Archivi tag: indipendenza

Il terrorismo? In Pakistan è colpa dei dittatori

Il Pakistan si trova ora ad affrontare il problema terrorismo a causa di decisioni sbagliate adottate all’epoca della dittatura. Lo ha detto oggi il Primo Ministro del Pakistan, Yusuf Raza Gilani, al termine delle celebrazioni tenutesi ad Islamabd per il giorno dell’indipendenza, puntando decisamente il dito contro l’ex presidente Pervez Musharraf. Gilani ha aggiunto che il 17/o emendamento del regime dittatoriale, che concede al presidente ampi poteri e che fu voluto da Musharraf, dovra’ essere cambiato dal parlamento in modo da rendere la costituzione consona al regime democratico. Gilani ha poi detto che quella islamica e’ una religione di pace e di armonia e che sono i terroristi a disonorarla e travisarla attraverso le loro attivita’ negative. Facendo riferimento alle recenti attivita’ militari nella valle dello Swat e in Makaland, Gilani ha affermato che ”il governo del paese aveva inizialmente optato per adottare misure pacifiche per risolvere la questione. Ma in seguito abbiamo dovuto prendere la inevitabile decisione di iniziare un’azione militare nell’interesse della nazione, dal momento che i nostri sforzi di pace sono stati considerati come una nostra debolezza”. Il premier pachistano ha poi voluto rendere omaggio al coraggio dimostrato dalle forze armate nella lotta contro il terrorismo e a tutti coloro che hanno dato la loro vita per liberare il paese dagli estremisti. Sulla politica estera Gilani ha parlato principalmente di Afghanistan, affermando che ”il Pakistan sin dall’inizio ha cercato sempre di promuovere un’atmosfera di fratellanza e di pace fra i due Paesi”. Sempre oggi il Ministro dell’Interno, Rehman Malik, ha denunciato gli attacchi dei droni americani, definendoli molto controproducenti per l’integrita’ del paese. Parlando con la stampa locale dopo aver deposto dei mazzi di fiori su un monumento eretto per i martiri pachistani, Malik ha chiesto al governo degli Stati Uniti di provvedere a concedere al Pakistan droni e tecnologie da poter utilizzare contro i terroristi. Il Ministro dell’Interno ha aggiunto che ci sono abbondanti prove che il capo di Tehreek-e-Taliban, Baitullah Mehsud, sia stato realmente ucciso. ”Se fosse vivo – ha detto – i talebani avrebbero certamente prodotto un audio o un video con qualche sua dichiarazione”.

1 Commento

Archiviato in Diario dal subcontinente

Paura attentati alla vigilia della festa nazionale

E’ allarme attentati in India alla vigilia della festa della repubblica di domani. La polizia postale dello stato indiano meridionale del Kerala ha rintracciato una e-mail contenente la minaccia di compiere una serie di attentati se non verra’ creato uno stato separato musulmano, comprendente alcuni distretti settentrionali del Kerala. La e-mail, secondo quanto reso noto dalla polizia, sarebbe stata ricevuta ieri da alcuni giornali locali, proverrebbe dagli Emirati Arabi da un dominio Yahoo! a firma di Zakhir Hussain che si qualifica come il capo di una organizzazione di recente formazione, la Malabar Mujahid, che ha la sua base a Karachi e che godrebbe del supporto anche della LeT (Lashar-e-Taiba). ”Se la richiesta della formazione di uno stato separato musulmano non verra’ accolta – si legge nella mail – allora una serie di esplosioni si verificheranno e la prima della serie ci sara’ come esempio oggi (venerdi’), giorno dell’indipendenza del Pakistan”. A seguito delle minacce tutto lo stato del Kerala e’ stato posto in stato di massima allerta e tutte le misure di sicurezza sono state rafforzate. L’allarme e’ scattato anche nello stato settentrionale del Bihar, uno dei piu’ poveri dell’India, dopo che i maoisti hanno dichiarato di voler boicottare le celebrazioni del giorno dell’indipendenza indiana, previste per domani. Le forze di sicurezza hanno rafforzato la loro presenza soprattutto nella capitale Patna, nei luoghi considerati sensibili, come gli aeroporti, le stazioni, i terminal degli autobus, per paura di possibili attentati. Stessa misura adottata nei confronti di tutti gli obiettivi sensibili indiani: dai palazzi governativi di Delhi a quelli finanziari di Mumbai, ai porti, aeroporti e stazioni ferroviarie.

