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Nel 2010 6 malati di cuore su 10 vivranno in India

Tra soli due anni il 60% delle patologie cardiache avrà ‘cittadinanza indiana’, un triste e pericoloso primato visto che in India sono più giovani che nei paesi sviluppati coloro che si ammalano e che la prognosi è sempre più negativa rispetto al resto del mondo. La stima è stata evinta dallo studio di Denis Xavier della St. John’s National Academy of Health Sciences di Bangalore, pubblicato sulla rivista Lancet. La malattia ischemica è la principale causa di more nel mondo. Nel 2001 ha provocato 7,1 milioni di vittime globalmente, 80% delle quali nei paesi a basso reddito. Si stima che nei paesi in via di sviluppo tra 1990 e 2020 si registrerà un aumento di queste malattie del 137% (cioé saranno più del doppio) per gli uomini, 120% per le donne, contro un aumento medio del 30-60% nei paesi sviluppati. La ricerca ha coinvolto quasi 21.000 pazienti indiani reduci da un attacco cardiaco. E’ emerso che a ricevere una prognosi grave, cioé il riscontro di un maggior danno cardiaco, è oltre il 60% di loro, contro mediamente il 40% degli infartuati nei paesi sviluppati. Inoltre mentre questi ultimi hanno un’età media di 63-68 anni, i pazienti indiani, hanno invece mediamente 60 anni o anche meno, segno che la popolazione cardiopatica indiana è molto più giovane. I dati sono tanto più preoccupanti, concludono gli esperti, se si considera che in India la cardiochirurgia non ha ancora raggiunto livelli adeguati e che le prestazioni migliori sono a pagamento. Inoltre in India non sono ancora ben sviluppate misure di prevenzione, e il rischio di morire di infarto è reso più alto dalla difficoltà di raggiungere gli ospedali, da servizi di emergenza ancora carenti come pure i collegamenti stradali che allungano il tempo verso la salvezza, il raggiungimento dell’ospedale.

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