altro paese. Il governo tende a riservare dei posti pubblici alle minoranze religiose e alle caste e alle tribù registrate, ma questo non fa altro che ampliare i dissidi fra le etnie, i gruppi sociali e religiosi, perchè gli emarginati da queste riserve protestano veementemente.
Non c’è soluzione alla cosa. Non credo che nel medio termine si possa cambiare. E poi cambiare perchè? Il sistema regge, mantiene, e sorregge tutto l’apparato. Quello di cui ci sarebbe bisogno è una minore sperequazione, una riduzione delle distanze economiche e sociali, una più equa distribuzione di tutto.
Ma non siamo ad Utopia. Questa è un’altra isola. Non molto felice.
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