Lascia un commento

Archiviato in india, Vita indiana

Celebrata dai cinesi la giornata di liberazione dal Dalai Lama

La Cina ha celebrato ieri per la prima volta il Giorno della Liberazione dalla Schiavitù nell’anniversario dell’ istituzione del primo governo filo-cinese nel Tibet. Il territorio fu definitivamente annesso alla Repubblica Popolare Cinese il 28 marzo del 1959, dopo la sconfitta della rivolta iniziata il 10 marzo, che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama. In una cerimonia sulla piazza antistante il Potala, il palazzo d’inverno dei Dalai Lama a Lhasa, il governo ha lanciato il suo messaggio, secondo il quale l’occupazione del Tibet da parte dell’ esercito cinese ha messo fine ad un oppressivo regime feudale. A poco più di un anno dall’inizio della rivolta dell’anno scorso, iniziata a Lhasa e poi estesasi ad altre zone a popolazione tibetana della Cina, gli oratori hanno parlato davanti ad una folla di migliaia di tibetani vestiti nei loro costumi tradizionali. La cerimonia si è svolta mentre la maggior parte delle aree a popolazione tibetana sono guardate a vista da migliaia di uomini della polizia armata del popolo, che perquisiscono tutti coloro che entrano ed escono dalle zone “pericolose” e impediscono l’accesso a tutti gli stranieri. Dall’inizio del “lockdown” del Tibet, nella prima settimana di marzo, almeno 200 persone sono state arrestate dopo manifestazioni di protesta. Zhang Qingli, il segretario del partito comunista locale, ha affermato tra l’altro che “qualsiasi complotto per rendere il Tibet indipendente, per separarlo dalla Cina socialista, è destinato a fallire”. La cerimonia, che è stata trasmessa in diretta dalla tv di Stato, ha segnato il culmine di una lunga campagna di propaganda rivolta in primo luogo contro la “cricca” del Dalai Lama, il leader tibetano che chiede per il territorio quella che chiama una “vera” autonomia ma che secondo il governo cinese punta in realtà alla creazione di un Paese indipendente. Visitando ieri una mostra sul Tibet a Pechino, il presidente cinese Hu Jintao ha detto che l’attuale “buona situazione” del territorio “é stata conquistata a duro prezzo e deve essere fortemente apprezzata”, riferisce l’agenzia Nuova Cina. In una conferenza stampa a Dharamsala in India, dove risiede il Dalai Lama, la rappresentante del governo tibetano in esilio Kesang Y.Takla ha sostenuto che “i tibetani considerano questa celebrazione offensiva e provocatoria” e che la “massiccia propaganda” del governo cinese è volta a “nascondere la repressione in atto” nel territorio. Takla ha aggiunto che prima del 1959 i detenuti nelle prigioni del Tibet erano “poco più di un centinaio”. “Dopo la cosidetta ‘liberazione’ e l’emancipazione dei ‘servi’ prigioni sono sorte in ogni parte del Tibet. Nella sola Lhasa ci sono cinque prigioni principali con una popolazione di detenuti tra i tremila e cinquecento e i quattromila”. I tibetani in esilio hanno organizzato manifestazioni di protesta anticinesi a Londra, Parigi, Bruxelles, San Francisco, New York, Toronto, Montreal, Taipei, New Delhi e Dharamsala.

