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Consigli di lettura, “Il sari rosso”, storia di Sonia Maino Gandhi

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Esce oggi in libreria Il sari rosso, l’ultimo libro dell’ottimo Javier Moro, che racconta la storia di Sonia Maino Gandhi. Il libro è pubblicato da Il Saggiatore e costa 18.50 €. Ecco la presentazione dal sito
Cambridge, 1965. Due ragazzi si conoscono e si innamorano.
Lei è Sonia Maino, italiana nata da una famiglia semplice. Lui è Rajiv Gandhi, figlio di Indira e nipote del Pandit Nehru, il fondatore, insieme al Mahatma Gandhi, dell’India moderna. I due si sposano, Sonia indossa un sari rosso – il colore delle spose indiane –, quello stesso sari filato e tessuto in carcere da Nehru per le nozze della figlia Indira.
Nel 1984 Indira, al suo secondo mandato come primo ministro, perde la vita in un attentato. Le succede il figlio. La tragedia incombe: nel maggio del 1991 Rajiv viene assassinato da un commando delle Tigri Tamil. Nel 1995 avviene l’impensabile. Sonia, mai mossa da ambizioni politiche, vissuta sempre all’ombra del marito e della suocera, accetta il ruolo di leader del Partito del Congresso. Quattro anni dopo, verrà eletta in Parlamento e porterà alla vittoria il suo schieramento nelle elezioni del maggio 2004 e 2009.
Sonia Maino diventa una delle donne più influenti del pianeta, conservando il suo obiettivo iniziale: la lotta alla povertà. Si fonderà con il suo nuovo paese, e l’India prodigiosa, che adora milioni di divinità, che parla ottocento idiomi e vota cinquecento partiti politici, la trasformerà in una dea.
Con una scrittura epica e carica di sensualità, sulla scia di Stanotte la libertà di Dominique Lapierre e Larry Collins, Javier Moro ricostruisce nel suo Sari rosso la storia memorabile e appassionante dell’«italiana» diventata «figlia dell’India».

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Conosco Javier, e questo è il suo unico difetto. Sono legato a lui e soprattutto a questo libro, che ci ha fatto conoscere quando lui è venuto a Delhi in cerca di notizie e mi contattò (grazie ad uno studioso italiano di India, o forse dovrei dire Lo studioso italiano di India) essendo stato io l’unico giornalista ad intervistare la vedova di Rajiv. Mi ha presentato Dominique Lapierre, altro grandissimo scrittore. Stimo molto Javier sia come persona (soprattutto per il suo impegno nei confronti di “ultimi”, come i cittadini di Bhopal e i tibetani) sia come scrittore. Conosco gli altri libri di Javier e vi consiglio vivamente di acquistarli. Dopo aver presentato “Il sari rosso” a Milano, Javier è oggi a Roma e parteciperà stamattina a Radio3mondo Di seguito la recensione del libro pubblicata dall’Ansa (non mia). .

