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Capodanno silenzioso in Tibet

Di seguito il pezzo dell’Ansa da Pechino.

Quest’anno i tibetani celebreranno in silenzio la festa di Losar, il capodanno, astenendosi dai canti e dai balli che di solito caratterizzano questa festa, in segno di rispetto verso le vittime della rivolta anticinese dell’anno scorso. ”La voce si e’ sparsa in tutto il Tibet e nelle altre zone a popolazione tibetana sin dallo scorso novembre”, ha confermato in una conversazione con l’ANSA la poetessa e blogger tibetana Woeser, che vive a Pechino. La protesta sara’ difficile da impedire, secondo la poetessa, perche’ la celebrazioni consistono nell’andare nei templi – a Lhasa, la capitale della Regione Autonoma del Tibet, migliaia di persone affluiscono nel tempio di Jokang -, accendere le cantare, pregare. ”Ma la gente – prosegue – si asterra’ dalle altre attivita’ normalmente associate alle festivita”’, che sono iniziate oggi e si protrarranno per quindici giorni. Woeser non fa mistero delle sue simpatie per il Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, ed e’ costantemente controllata dalla polizia, che segue regolarmente anche suo marito, lo scrittore cinese Wang Lixiong. Woeser e’ in contatto con parenti amici a Lhasa: ”Dall’ anno scorso – sostiene – non e’ cambiato niente, le strade sono controllate da centinaia di poliziotti e i militari che sono stati inviati (nei giorni della rivolta) non sono mai andati via…anche se non sempre sono in divisa”. La rivolta anticinese e’ scoppiata proprio a Lhasa, il 10 marzo del 2008, l’anniversario della rivolta del 1959 che si concluse con la fuga del Dalai Lama in India. Secondo gli esuli tibetani nel corso della rivolta, che in seguito si e’ estesa ad altre zone della Regione Autonoma e alle aree di altre province a popolazione tibetana ed e’ proseguita fino alla fine di maggio, sono morte circa 200 persone. Pechino afferma che i morti sono stati in tutto una ventina e che si tratta di civili uccisi dai rivoltosi il 14 marzo a Lhasa, quando gruppi di giovani tibetani hanno attaccato e saccheggiato negozi degli immigrati cinesi. Uno studente dell’Universita’ per le Minoranze di Pechino, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha dichiarato al giornale statunitense Los Angeles Times che gli studenti che l’anno scorso avevano chiesto l’autorizzazione a festeggiare Losar hanno rinunciato alle iniziative previste ma le autorita’ accademiche hanno detto loro che devono andare avanti con i festeggiamenti. ”Le celebrazioni sono obbligatorie”, ha sostenuto il giovane. Il portavoce del ministero degli esteri Ma Zhaoxu ha affermato oggi in una conferenza stampa che la situazione nel Tibet e’ ”normale”. ”Ora il Tibet e’ stabile e calmo, la gente ha una vita piacevole”. ”La cricca del Dalai (Lama) – ha proseguito il portavoce – sta cercando di mettere in giro voci false per sabotare la stabilita’ ma e’ destinata al fallimento”. Il Tibet e altre zone a popolazione tibetana delle province del Sichuan, Gansu e Qinghai sono di fatto chiuse dalle forze di sicurezza cinesi. L’accesso viene impedito ai giornalisti – a meno che non partecipino ad uno dei rari viaggi organizzati dal governo – e spesso anche ai gruppi turistici. La polizia cinese ha sostenuto di aver trovato ”una grande quantita’ di esplosivo” sotto ad un ponte nella prefettura di Chamdo, nel Tibet orientale ma non ne ha indicato l’origine. Due settimane fa, secondo gruppi tibetani in esilio, una ventina di tibetani sono stati arrestati a Lithang, nel Sichuan, dopo una manifestazione innescata da un monaco che ha innalzato un cartello con la scritta ”No alle celebrazioni di Losar”.