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Free Tibet

La Cina celebra domani giornata di liberazione da Dalai Lama

La Cina si prepara a celebrare domani, per la prima volta, la Festa della Liberazione dalla Schiavitù nel cinquantesimo anniversario della istituzione del primo governo cinese nel Tibet, che era stato occupato nel 1950 dalle truppe dell’ Esercito di Liberazione Popolare. La Festa segna il culmine di una lunga campagna di propaganda del Partito Comunista Cinese che per gli ultimi due mesi ha inondato i mezzi di comunicazione cinesi, tutti sotto il suo controllo, di denunce della “cricca del Dalai Lama”, il leader tibetano in esilio che chiede una “vera” autonomia per il territorio ma che Pechino accusa di puntare in realtà alla secessione del Tibet dalla Cina. La scrittrice e poetessa tibetana Woeser, interpellata dall’ ANSA, ha definito “ridicola” l’ iniziativa. “E’ la prima volta in 50 anni che viene celebrata questa festa, si tratta di una risposta alle manifestazioni di protesta dell’ anno scorso”, ha aggiunto. “Il governo dovrebbe rispondere piuttosto ad una sola domanda: come mai tanti tibetani protestano ancora contro la Cina?”, ha concluso Woeser, che ha 41 anni e vive a Pechino col marito, lo scrittore cinese Wang Xilong. Woeser ha diffuso nei giorni scorsi sul suo blog alcuni fotogrammi di un filmato girato l’ anno scorso in Tibet, nel quale si vede la polizia cinese che picchia a sangue alcuni monaci e civili tibetani con le mani legate dietro la schiena. Pechino ha sostenuto che il filmato – proveniente dal governo tibetano in esilio fedele al Dalai Lama – è stato “manipolato” e ha bloccato per oltre quattro giorni il sito web “Youtube”, sul quale era visibile. “Youtube” è tornato ad essere accessibile dalla Cina nella serata di venerdì. In quello che è stato interpretato come un indiretto attacco al Dalai Lama, il “numero due” della gerarchia tibetana, il Panchen Lama nominato da Pechino, ha affermato che il territorio “si trova di fronte all’ attacco di un individuo senza scrupoli”. Per domani è stata annunciata una “cerimonia teletrasmessa” che si svolgerà a Pechino. Non è chiaro se siano state programmate attività a Lhasa, capitale della Regione Autonoma del Tibet. Dall’ inizio di marzo tutta la Regione Autonoma e altre vaste zone a popolazione tibetana delle altre province cinesi sono strette in una morsa di controlli e posti di blocco dalla Polizia Armata del Popolo, il corpo paramilitare addetto al controllo dell’ ordine pubblico. Dalla zona, completamente sigillata, sono filtrate notizie di manifestazioni di protesta e di decine di arresti dalla province del Sichuan e del Qinghai. Nel marzo dell’ anno scorso iniziarono a Lhasa proteste che poi si estesero ad altre zone tibetane e proseguirono fino alla fine di maggio. I tibetani in esilio affermano che almeno 200 persone hanno perso la vita nella repressione che è seguita, mentre la Cina parla di una ventina di vittime, in grande maggioranza immigrati cinesi uccisi dai rivoltosi tibetani.
Per il governo tibetano in esilio, la Festa della liberazione della schiavitù proclamata per domani dal governo cinese “sta aggravando i problemi in Tibet con una iniziativa offensiva, provocatoria e destabilizzante, con l’intenzione di creare caos”. Lo afferma oggi in un comunicato il ‘Kashag’, l’organo di governo tibetano in esilio a Dharamsala nel nord dell’India, che reagisce fermamente alle celebrazioni indette per domani. Il Kashag ha parole dure e annuncia che “se i tibetani perdono la looro pazienza, scenderanno per le strade a protestare, consapevoli che daranno così la scusa ai leader cinesi per usare ancor più forza bruta per fermarli”. Nel comunicato Il Kashag tibetan denuncia lo stato di sudditanza nel quale si trovano i tibetani, sottomessi all’esercito cinese, annunciando che domani sarà osservato da tutti i tibetani del mondo un giorno di lutto. Il Kashag contesta anche la caratterizzazione di “stato feudale” usata da Pechino per giustificare l’invasione del 1950.

fonte: ANSA

Lascia un commento

Archiviato in Free Tibet

La dignità perduta

Questo articolo è tratto dal Corriere della Sera di oggi. E’ l’editoriale in prima pagina di Franco Venturini, uno dei più grandi giornalisti italiani e, per mia fortuna, persona che conosco personalmente del quale apprezzo sia le doti umane che professionali. Come credo, dopo aver letto questo pezzo, anche voi. Franco da tempo scrive contro l’ipocrisia dei paesi nella faccenda tibetana e contro le repressioni cinesi. Basta inserire il suo nome su google che appariranno i suoi scritti.