Javier Moro va direttamente al cuore dell’India contemporanea nel suo nuovo romanzo, ‘Il sari rosso’, in uscita giovedì in italiano per il Saggiatore (pagine 588, 18,50 euro). Lo scrittore e giornalista spagnolo ha già raccontato il paese altre volte, facendone quasi una ‘patria letteraria’ (tra gli altri, ‘Mezzanotte e cinque a Bhopal’, del 2001, scritto con Dominique Lapierre; e ‘Passione indiana’, del 2006). Ma qui narra l’avventura personale di Sonia Gandhi affrontando così la saga della famiglia Nehru-Gandhi e l’epopea di un’intera nazione. Quella de ‘Il sari rosso’ è innanzitutto una straordinaria biografia e in fondo una storia anche tutta italiana, per quanto poco nota: quella di Sonia Maino, nata a Lusiana (Vicenza) e cresciuta a Orbassano (Torino), prima di andar sposa nel 1968 a Rajiv Gandhi, figlio di Indira e nipote di Jawahrlal Nehru. Il sari del titolo è quello indossato alle nozze da Sonia, dopo esser stato già l’abito da sposa di Indira, filato per lei da Nehru durante la prigionia. Dall’incontro tra Sonia e Rajiv a Cambridge nel 1965, nel corso degli anni questa biografia si intreccia così in modo indissolubile con la storia dell’India, attraverso le vicende di una donna e di una famiglia dove la politica è destino e anche tragico fato, replicato dopo la violenta morte di Indira (1984), anche da quella di Rajiv (1991), ucciso da un commando Tamil. “In tutta la mia vita mi sono sentito vicino ai Ghandi – racconta Javier Moro, in questi giorni a Milano per l’uscita del romanzo in Italia -, forse perché mio zio Dominique Lapierre mi parlava molto di Indira, erano amici. Ero a Delhi nel maggio del 1991 quando ci fu l’assassinio di Rajiv e vidi in diretta la prima scena del libro, quella dove racconto la cremazione di Rajiv. Mi commosse l’immagine di Sonia, questa vedova così giovane, così disperata, così triste che vedeva partire i suoi sogni, tutta la sua vita andar in fumo assieme alle ceneri di suo marito. Mi dissi che sarebbe stato bello raccontare la storia di questa famiglia dal punto di vista di Sonia, di un’italiana, un’europea, un’occidentale. Un punto di vista per capire meglio il complicato mondo dell’India. Ma in quel momento la storia non aveva finale, perché era così triste da non averne uno. Lasciai la storia da parte fino al 2004 quando Sonia vinse le elezioni generali e allora pensai che finalmente aveva un buon finale. Una italiana – continua Javier Moro – senza studi superiori, timida, riservata e che odia la politica, anche perché la politica ha portato via tutto quello che amava, finisce per vincere le elezioni in un Paese dove abita un sesto dell’umanità e si converte senza volerlo nella donna più potente dell’Asia, secondo la rivista Forbes la donna più potente del mondo”. Il testo è frutto di tre anni di pazienti ricerche, racconta con passione Javier Moro, svolte senza alcuna collaborazione da parte dei Gandhi, riservati e restii a parlar del privato. E anche di fortunate coincidenze, come l’incontro con la segretaria di Indira per oltre due decenni, Usha Bhagat, o con Christian von Stieglitz, l’amico che fece conoscere Rajiv Gandhi e Sonia Maino, scovato quasi per caso dallo scrittore. In futuro Javier Moro pensa a un romanzo ambientato in Brasile. Quanto all’India, “sono convinto che Rahul (figlio di Sonia e Rajiv, ndr) sarà il prossimo primo ministro e sarà la quarta generazione della stessa famiglia alla guida del paese”.

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L’India diventerà il paese più popoloso al mondo?

Non si ferma l’esplosione demografica che dovrebbe portare il paese di Gandhi a superare la Cina entro il 2050 ed a diventare il Paese più popoloso del mondo. E’ una situazione che fa gonfiare il petto ai nazionalisti che vedono l’India primeggiare dinanzi ad uno dei rivali storici: nel 2050, secondo proiezioni attendibili, l’India avrà addirittura 1,7 miliardi di abitanti contro “solo” 1,4 in Cina. Ma all’orizzonte si profilano nuove tensioni, anche perché nel paese so è sempre faticato a trovare un equilibrio tra le diverse componenti religiose. Il tasso di natalità tra hindù e musulmani è infatti differente e pertanto il peso specifico di questi ultimi è destinato ad aumentare al punto che la tradizionale divisione tra un Pakistan islamico e un’India hindu tra qualche decennio non avrà più molto senso. D’altra parte, se già oggi, con un miliardo e 147 milioni di abitanti denunciati dai dati governativi (probabilmente molti di più considerando gli immigrati illegali) esistono problemi di approvvigionamento, questi non potranno che aumentare. Le bizzarrie del clima cui non è estraneo l’effetto serra, sono in agguato per peggiorare ulteriormente le prospettive. Il governo tenta di porre un freno all’aumento indiscriminato della popolazione, ma non riesce ad intervenire in maniera radicale. Nelle menti degli indiani è ancora troppo fresca la politica interventista di controllo delle nascite di Indira Gandhi, che portò al terrore nelle campagne e all’isolamento del paese. Sonia Gandhi, nuora di Indira, ora al potere in India, cerca di trovare con i suoi tecnici una soluzione che non sia radicale. Conta sul grande sviluppo economico e sulla diffusione della istruzione che di per sé, in ogni angola del mondo, hanno avuto effetti moderatori sulla crescita demografica. La congiuntura è infatti favorevole all’India, che si trova in una fase di cosiddetta transizione demografica. Archiviata l’epoca dell’alta natalità cui però corrispondeva un altrettanto elevato tasso di mortalità, il Paese di Gandhi si trova ora in una fese intermedia caratterizzata da una ancora molto marcata crescita della popolazione a cui però si affianca una ridotta mortalità. L’obiettivo finale, almeno nelle intenzioni governative, dovrebbe essere quello del raggiungimento del terzo stadio, quello del livellamento verso il basso di entrambi gli indici, quello della crescita demografica (attraverso politiche mirate di controllo delle nascite soprattutto nelle zone rurali del paese) e quello del tasso di mortalità (attraverso politiche di miglioramento e maggiore accessibilità per tutti ai servizi sanitari). Secondo i dati della National Commission for Population del Governo indiano, i primi significativi cambiamenti si ravviseranno nel 2016 quando si prevede un aumento della popolazione adulta (tra i 15 e 59 anni) dall’attuale 58% al 64%. Atteso anche un aumento di circa il 2% della popolazione di età superiore ai sessant’anni. A diminuire dovrebbero dunque essere i giovanissimi, quelli della fascia sotto i 15 anni, come risultato delle politiche di controllo demografico poste in essere in questi anni. Previsioni e dati tutti comunque da verificare nel tempo.