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Per la Cina in Tibet è tutto a posto

La situazione in Tibet e’ ”stabile” a poco meno di un anno dalla rivolta dell’ anno scorso. Lo ha detto oggi la portavoce del ministero degli esteri cinese Jiang Yu in una conferenza stampa a Pechino in una indiretta risposta al Dalai Lama. Il leader tibetano, arrivando ieri in Germania dove gli sara’ conferita un’ onorificenza, ha affermato che il Tibet e’ molto ”teso” e che una nuova rivolta potrebbe scoppiare ”in qualsiasi momento”. Jiang Yu ha sostenuto che il problema del Tibet ”non e’ problema di diritti umani” ma che riguarda ”l’ integrita’ territoriale della Cina”. ”Tutti coloro che conoscono la storia sanno che fin dal 13esimo secolo tutte le dinastie cinesi hanno avuto la sovranita’…il Tibet non e’ mai stato un Paese indipendente”, ha aggiunto la portavoce. Il 10 marzo ricorre il cinquantesimo anniversario della rivolta anticinese che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama, che da allora vive in esilio. Il 10 marzo dell’ anno scorso sono iniziate a Lhasa una serie di manifestazioni che il 14 sono sfociate in violenze contro gli immigrati cinesi. In seguito le manifestazioni si sono estese ad altre zone a popolazione tibetana e sono proseguite fino alla fine di maggio. Secondo i cinesi le vittime sono state poco piu’ di venti, mentre i gruppi tibetani in esilio parlano di duecento.

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La Cina s’incazza con i comuni italiani che hanno accolto il Dalai e la Farnesina se ne lava le mani

Il conferimento al Dalai Lama, il leader tibetano in esilio, della cittadinanza di Roma “offende il popolo cinese” e costituisce un’ “interferenza” negli affari interni di Pechino. Lo ha detto oggi la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, in una conferenza stampa a Pechino. Jiang ha detto che l’ Italia deve prendere “immediate misure” per rimediare al danno apportato alle relazioni tra i due Paesi, ma non ha specificato quali. “Le parole e le azioni del Dalai Lama – ha detto la portavoce – dimostrano che non è solo una figura religiosa, ma un uomo politico impegnato in attività secessioniste con la scusa della religione”. I Paesi stranieri, ha aggiunto, dovrebbero “capire e sostenere” la posizione della Cina sul Tibet, che è “completamente parte della Cina”. “Il problema del Dalai Lama non è un problema di diritti umani, ma un problema attinente alla sovranità e alla integrità territoriale della Cina”, ha concluso Jiang. Il Dalai Lama, che nel 1989 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace, vive in esilio dal 1959 e chiede per il Tibet quella che chiama una “vera autonomia”. Dopo Roma, oggi sarà la città di Venezia a conferire al leader tibetano la cittadinanza onoraria. Ribadisce il ”fermo sostegno” alla politica di una sola Cina, ma ricorda anche l’autonomia dei comuni italiani. La Farnesina, in una nota, risponde cosi’ alle dichiarazioni del portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, secondo il quale la cittadinanza onoraria conferita dal comune di Roma al Dalai Lama ”offende il popolo cinese”. La Farnesina, in una nota, sottolinea come ”sia stato gia’ chiarito in altre numerose occasioni all’Ambasciatore cinese in Italia che i comuni italiani sono autonomi e assumono le loro decisioni in assoluta indipendenza dal Governo”. E ricorda ”il fermo sostegno del Governo italiano alla politica di una sola Cina, politica che il Presidente Berlusconi e il Ministro degli Esteri Frattini hanno ribadito ai loro omologhi anche in occasione degli ultimi incontri avuti”.

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Dalai Lama e Sarkozy si incontrano a Danzica