La decisione del governo sudafricano di negare il visto d’ingresso al Dalai Lama non è purtroppo senza precedenti, ma è più inaccettabile di tutte le altre per almeno due motivi. Il primo riguarda la storia del Sudafrica. Una storia marchiata a fuoco dalla tragedia dell’apartheid, dalla discriminazione fatta sistema come in nessuna altra parte del mondo. Il Sudafrica moderno e multirazziale, quello di oggi, nasce dalla riconciliazione nazionale ma anche da un ripudio collettivo di quell’esperienza, si specchia in Nelson Mandela ex perseguitato e poi presidente, trova la sua identità nell’appartenenza a quella comunità di valori (l’Occidente) che sanzionò l’apartheid fino ad abbatterlo. Chi ha una storia del genere dovrebbe sentirsi obbligato a restarle fedele. Ed è per questo che la scelta del governo di Pretoria di non accogliere il leader spirituale di una minoranza oppressa assume i contorni di una vergognosa auto-sconfessione, di una fuga dalla propria insanguinata e sofferta identità.

Il secondo motivo che pesa sulla decisione sudafricana si chiama minacce cinesi, quelle alle quali Pretoria ha ceduto. Da qualche anno ormai la Cina conduce una strisciante ri-colonizzazione dell’Africa. Ovunque esistano fonti di energia — e in Africa ce ne sono in abbondanza — i cinesi investono, costruiscono, sottoscrivono contratti pluridecennali, offrono copertura politica ai governi. Le influenze americana o francese, per tanti anni rivali, oggi sono soltanto un ricordo. È evidente che questo stato di cose garantisce alla Cina una capacità d’interdizione particolarmente efficace in tutto il Continente Nero. Così come è assai probabile che i sudafricani, nella loro scelta, non abbiano dimenticato che la Cina è il principale partner commerciale di Pretoria. Ma questi dati di fatto, se rendono più comprensibili i motivi che hanno ispirato la decisione, non la giustificano. Al contrario. Proprio in quanto Stato africano che si richiama ai valori libertari dell’Occidente, il Sudafrica non dovrebbe ragionare esclusivamente con il pallottoliere dei commerci e dimenticare i valori assai diversi che la Cina porta nel continente: dal Congo dei massacri fino al caso tragico del Darfur, i cinesi si disinteressano totalmente del rispetto dei diritti umani e puntano al sodo. Cioè a sfruttare le fonti di energia e a sostenere i governi compiacenti.

Da ieri, il governo sudafricano si è iscritto a questa categoria forse conveniente ma di sicuro poco onorevole. E noi insistiamo a credere che ci abbia rimesso. In termini di immagine perché il Dalai Lama veniva a parlare dei mondiali di calcio che il Sudafrica ospiterà nel 2010 e dei rapporti tra sport e tolleranza (a proposito, la Fifa tacerà?). In termini di credibilità politica perché un Occidente che alterna «audaci» incontri con il Dalai Lama (Sarkozy) a distratte ipocrisie governative (anche in Italia), mai è giunto a negare il visto d’ingresso al premio Nobel tibetano. I commerci valgono di più, dirà qualcuno. E aggiungerà che parlare di rispetto dei diritti umani, nel mondo d’oggi, è soltanto una perdita di tempo. Noi crediamo invece che non farlo sia una perdita: di dignità.

4 commenti

Archiviato in Free Tibet

La Cina vuole riprendere i colloqui con il Dalai se questo rinuncia all’indipendenza. Ma il monaco, non l’ha già fatto?

La Cina è disposta a riprendere i colloqui con gli inviati del Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, se questi “rinuncerà a perseguire l’ indipendenza” del Tibet. Lo ha affermato oggi il primo ministro cinese Wen Jiabao. Parlando ai giornalisti nella Sala dell’ Assemblea del popolo, il premier ha accusato “alcuni paesi occidentali” di “sfruttare” il Dalai Lama per i suoi fini. “Con il Dalai Lama – ha sostenuto Wen – bisogna guardare quello che dice ma anche quello che fa…la chiave è la sincerità”. Il leader tibetano chiede per il territorio quella che definisce una “genuina autonomia” ma Pechino ritiene che in realtà il suo progetto sia quello di staccare il Tibet dalla Cina. Secondo Wen “i fatti” – tra i quali ha citato la crescita dell’ economia e la “libertà religiosa” di cui godono i tibetani – hanno dimostrato che “la politica seguita dalla Cina in Tibet è giusta”. Rispondendo a una domanda sull’eccezionale dispositivo di sicurezza dispiegato nel corso di questa settimana in Tibet in occasione dell’ anniversario della rivolta anticinese del 10 marzo 1959, Wen ha affermato che la situazione nel territorio é “pacifica e stabile”. Il Dalai Lama, in un discorso tenuto a Dharamsala in India, ha accusato Pechino di aver creato nel Tibet un “inferno in terra” nel quale hanno perso la vita “centinaia di migliaia di tibetani”. La situazione nelle aree tibetane della Cina rimane tesa in vista dell’ anniversario della ribellione dell’ anno scorso (venti morti secondo Pechino, più di duecento secondo gli esuli tibetani) e della celebrazione della nuova “festa per l’ abolizione della schiavitù”, cioé l’ annessione del Tibet alla Cina, indetta per il 28 marzo.