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Morta l’ultima Maharani di Jaipur

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Sono cominciati oggi a Jaipur, nel nord ovest dell’india, i funerali della Maharani (la regina moglie del Maharaja) Gayatri Devi, morta ieri all’eta’ di 90 anni. Migliaia di persone stanno partecipando nella capitale del Rajasthan ai funerali della donna, uno degli ultimi simboli della nobilta’ indiana, considerata, negli anni sessanta e settanta, una delle donne piu’ carismatiche e belle del mondo, tanta da essere inserita da Vogue fra le dieci donne piu’ belle del mondo. La Devi, terza moglie del maharaja di Jaipur, ha sempre vissuto nella ‘citta’ rosa’, alternando con lunghi soggiorni in Europa, specie a Londra dove aveva trascorso la sua infanzia. Nata nel 1919 in una famiglia nobile, Gayatri Devi divenne la Maharani di Jaipur nel 1939, sposando l’allora Maharaja, Sawai Man Singh. In breve Gayatri, grazie anche al suo portamento regale, alla sua istruzione e alla sua grazia e bellezza, divenne fuori e dentro l’India icona di eleganza. Fondatrice di una prestigiosa scuola a Jaipur, nel 1962 scese in politica (fondando il Swatantra Party in opposizione al Congress della dinastia Gandhi) e fu eletta in parlamento con una vastissima maggioranza, tanto da essere inserita nel guinnes dei primati. Fu poi in seguito rieletta per altri due mandati, ed e’ stata una delle piu’ acerrime avversarie di Indira Gandhi, soprattutto per la decisione di quest’ultima di togliere i privilegi ai maharaja. La sua fama di donna di successo, anche in politica oltre che in societa’, oltrepasso’ i confini indiani tanto che il Presidente Kennedy la invito’ ad un evento da lui organizzato, presentandola come ”la donna con la piu’ sbalorditiva maggioranza che nessuno abbia mai ottenuto in un’elezione”.
La gloria e il successo della Devi subirono tuttavia una battuta di arresto quando l’allora primo ministro Indira Gandhi aboli’ nel 1971 tutti i privilegi reali. Gayatri Devi fu accusata di aver violato la legge sulle tasse e trascorse 5 mesi in carcere. Si ritiro’ dalla vita politica e pubblico’ un’autobiografia, ”Ricordi di una principessa”, nel 1976. Negli ultimi anni, per dispute sull’eredita’ del marito, e’ entrata in conflitto con il figlio di suo marito, l’attuale maharaja di Jaipur.
La sua morte ha suscitato le reazioni commosse di tutto la societa’ indiana. ”Era una bellissima e squisita principessa – ha commentato tra gli altri la leggenda di Bollywood, Amitab Bachachan – la sua grazie e bellezza mi aveva lasciato senza parole”.