Il Dalai Lama e il presidente di turno dell’Ue, Nicolas Sarkozy si sono incontrati sabato a Danzica, in Polonia, in sfida alle pressioni del governo cinese perché ciò non avvenisse, nella suggestiva cornice delle celebrazioni per il 25/o anniversario del conferimento del premio Nobel per la Pace a Lech Walesa. ” Un approccio opportunistico, avventato e miope alla questione tibetana”, ha reagito con insolita prontezza poche ore dopo l’agenzia di stampa ufficiale di Pechino ‘Nuova Cina’. Intorno alle 16:30, accompagnato personalmente da Walesa – che poi si è allontanato dalla stanza – Sarkozy ha incontrato il leader spirituale dei tibetani in forma privata per 30 minuti. Poco prima dell’incontro era stato categorico sulle minacce dei cinesi. “Come presidente della Francia e come presidente di turno dell’Ue sono libero di incontrare chi voglio, non mi faccio fare l’agenda dai cinesi: questo incontro poi non è da drammatizzare”, aveva detto ai giornalisti. Ma a stretto giro di posta è arrivata la dura risposta dell’Agenzia Nuova Cina che ha definito l’incontro ” una mossa imprudente che non solo ferisce i sentimenti del popolo cinese ma che mina le relazioni franco-cinesi”. Nulla è trapelato da fonti ufficiali sui contenuti del colloquio Sarkozy-Walesa, ma secondo quanto riferito dal portavoce dell’Istituto ‘Lech Walesa’, Tomasz Szymchel, Sarkozy ha riferito che il Dalai Lama non pretende l’indipendenza del Tibet mentre il leader tibetano ha espresso comprensione per la presenza del presidente francese all’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino 2008. Da parte sua Sarkozy ha sottolineato l’importanza del dialogo tra il Dalai Lama e lo stesso governo cinese. L’incontro aveva catalizzato nelle ultime settimane l’attenzione internazionale, soprattutto per l’atteggiamento della Cina che dapprima aveva annullato per protesta la sua partecipazione ad un vertice con l’Ue a Lione in programma il primo dicembre, per poi, 48 ore primo dell’incontro di Danzica, mettere in guardia Parigi dalle possibili ripercusioni sui rapporti commerciali, adombrando un boicottaggio dei prodotti francesi, promosso già su Internet dai nazionalisti. Il padrone di casa Walesa si era espresso in maniera molto critica nei confronti degli “amici” cinesi. “Sono stupefatto – aveva detto ieri – che un paese con una cultura così antica come la Cina, possa pretendere di vietare un incontro tra due persone”. Sarkozy era giunto a Danzica a mezzogiorno per discutere, insieme al premier polacco Donald Tusk e ad altri otto premier di paesi dell’Est europeo, del pacchetto climatico dell’Ue; poi é intervenuto alla conferenza internazionale “Solidarnosc per il futuro”. I travagliati rapporti di Sarkozy con la Cina sulla questione del Tibet avevano avuto un altro momento significativo nel marzo scorso, quando il presidente francese, aveva minacciato di disertare le cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino, scatenando una violenta reazione dei nazionalisti cinesi che avevano organizzato una serie di manifestazioni antifrancesi tra le quali il boicottaggio della catena di supermercati Carrefour. Il 25 aprile la Cina aveva manifestato la disponibilità a incontrare i rappresentanti del Dalai Lama, facendo cambiare idea a Sarkozy sul boicottaggio della cerimonia di apertuyra dei Giochi. Durante le Olimpiadi il colosso francese dell’energia, Edf, aveva concluso un contratto con il gruppo cinese Cgnpc per la costruzione di due centrali nucleari di terza generazione Epr in Cina. Poi però i colloqui tra cinesi e tibetani non avevano avuto l’esito sperato dal Dalai Lama, che ha ricordato anche ieri come la Cina abbia tutto il diritto di diventare una “superpotenza, ma per farlo le occorre anche l’autorità morale”.

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Il Dalai Lama a Bruxelles (avrà mangiato le cozze?:-))

I tibetani non vogliono l’indipendenza, ma l’autonomia dalla Cina, chiedono l’armonia che però non non si raggiunge “con la paura e con le armi”, respingono la “propaganda di Pechino” e vedono che al momento prevale l’ala più intransigente al governo. Queste a grandi linee le considerazioni più politiche del Dalai Lama, intervenuto ad una sessione solenne dell’Europarlamento a pochi giorni dall’annullamento da parte di Pechino del vertice con l’Ue, soprattutto a causa dell’incontro previsto sabato a Danzica fra il Dalai Lama e il presidente di turno dell’Ue Nicolas Sarkozy, nell’ambito dell’incontro dei Premi Nobel per la pace voluto da Lech Walesa. Secondo il Dalai Lama la posta in gioco è il desiderio della Cina di diventare una superpotenza mondiale. “Il potere militare ed economico c’é già, quello che le manca è l’autorità morale. La sua pessima performance sui diritti umani, sulla libertà di espressione e di stampa danneggiano l’immagine cinese nel mondo”, ha indicato il Dalai Lama, secondo il quale la Cina è passata da un totalitarismo marxista ad un totalitarismo capitalista. “Il Darfur, la Cambogia dei khmer rossi, la Birmania, la Corea del Nord… questa è l’immagine che c’é della Cina nel mondo”, ha affermato il leader spirituale dei tibetani, secondo il quale “i cinesi ragionevoli si rendono conto che la Cina deve essere molto più attenta a questi temi se vuole guadagnarsi il rispetto del mondo per avere maggiore responsabilità globale”. Il Dalai Lama ha spiegato che al momento è l’ala più dura del regime cinese ad avere il sopravvento, anche se ci sono molti intellettuali e scrittori in Cina che “sostengono la lotta” del popolo tibetano e criticano la politica del governo. “La mia fiducia nel popolo cinese non è mai venuta meno, anche se se si sta riducendo quella nei confronti del governo”, ha spiegato. “E’ una questione di tempo, ma dovranno aprirsi, anche nell’interesse della Cina” ha sottolineato il Dalai Lama, che ha confermato il suo incontro di sabato con Sarkozy. “Non ho un’agenda particolare per l’incontro col presidente francese. Ho già incontrato la moglie, donna affascinante, ora sono contento di vedere suo marito”, ha affermato sorridendo il Dalai Lama.