Lascia un commento

Archiviato in Free Tibet

Arrestati monaci in Tibet e detenuti anche due giornalisti italiani

Più di 100 monaci del monastero tibetano di An Tuo, nella provincia cinese di Qinghai, sono stati arrestati dopo una manifestazione tenuta in occasione del Capodanno tibetano, che si è celebrato il 25 febbraio. Lo hanno affermato oggi alcuni monaci dello stesso monastero parlando con due giornalisti italiani, il corrispondente dell’ANSA e quello di Sky Tg24, che subito dopo sono stati fermati dalla polizia per tre ore. Gli arresti sono stati 109 sui circa 300 monaci che vivono abitualmente nel monastero. I monaci di An Tuo hanno aggiunto che domani, 50/mo anniversario della rivolta tibetana che si è conclusa con la fuga in India del Dalai Lama, potrebbero verificarsi altre manifestazioni. Poco dopo essere usciti dal monastero, i due giornalisti italiani sono stati fermati dalla polizia e trattenuti per oltre tre ore, pur non avendo violato alcuna legge cinese. La polizia non ha dato spiegazioni sulle ragioni del fermo. Un altro episodio di protesta si è verificato oggi nella provincia del Qinghai, nella contea di Guoluo, dove due auto della polizia sono state colpite da una rudimentale bomba. Sia la contea di Guinan, che quella di Guoluo, hanno la popolazione in gran parte tibetana.

Lascia un commento

Archiviato in Free Tibet

La Cina vieta al mondo di incontrare il Dalai

Duro monito al mondo intero da parte del ministro degli esteri cinese Yang Jiechi sulla questione tibetana: nessuno – ha detto – permetta al Dalai Lama di usare il territorio del proprio stato per azioni che favoriscano la separazione del Tibet dalla Cina. Si avvicinano importanti ricorrenze che fanno temere alle autorità di Pechino nuove ondate di proteste degli attivisti pro-Tibet. In questo contesto il ministro degli esteri ha ricordato che “Il Dalai Lama vuole creare un Grande Tibet che comprenda un quarto dell’intero territorio cinese”. Il Dalai Lama e i suoi accoliti, secondo Yang Jiechi, “vogliono cacciare le forze armate cinesi e chiedere ai non tibetani di andare a vivere altrove (…) E voi lo definite una personalità religiosa”. “Se vogliono sviluppare i rapporti con la Cina, gli altri paesi non devono permettere al Dalai lama di visitarli e non devono permettergli di usare il loro territorio per attività separatiste che mirino all’indipendenza del Tibet”, ha detto. I due anniversari ritenuti particolarmente pericolosi in questi giorni da Pechino sono il 50/o anniversario dell’esilio del Dali Lama, cha cade martedì prossimo, e il primo anniversario della rivolta scoppiata il 14 marzo scorso a Lhasa, con decine di morti.