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Ex presidente Kalam obbligato ai controlli di sicurezza

La paura di attentati non ha fatto sconti in India neanche all’ex presidente Abdul Kalam, che si è dovuto sottoporre come tutti i normali viaggiatori che partono dall’India, ad un approfondito controllo di sicurezza prima di salire sull’aereo. Lo riferisce l’agenzia PTI. APJ Abdul Kalam, che due anni fa ha terminato il suo mandato di presidente dell’India, scienziato, padre del programma missilistico indiano, è forse il presidente più amato nella storia del paese. Alla fine di aprile, ma la notizia è stata resa nota solo oggi, doveva recarsi per delle conferenze negli Stati Uniti. Nonostante fosse accompagnato in aeroporto da dirigenti dell’Indira Gandhi International Airport di New Delhi, il personale di sicurezza della Continental Airlines non lo voleva far imbarcare sul volo per Newark senza il controllo di sicurezza. Sono seguite consultazioni febbrili e proteste ufficiali, ma alla fine, sentito anche il responsabile della Continental, il presidente si è dovuto sottoporre ad uno screening di sicurezza completo, incluso il fatto di doversi togliere le scarpe. L’ex presidente indiano non ha obiettato ed ha seguito le indicazioni del personale di sicurezza indiano, che si è trincerato dietro regole ferree. Ha protestato invece il ministro dell’aviazione civile Praful Patel che ha annunciato una inchiesta dal momento che il regolamento prevede che presidente e ex presidenti della repubblica rientrino nella fascia vip e non debbano sottoporsi ai controlli di sicurezza.

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I giovani e le curiosità del nuovo governo

E’ Agatha Sangma, 28 anni, la mascotte del secondo governo di Manmohan Singh. La giovane avvocato proveniente dallo stato nord orientale del Meghalaya, ha riscosso sorrisi e applausi, anche da Sonia Gandhi, quando oggi, nelle mani del presidente indiano Pratibha Patil, ha giurato come ”minister of state”, sottosegretario del governo indiano. Sangma e’ alla sua prima esperienza, ma vanta una famiglia di politici di lungo corso nel piccolissimo stato montuoso nord orientale, al di la’ del Bangladesh. Suo padre Purno Agitok Sangma, presenta al giuramento, fondatore del Nationalist Congress Party, e’ stato parlamentare dal 1977, primo ministro del Meghalaya e presidente della camera bassa del parlamento indiano (Lokh Saba). Un altro giovane astro della politica indiana, Sachin Pilot, 32 anni, ha giurato oggi, un’ora dopo il giuramento di suo suocero, Farooq Abdullah. 37 i ministri che hanno meno di 40 anni, anche se l’eta’ media del governo e’ di 57 anni. Dal piu’ anziano, il ministro degli esteri SM Krishna che ha 77 anni, alla piu’ giovane, il sottosegretario Agatha Sangma, passano 50 anni. Uno solo, il sikh MS Gill, alla cerimonia era vestito con giacca e cravatta, la maggior parte vestiva con abiti tradizionali. Sachin Pilot ha giurato indossando un tipico e colorato turbante rajasthano.

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Ha giurato il nuovo governo di Manmohan Singh