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Dalai Lama: no a dimissioni e a indipendenza

Il Dalai Lama ha accettato le risultanze del meeting speciale concluso ieri a Dharamsala, nel nord dell’India, ma ha preso le distanze dalla ricerca dell’indipendenza dalla Cina. Il leader spirituale e politico dei tibetani, che ha ottenuto ”un nuovo mandato”, lo ha detto oggi in conferenza stampa nella citta’ dell’India del nord dove ha sede il governo tibetano in esilio e dove fino a ieri, per una settimana, si sono riuniti oltre 600 tra tibetani, monaci e sostenitori della causa tibetana di tutto il mondo. ”Non c’e’ nessun motivo perche’ mi ritiri – ha detto il 73nne premio Nobel – fino a quando ci sara’ un governo tibetano io saro’ a mezzo servizio, ma non mi dimettero’. Diventero’ un normale cittadino solo quando l’ultimo tibetano sara’ tornato in Tibet”. Il leader religioso ha ribadito, come gia’ fatto in passato, che il suo popolo e’ in pericolo, che la sua ”via di mezzo” e’ l’unica strada percorribile e che l’indipendenza e’ ”impraticabile”. Una risposta secca, quindi, alle indicazioni venute al termine della riunione di ieri, dalla quale e’ uscita forte la richiesta di perseguire l’indipendenza da Pechino se la ”via di mezzo” che dovrebbe portare ad una genuina autonomia del Tibet da Pechino, dovesse nel giro di qualche anno, fallire. Il Dalai Lama, che ha avuto un ampio mandato dall’assemblea sulla sua persona, ma con la richiesta di verifica a tempo della sua politica, ha detto che i tibetani dovrebbero ora parlare con il popolo cinese non solo con il governo, sperando anche nell’appoggio della comunita’ internazionale. Il premio Nobel per la pace aveva paventato le sue dimissioni se richieste dai tibetani, soprattutto per tenere a bada i giovani tibetani che, nella ricerca dell’indipendenza, non disdegnano anche lo scontro fisico contro i cinesi. Il Dalai invece ha ribadito, come gia’ indicato ieri dall’assemblea, che comunque la politica dei tibetani sara’ sempre incentrata sulla non violenza.

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Il Dalai Lama non si dimette

Il Dalai Lama ritira ogni proposito di dimissioni. Lo ha annunciato personalmente ai cronisti il capo spirituale dei tibetani in esilio, a margine di una conferenza sul meeting speciale dei tibetani di tutto il mondo conclusosi ieri a Dharamsala, nel nord dell’India. L’assembla aveva ribadito la sua fiducia nel leader spirituale e alla sua politica della “via di mezzo” nei confronti dei cinesi, non abbandonando però l’ipotesi dell’indipendenza da Pechino se la politica attendista del Dalai non desse risultati. Il leader, invece, ha respinto stamattina ogni idea di richiesta di indipendenza, giudicata “impraticabile”.

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Si condizionato alla Via di Mezzo del Dalai Lama