2 commenti

Archiviato in Free Tibet

Giovane monaco tenta il suicidio bruciandosi in Tibet

Tensione alta in Tibet dopo il tentativo di suicidio con il fuoco di un giovane monaco tibetano ad Aba (Ngaba in tibetano) in una zona a popolazione tibetana della provincia cinese del Sichuan, un gesto confermato oggi anche dall’agenzia di stampa ufficiale di Pechino Nuova Cina. Secondo testimoni citati dalla Campagna Internazionale per il Tibet (ICT), un gruppo filotibetano basato negli USA, agenti di polizia avrebbero ripetutamente sparato contro il giovane monaco prima di spegnere le fiamme che lo avvolgevano. Confermando la notizia, l ‘agenzia governativa Nuova Cina ha scritto che il giovane e’ ricoverato in ospedale con ustioni “al collo e alla testa”, ma non fa menzione di ferite da arma da fuoco. Il dramma avviene mentre in tutte le zone a popolazione tibetana della Cina è in corso una silenziosa protesta che consiste nel non partecipare ai festeggiamenti per Losar, il capodanno tibetano, che in genere durano 15 giorni durante i quali si svolgono banchetti, canti e balli tradizionali. La protesta è stata indetta in segno di “rispetto” per le persone che hanno perso la vita durante le manifestazioni anticinesi che si sono svolte nel marzo dell’anno scorso in molte zone della Cina abitate da tibetani. Secondo Pechino i morti sono stati solo venti, tutti civili uccisi dai rivoltosi tibetani, mentre i tibetani in esilio sostengono che le vittime sono state circa duecento e di mille persone arrestate in quel periodo – tra marzo e maggio dell’ anno scorso – non si hanno notizie. Inoltre è vicina la delicata scadenza del 10 marzo, giorno nel quale cade l’ anniversario della rivolta del 1959 che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama, il leader spirituale tibetano che da allora è vissuto in esilio. Secondo la ricostruzione di ICT, la protesta del monaco risale a mercoledì ed è stata innescata dal divieto posto dalle autorità alla celebrazione delle preghiere di Monlam, una festa religiosa collegata a quella di Losar. Poche ore dopo la notifica del divieto Tapey, il cui corpo era già cosparso di kerosene, è stato visto nel mercato vicino al monastero e, prima che gli agenti presenti potessero intervenire, si è dato fuoco agitando una bandiera tibetana fatta a mano con al centro un ritratto del Dalai Lama. I poliziotti lo hanno circondato e si sono uditi dei colpi di pistola. In seguito le fiamme sono state spente ed il giovane è stato portato via, in un apparente stato di incoscienza. Secondo l’ emittente di tibetani in esilio Voice of Tibet, manifestazioni anticinesi e pro-Dalai Lama alle quali avrebbero preso parte centinaia di persone si sono svolte in questa settimana a Guinan (Mangra in tibetano) e ad Hainan (Tsolho in tibetano), nella provincia del Qinghai. Colloqui tra esponenti cinesi ed inviati del Dalai Lama si sono tenuti in ottobre senza che sia stato raggiunto un accordo. Pechino accusa il leader tibetano di perseguire la secessione del Tibet dalla Cina, mentre il Dalai Lama afferma di voler per il territorio quella che chiama una “vera” autonomia.

Lascia un commento

Archiviato in Free Tibet

Per il Dalai e’ un capodanno da non festeggiare

”Nella nevosa terra del Tibet per tradizione celebriamo il capodanno con complessi rituali che incorporano sia elementi spirituali che materiali. Tuttavia, poiche’ lo scorso anno in Tibet centinaia di persone hanno perso la vita e altre migliaia hanno subito torture e detenzione forzata, quest’anno non e’ il momento giusto per festeggiare con la solita gioia”. Queste le parole con cui il Dalai Lama, in un comunicato stampa, ha espresso la volonta’ di osservare, quest’anno, un Capodanno (il cosiddetto Losar tibetano) silenzioso. Il calendario tibetano e’ composto da dodici mesi lunari e la festa del Losar comincia il primo giorno del primo mese lunare. ”Ognuno – ha proseguito il leader tibetano – dovrebbe invece utilizzare questo periodo per azioni positive, perseguendo finalita’ virtuose, cosi’ che coloro che hanno sacrificato le loro vite per la causa del Tibet possano trovare una loro realizzazione attraverso la rinascita in regni piu’ elevati”. Il Dalai Lama ha poi continuato sottolineando, nel comunicato, come le azioni contro i tibetani non si siano mai fermate. ”Ordini provocatori sono stati dati per le celebrazioni del Capodanno – si legge ancora nel comunicato – appare quindi chiaro che l’intenzione e’ quella di sottoporre il popolo tibetano ad un tale livello di crudelta’ in modo che poi non sia piu’ in grado di sopportare e reagisca. Per questo io faccio appello al popolo tibetano affinche’ eserciti la pazienza e non risponda a queste provocazioni”.

Lascia un commento

Archiviato in Free Tibet