Hanno giurato i ministri che formeranno il nuovo governo di Manmohan Singh, il secondo consecutivo dell’economista sikh. Nelle mani del presidente dell’Unione Indiana Pratibha Patil hanno giurato 59 tra ministri, ministri indipendenti (una sorta di vice ministri) e i sottosegretari (‘ministers of state’), portando a 79 il numero dei componenti del governo. Singh e 19 avevano gia’ giurato la settimana scorsa, quando il primo ministro aveva anche affidato le deleghe piu’ importanti, interni, esteri, finanze e ferrovie. Il primo ministro non ha ancora deciso invece le deleghe per questi nuovi ministri, che sta discutendo in queste ore con Sonia Gandhi, presidente del Partito del Congresso e dell’alleanza (UPA) che governa il paese.
E sara’ una strada in salita quella che aspetta il nuovo governo e Singh, l’unico primo ministro, dopo Nehru, ad essere riconfermato dopo la fine naturale del primo mandato.
La sfida del nuovo esecutivo sara’ da un lato quella di tendere una mano alle classi meno abbienti, non toccate dalla crescita economica del paese ma che anzi hanno sofferto, soprattutto i contadini, di una crisi quasi senza precedenti, e dall’altro la necessita’ di non fermare lo sviluppo del paese che, contestualmente all’uscita del mondo dalla crisi economica globale, potrebbe vedere di nuovo l’economia indiana crescere a ritmi dell’8% annuo.
Singh, fautore gia’ in passato di riforme economiche liberali, deve far fronte alle minori entrate fiscali dello stato e contestualmente trovare una soluzione ai problemi degli ultimi, ancora troppi. Il 90% della popolazione vive e lavora in una economia informale (e il dato e’ in crescita dopo la liberalizzazione del 1991), in cui i diritti dei lavoratori non sono tutelati in alcun modo, dove non esiste il diritto alla pensione, all’assistenza sanitaria, dove viene evasa sistematicamente la legislazione sull’orario di lavoro e sulle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro, dove le donne e le caste basse sono escluse a priori dalle progressioni di carriera nei posti di lavoro. Il mondo guarda all’India e Delhi vuole farsi trovare preparata.
Assente eccellente nel governo, Rahul Gandhi, il rampollo della dinastia Gandhi Nehru, uno dei grandi vincitori delle elezioni appena passate. Rahul, per il quale si parlava di un viceministero, ha detto di preferire un ”lavoro alla volta”, scegliendo di impegnarsi nel partito del Congresso, nel quale e’ segretario generale e responsabile dei giovani, piuttosto che accettare un incarico di governo.
Il gabinetto di Manmohan Singh sara’ composto da 34 ministri, 7 viceministri e 38 sottosegretari, tra i quali spicca la giovane Agatha Sangma di 28 anni. Le nomine non hanno mancato di suscitare proteste, per la presenza di parenti eccellenti ma soprattutto per l’assenza ministri di religione musulmana e per quella di esponenti dello stato dell’Uttar Pradesh, il piu’ popoloso d’India. In questo stato, Sonia e Rahul hanno il loro collegio e il Congresso ha avuto un ottimo risultato alle ultime elezioni guadagnando 10 voti. Qui regna incontrastata Kumari Mayawati, la ”regina dei dalit”, che si aspettava un risultato elettorale notevole tanto da diventare primo ministro, e che invece si e’ limitata a dare un appoggio esterno al governo di Manmohan Singh.

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Nominati 6 ministri e decisa prima seduta parlamento

Tra i 19 ministri che hanno giurato ieri, il primo ministro ha annunciato poco fa gli incarichi ad alcuni di loro. Somanahalli Mallaiah Krishna e’ stato nominato ministro degli esteri, l’ex capo della diplomazia Pranab Mukherjee e’ stato nominato ministro delle finanze. La presidente del Trinamool Congress Mamata Banerjee sara’ il nuovo ministro delle ferrovie, incarico molto importante nel gabinetto indiano. Conferme per Palanippan Chidambaram agli interni, Sharad Pawar all’agricoltura e AK Antony alla difesa. Gli altri incarichi dovrebbero essere annunciati nelle prossime ore. E si terra’ dall’1 al 9 giugno la prima sessione del nuovo parlamento indiano, uscito dalle elezioni finite lo scorso 13 maggio e i cui risultati sono stati resi noti il 16. Lo ha annunciato il ministro degli interni uscente Palanippan Chidambaram, il giorno dopo il giuramento del nuovo esecutivo e del primo ministro Manmohan Singh. Il presidente indiano Pratibha Patil parlera’ alle camere in seduta congiunta il 4 giugno, i nuovi membri del parlamento giureranno il 1 e il 2, mentre il presidente della camera sara’ eletto il 3. Le prime discussioni sule mozioni di ringraziamento al discorso del presidente saranno il 5, l’8 e il 9. Entro il 31 luglio si dovra’ discutere del bilancio generale. Il parlamento indiano non si riunisce di continuo, ma a sessioni. La situazione con il DMK, che aveva annunciato l’uscita dal governo e il solo appoggio esterno, dovrebbe rientrare presto.