Fiducia al Dalai Lama, si alla sua ”via di mezzo” ma niente piu’ concessioni alla Cina e soprattutto non accantonamento dell’idea dell’indipendenza da Pechino. Questi i risultati della settimana di colloqui a Dharamsala, la citta’ del nord dell’India sede del governo tibetano in esilio, alla quale hanno partecipato 600 tra tibetani, monaci e sostenitori da tutto il mondo. Invitati dal Dalai Lama come previsto dalla costituzione del governo in esilio, le delegazioni hanno discusso in commissioni prima e poi in seduta plenaria, sul futuro del Tibet e sulla strategia da adottare nei confronti della Cina. Il messaggio che dall’assembla arriva al governo tibetano, unico organo in grado di decidere dal momento che il meeting aveva valore consultivo, e’ di fiducia alla politica attendista del leader spirituale, ma a tempo. Anche se nessun termine e’ stato fissato, la linea intransigente, portata avanti soprattutto dai movimenti giovanili che vorrebbero azioni decise contro la Cina per ottenere non l’autonomia ma l’indipendenza, non e’ passata del tutto ma ha ottenuto una grossa vittoria. Per la prima volta, infatti, dal 1993 da quando si scelse la ”via di mezzo”, la richiesta dell’indipendenza e’ stata avanzata a chiare lettere. E’ stato il presidente del parlamento tibetano in esilio, Karma Choephel, a spiegare le risultanze del meeting speciale ai giornalisti. ”L’assemblea ha detto alla Kashag (il governo tibetano in esilio, ndr) che non ha senso di continuare il dialogo con Pechino, la parte cinese non ha accettato le nostre richieste”, ha detto Choephel aggiungendo che non saranno mandati altri a Pechino per colloqui senza aperture chiare dalla Cina. Choephel ha anche ribadito che l’assemblea, pur ”unanimemente affermando la fiducia nel Dalai Lama”, ha minacciato di ”andare per una completa indipendenza e autodeterminazione” se la ”via di mezzo” del leader spirituale dovesse fallire nel lungo termine. In ogni caso, pero’, l’assemblea e’ stata chiara: sia nella richiesta dell’autonomia che dell’indipendenza, la politica sara’ sempre quella della non violenza. L’assemblea ha anche chiesto che la Cina finisca di criminalizzare il Dalai Lama, riconosciuto a livello mondiale come leader spirituale e politico dei tibetani. Il Dalai Lama fino ad ora non si e’ espresso. Attende che l’indicazione dell’assemblea giunga sul suo tavolo per l’approvazione. Non ha neanche partecipato ai lavori, per non condizionarli con la sua presenza, visto che era in discussione non la sua persona, ma la sua politica. L’assemblea ha rigettato ogni idea di dimissioni da parte del leader spirituale, ribadendo la fiducia in lui. Ha pero’ voluto dare un segnale politico al 73nne premio Nobel, il quale gode dell’appoggio morale di molti capi di stato e di governo oltre che di persone da ogni parte del pianeta. Che, pero’, fino ad ora non sono riusciti a premere efficacemente su Pechino per far concedere l’autonomia ai tibetani. La scelta di ribadire la fiducia nel Dalai nasce anche dal fatto che il leader e’ il catalizzatore di un movimento internazionale che andrebbe perso se uscisse di scena. Ma bisognava dare pure una risposta ai tanti, soprattutto i giovani dei movimenti tibetani, che chiedevano una svolta radicale e un intervento piu’ deciso su Pechino. Il Dalai ora dovra’ scegliere. Ottenuta la fiducia alla sua persona, potrebbe anche ritirarsi, come ha piu’ volte detto, lasciando agli altri il compito di fare gli ultimi tentativi verso l’autonomia. La politica della via di mezzo, potra’ continuare anche senza di lui. Ma non per molto.

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Si chiude domani riunione speciale tibetana

Si chiudera’ domani l’incontro speciale convocato dal Dalia Lama a Dharamsala, nel nord dell’India sede del governo tibetano in esilio, e che vede impegnati centinaia di monaci, tibetani e sostenitori della causa tibetani da tutto il mondo per discutere sul futuro della politica del paese. Fino ad ora si e’ registrato un nulla di fatto tra le posizioni attendista, che ha nel leader spirituale premio nobel, nella sua ”via di mezzo” e nella ricerca di una ”genuina autonomia” da Pechino i punti fermi, e quella piu’ intransigente dei giovani, che vogliono andare invece verso l’indipendenza dalla Cina. Dopo il fallimento dei recenti negoziati sino-tibetani sono in molti, soprattutto quelli appartenenti alle nuove generazioni e ai movimenti giovanili Free Tibet e Tibetan Youth Congress, che sembrerebbero favorevoli ad un cambiamento, a provare ad ottenere un maggiore ascolto con una politica piu’ aggressiva. Nonostante cio’, tuttavia, secondo un sondaggio condotto nell’ambito del popolo tibetano e i cui risultati sono stati resi noti dal portavoce del governo tibetano in esilio, Karma Chopel, sembra che la maggioranza intenda comunque seguire quella che sara’ la decisione finale del Dalai, nonostante la stessa maggioranza si sia espressa piu’ verso l’indipendenza che verso l’autonomia. Al momento una delle ipotesi piu’ probabili sarebbe quella secondo la quale si decida di continuare con la politica della via di mezzo, ponendo pero’ una sorta di time limit – si parla di un paio di anni – per poi eventualmente cambiare strategia qualora non saranno stati raggiunti risultati significativi. Intanto la posizione della Cina sembra irremovibile. ”Il cosiddetto governo tibetano in esilio – ha detto Qin Gang, portavoce del Ministero degli esteri cinese – non e’ riconosciuto da nessun governo al mondo. Ogni tentativo di separare il Tibet dalla Cina sara’ bloccato”.  La Cina inoltre contesta al Dalai Lama e ai suoi seguaci di mascherare, con la richiesta dell’autonomia, il tentativo di arrivare all’indipendenza.