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Il governo perde pezzi prima di giurare

Il governo indiano non ancora in carica perde gia’ i suoi primi pezzi. Il Dravida Munnetra Kazhagam (DMK) partito che governa in Tamil Nadu nel sud dell’India e che prima delle elezioni aveva garantito il suo appoggio al Congresso, ha annunciato oggi che uscira’ dalla coalizione di governo, pur mantenendo un appoggio esterno all’UPA (United Progressive Alliance) che governa il paese, guidata dal Congresso. Alle elezioni il DMK ha conquistato 18 seggi ed ha chiesto al primo ministro incaricato Manmohan Singh e a Sonia Gandhi, presidente del Congresso e dell’UPA, di avere 7 tra ministri e sottosegretari, con tre ministri importanti e il resto sottosegretari. Questi incarichi sarebebro stati accusati dai figli e nipoti del leader del partito, l’anziano primo ministro del Tamil Nadu Karunanidhi. Il Congresso, invece, ha offerto sei posti, con al massimo tre ministeri minori. Il leader del DMK, ha cosi’ deciso di tirare fuori dla governo i suoi, garantendo pero’ un appoggio esterno. A causa della rinuncia del DMK, e’ saltato oggi l’incontro tra il primo ministro Singh e il presidente Pratibha Patil. Il DMK e’ risultata la terza forza all’interno dell’UPA secondo i risultati delle elezioni resi noti il 16 maggio, dopo il Congresso e il Trinamool Congress, partito del West Bengala. Domani e’ previsto il giuramento del governo indiano guidato, per la seconda volta consecutiva, da Manmohan Singh.

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Sulla democrazia indiana e le elezioni

Da più parti sono stato stimolato ad un commento elettorale. Io sono un cronista, non un politologo, per cui mi sono sottratto. Ma è giusto , credo,  da osservatore privilegiato per stare qui da sei anni, che anch’io esprima il mio parere. Di seguito propongo una riflessione della professoressa Elisabetta Basile, docente di economia alla Sapienza, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e le cui idee  condivido pienamente. A seguire l’intervento della Basile, in corsivo un mio contributo. Entrambi sono stati diffusi sulla lista dell’associazione Italindia.

[…] ti scrivo per comunicarti il disagio crescente che provo di fronte ai commenti sui risultati delle elezioni indiane. In particolare, sta crescendo la mia perplessità sull’uso corrente che viene fatto nella stampa e dagli specialisti dell’espressione che afferma che l’India è la democrazia più grande del mondo. Più studio l’India, e più mi pare un paese di una estrema complessità, e forse questa complessità è all’origine dell’interesse che io personalmente provo per essa. Nel tentativo di cogliere questa complessità, gli analisti usano categorie concettuali di uso comune e diffuso, come quella di democrazia. Affermare che l’India è una grande democrazia è vero, ma è anche banale allo stesso tempo. E’ certamente un paese grande, ed è certamente un paese basato su di un sistema politico che poggia su meccanismi elettorali che appaiono ‘democratici’ . Ma ciò basta a definire l’India un grande paese democratico? Più osservo l’India, più mi accorgo come sia difficile applicare il concetto di democrazia, così come io lo interpreto, al caso indiano. L’india mi appare sempre più un grande e complesso paese, ma sempre meno un paese democratico Devo dire che l’esito di queste elezioni (di cui peraltro sono contenta perché una vittoria del BJP mi sarebbe sembrata un segnale molto brutto) mi ha scosso e mi ha fatto molto riflettere. Più conosco l’India, più mi rendo conto che è una società profondamente autoritaria e antidemocratica, sia in relazione alla organizzazione economica sia con riferimento alla struttura politica. Può essere considerato democratico un paese in cui oltre il 90% della popolazione vive e lavora in una economia informale (e il dato è in crescita dopo la liberalizzazione del 1991), in cui i diritti dei lavoratori non sono tutelati in alcun modo? dove non esiste il diritto alla pensione, all’assistenza sanitaria, dove viene evasa sistematicamente la legislazione sull’orario di lavoro e sulle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro? dove le donne e le caste basse sono escluse a priori dalle progressioni di carriera nei posti di lavoro? dove l’appartenenza castale ed etnica influenza le remunerazioni e la collocazione professionale? Può essere considerato democratico un paese in cui il dibattito politico viene in larga parte condizionato dall’appartenenza religiosa e castale, dove esistono partiti che sono espressione esclusivamente di tale logica? dove operano meccanismi ideologici forti, come per l’appunto l’ideologia religiosa e castale e i miti ad essa collegati (si veda il BJP e la Mayawati), che condizionano in modo forte le percezioni degli interessi individuali e di gruppo? Un paese in cui la gestione democratica stessa delle elezioni è messa in discussione dalla letteratura e dalla narrativa corrente (si veda ad esempio la descrizione che ne fa Aravind Adiga in The White Tiger), dove oltre il 40% della popolazione è analfabeta e fa fatica a capire per chi vota e come vota? Quando penso a questo contesto, mi interrogo sul significato della parola ‘democrazia? e mi chiedo se abbia ancora senso usarla in India (come peraltro in Italia) e mi chiedo anche come valutare il contrasto fra la grande libertà di stampa di cui l’India gode (ben più ampia di quella italiana) e la gestione effettiva del potere economico e politico. E mi chiedo – io che non sono una politologa, ma sono una economista che si occupa di capitalismo e povertà – con quale aggettivo si possa definire la società indiana in cui esistono alcune elite che dominano sulla base di un insieme di posizioni di potere sostenute da fattori economici, culturali e ideologici, che ricordano da vicino l’egemonia del capitale sul lavoro nell’epoca fascista in Italia, così come è stata descritta da Antonio Gramsci.