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Cominciata la riunione speciale sul futuro del Tibet

Buddisti, tibetani e sostenitori della causa del Tibet da tutto il mondo, si sono riuniti oggi a Dharamsala, nel nord dell’India dove ha sede il governo tibetano in esilio, per il primo dei sei giorni dello speciale incontro voluto dal Dalai Lama per fare il punto della situazione sulla questione tibetana e verificare lo stato di attuazione della politica fino ad ora intrapresa. Da pochi giorni, il 5 novembre, e’ terminato il settimo round di colloqui tra due inviati del Dalai Lama e il governo cinese a Pechino. Un nulla di fatto, nel quale da un lato i tibetani hanno ribadito la loro richiesta di una ”genuina autonomia” sotto l’egida cinese, dall’altro i cinesi respingono le richieste tibetane perche’, dicono, nascondono una volonta’ secessionista e indipendentista. Un discorso tra sordi che, nonostante le pressioni internazionali soprattutto alla vigilia delle Olimpiadi dello scorso agosto, non ha portato a nessun cambiamento. Tanto da insinuare il dubbio tra i tibetani che la politica della ”via di mezzo” adottata dal Dalai Lama nei confronti della Cina, il suo approccio soft alla causa tibetana, non sia valido. Da qui la necessita’ di un incontro aperto, dal quale uscira’ il pensiero dei tibetani che si potra’ concretizzare in una conferma del mandato al Dalai sulla sua linea politica, o il radicale cambiamento della stessa verso una svolta piu’ radicale e intransigente. Il Dalai Lama, forse per non condizionare il dibattito, non sara’ presente alla sei giorni. Da tempo, il leader spirituale e politico dei tibetani ha anche affermato di essere pronto a fare un passo indietro, esprimendo la volonta’ di tornare a fare il monaco. Una posizione ribadita soprattutto all’indomani dei moti di marzo scorso a Lhasa, quando la polizia cinese e’ intervenuta duramente contro i manifestanti pro Tibet, arrestando e uccidendo diversi monaci e civili. Proprio la ferma reazione cinese e lo stallo nelle trattative per l’autonomia del Tibet da Pechino, ha spinto i giovani tibetani, soprattutto quelli del Tibetan Youth Congress, a criticare in piu’ di una occasione l’atteggiamento attendista del 73nne premio Nobel per la pace. Questa loro posizione, che e’ stata appoggiata da piu’ parti all’interno della diaspora tibetana, e’ stata la spinta che ha mosso il Dalai Lama a convocare questo incontro speciale, come quello che nel 1993 diede slancio alla ”via di mezzo”. Secondo molti osservatori, il Dalai Lama cerca anche di pesare il reale consenso internazionale sulla causa tibetana. Da anni il leader tibetano gira il mondo ottenendo da tutti simpatia e consenso. Molti leader politici lo appoggiano apertamente, tanti invece si sono rifiutati di incontrarlo per non urtare la suscettibilita’ di Pechino. Durante i moti di Lhasa e alla vigilia delle Olimpiadi, fu unanime la critica al governo cinese per quanto successe in Tibet e unanime fu anche la richiesta di rispettare i tibetani e di concedere l’autonomia che, come scritto nel memorandum per l’autonomia presentato dagli inviati del Dalai Lama al governo di Pechino, chiede alla Cina di rendere il Tibet autonomo sotto il governo cinese per permettere la sopravvivenza di lingua, cultura, tradizioni e religione di quel popolo. Nonostante le pressioni internazionali, la Cina non ha mai cambiato la sua posizione, accusando anzi il Dalai di giocare sporco e di volere in realta’ l’indipendenza da Pechino.

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