Non posso che essere d’accordo con Elisabetta, con la quale ho avuto il piacere di confrontarmi anche de visu. Non sono un analista, ne un politologo, ma porto l’esperienza di chi, da sei anni, vive quotidianamente in India e cerca di raccontarla, cercando nel contempo di fare in modo che venga compresa.
Ho sempre avuto remore nell’utilizzo de ‘la più grossa democrazia del mondo’. Se fate un giro sul mio blog, non trovate mai, o quasi (se non perché citata da altri), l’utilizzo di questa definizione, se non per attaccarla. Ultimamente ho usato l’espressione “la più grossa democrazia del mondo”. Ebbi modo di discuterne con il prof. Aldo Masullo, eminente filosofo, alla presentazione del libro del prof. Domenico Amirante. Anch’egli, reduce da un viaggio in India, mi espresse le sue riserve sulla cosa, a siamo su altri campi.
Ho i miei dubbi anche sulle elezioni. Si, è vero, gli indiani numericamente rappresentano il popolo più numeroso che va a votare liberamente, ma da qui a parlare di democrazia, in senso ideale e filosofico, siamo lontani. Non sto a parlare di sperequazioni sociali, di problemi economici, dei quali tutti voi siete maestri e io un semplice osservatore. Ma è indubbio che in India non si voti per “opinione” ma per “appartenenza”. Non nascondiamoci dietro ad un dito. I Yadav votano i Yadav, gli appartenenti ad un gruppo votano per il loro gruppo (che sia religioso, castale, tribale, etc, poco importa). E poi si vota Gandhi. E, stavolta, c’era una ragione in più. Rahul.
Dico questo perchè la sensazione che ho avuto durante la campagna elettorale era che non ci fosse nessun altro se non i Gandhi. Il BJP si è visto poco, così come gli altri, mentre i tre Gandhi sfuriavano dovunque.
La politica del Congresso, nei cinque anni di governo, ha fallito li dove aveva pescato la sua base elettorale nel 2004, nelle classi più basse. Eppure ha avuto oggi un consenso non indifferente. Come era successo all’indomani degli attentati di Mumbai. Gli indiani sono scesi in piazza in tutto il paese per protestare contro la mancanza di sicurezza e contro il governo che non si era impegnato a fondo. Per giorni le televisioni e i giornali mostravano gente per strada con cartelli e slogan antigovernativi. Eppure, agli inizi di dicembre, il Congresso e quindi il governo, non solo vincono per la quarta volta Delhi, ma strappano il Rajasthan al BJP che, vale dire, non era stato in grado di cavalcare l’ondata antigovernativa soprattutto nella critica al governo per la sua politica di lotta al terrorismo di matrice islamica interno ed esterno. Il BJP nelle elezioni del 2004 come in quelle appena concluse, non ha fatto una campagna elettorale propositiva, ma anti: anti congresso, anti Sonia, per certi versi antimusulmana.
Ultime due considerazioni. La percentuale dei votanti è stata del 58,4% cinque anni fa del 58,07%, quindi uguale. Sono aumentati i votanti, i primo ministro ieri ha detto che dalle loro analisi dei voti è risultato che il Congresso ha avuto i voti dei giovani. Non mi meraviglia, non foss’altro che almeno il partito di Sonia aveva tra i leader più esposti un giovane che, tra l’altro, possiede un carisma, secondo gli indiani, non foss’altro che assomiglia molto a suo padre, speranza dei giovani degli anni 90.
La seconda considerazione è sul fatto che manca, come sempre, soprattutto ora nel voto elettronico, il dato relativo alle schede nulle o bianche. Sulla macchinetta ci sarebbe un pulsante per esprimere questo tipo di voto, ma nessuno lo pigia. Ciò avvalora la mia idea del voto per appartenenza, perchè la gente comunque vota per il proprio candidato, il più delle volte locale o in qualche modo legato alle situazioni locali.
La percentuale dei non votanti non è data da coloro che non sono andati a votare per protesta, ma da una serie di fattori. Tra questi, come mi hanno fatto notare sapientemente pochi giorni fa i prof. Maiello e Amirante, c’è stata una riscrizione delle circoscrizioni elettorali. La difficoltà di raggiungerne alcune, in giorni tra l’altro nei quali il caldo era atroce (ci sono stati morti) ha portato a rinunce. Ma questo è solo un motivo, non tanto banale, credete, come possa sembrare. E poi, permettetemi una ultima considerazione, che va soprattutto contro la mia professione. Di India sui giornali si parla solamente per immagini. Situazioni iconografiche, quasi diapositive. Interessano molto i sadhu, la macchina a 1700 euro, gli elefanti, i poveri, il software, etc. Senza andare a vedere cosa c’è dietro. Ed anche quando gli articoli meriterebbero gli approfondimenti, si ragiona per immagini, come è appunto la definizione “l’esercizio democratico più grande del mondo” o “la più grande democrazia del mondo”. E’ una banalizzazione, lo so. Ma meno male che c’è. Altrimenti, non se ne parlerebbe neanche in queste occasioni.

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Manmohan primo ministro, dopodomani giuramento

Manmohan Singh, l’economista che per cinque anni e’ stato capo del governo indiano uscente, e’ stato rinomato alla guida dell’esecutivo. Singh ha avuto l’incarico di formare il nuovo governo dal presidente dell’Unione Indiana Pratibha Patil, durante un incontro con lo stesso Singh e Sonia Gandhi, presidente del Partito del Congresso, che ha vinto le elezioni fine il 13 maggio, e dell’UPA (United Progressive Alliance) che guidera’ il paese. Il 22 maggio, come annunciato, ci sara’ il giuramento del governo. Singh e la Gandhi stanno ora definendo le nomine dei ministri. Il Congresso, insieme ai suoi alleati pre elettorali (DMK, Trinamool, etc.) arriva a 274 seggi, due oltre la maggioranza. Ma il Congresso oggi ha ricevuto le lettere di supporto, l’appoggio esterno, dal Rashtriya Janata Dal (il partito di Laloo Prasad ex ministro delle ferrovie), dal Samajwadi Party e soprattutto dal Bahujan Samaj Party di Kumari Mayawati, la regina dei Dalit. Insieme a questi partiti, il Congresso e l’UPA possono contare su un appoggio di 322 parlamentari. Tra i ministri, Chidambaran dovrebbe rimanere ministro dell’Interno e AK Antony ministro della difesa. Pranab Mukherjee dovrebbe passare dagli esteri alle finanze. Rahul dovrebbe avere o un ministero senza portafoglio o nulla. Il Trinamool Congresso dovrebbe avere 3 ministri, mentre il DMK 2.

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