Due persone sono morte ieri in incidenti promossi nello Stato di Karnataka (India meridionale) da gruppi musulmani a seguito della pubblicazione in un quotidiano locale di un articolo della scrittrice bengalese Taslima Nasreen sull’uso della burqa. Da anni impegnata nella denuncia della condizione della donna nel mondo islamico, la Nasreen ha dovuto abbandonare il Bangladesh ed ha vissuto per anni in esilio in Europa. Di recente ha ottenuto un visto di soggiorno di sei mesi in India. Gli incidenti, che hanno coinvolto i distretti di Shimoga e Hassan, sono stati promossi da leader musulmani locali che hanno ordinato ai negozi di chiudere i battenti e portato centinaia di persone in piazza. Un giovane a Shimoga e’ morto quando la polizia ha aperto il fuoco contro i manifestanti che stavano distruggendo moto ed automobili, mentre l’altro e’ deceduto per le ferite riportate nelle violenze generalizzate. Decine di persone sono inoltre rimaste ferite e 50 sono invece state arrestate dalle forze dell’ordine. Nella zona e’ stato imposto un coprifuoco fino a domani sera mentre centinaia di agenti presidiano le strade, tornate oggi calme. La polizia ha presentato alla giustizia una denuncia contro il quotidiano in lingua kannada che ha pubblicato l’articolo e contro il giornale in Urdu da cui esso e’ stato ripreso per ”offesa ai sentimenti della comunita’ religiosa”. La Nasreen ha negato di avere mai scritto l’articolo che ha creato una dura reazione della locale comunita’ musulmana, perchè nell’articolo che il giornale attribuisce invece alla scrittrice che non puo’ piu’ tornare in Bangladesh si sostiene che perfino il profeta Maometto non credeva nell’uso del burqa per le donne, trattandosi di ”un oggetto che soffoca la liberta’ femminile”. Interrogata dall’agenzia indiana Ani, la vincitrice del Premio Sakharov ha assicurato che ”gli incidenti di ieri mi hanno veramente scioccata. Ma io non ho mai scritto in vita mia alcun articolo per giornali di Karnataka”. ”La pubblicazione dell’articolo – dice ancora – e’ una cosa atroce. In nessuno dei miei scritti ho mai sostenuto che Maometto fosse contro il burqa. Sospetto che siamo di fronte ad un tentativo deliberato di diffamazione nei miei confronti e di alterare il mio pensiero per creare disordini sociali”.
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Violenze e morti per articolo contro il Burqa, attribuito alla Nasreen
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Arundhati Roy sull’India: come darle torto?
Ho conosciuto Arundhati Roy, l’ho incontrata diverse volte. Il suo libro non mi aveva esaltato, ma lei si. E’ una donna piena di fascino, non solo per come è ma per quello che è. Mi trova sempre d’accordo con quello che pensa e dice. E anche con quello che dice in quest’articolo. Alla faccia degli hope man, di coloro che e conoscono l’India per stereotipi, gli stessi con i quali comincia l’articolista e per i quali la stessa articolista si meraviglia che la Roy li demolisca. L’articolo di seguito è uscito su Repubblica nella pagina dei libri il 27 giugno scorso. Autrice dell’intervista, è Leonetta Bentivoglio.
Un´altra immagine dell´India: non quella di una terra riflessiva e morbida, fondata su princìpi di meditazione, yoga e pacifismo ascetico “alla” Gandhi. L´India raccontata da Arundhati Roy, considerata la massima scrittrice indiana odierna, è un paese malato, oppresso dalla violenza del fondamentalismo indù, corrotto da ingiustizie, sospinto da un separatismo proiettato in barriere di casta, etnia e religione. Da una decina d´anni questa tenace combattente («essere pacifista significherebbe accettare l´ordine costituito»), lotta con la forza delle parole contro una democrazia che definisce «guasta nelle istituzioni e ipocrita nella sua fusione predatoria con un capitalismo che giustifica ogni abuso».
È così assorta nelle polemiche, così presa dal suo impegno anti-global, che dopo Il dio delle piccole cose, l´opera prima che la rese una celebrità internazionale, non ha più scritto romanzi, optando per saggi rapidi e infuocati su questioni politiche e sociali. Eppure il passo è quasi letterario nell´uso peculiare di metafore poetiche e paradossi ironici: accade anche in Quando arrivano le cavallette, appena pubblicato da Guanda, suo editore di riferimento in Italia. Il libro raccoglie «otto interventi pubblici», spiega Arundhati Roy al telefono da Delhi, «relativi a momenti critici della vita indiana contemporanea». La sua voce emerge con dolcezza dall´amalgama sonoro di un continuo guaire, latrare e abbaiare: «Ho attorno sei o sette cani che vanno e vengono, dato che la porta di casa mia è aperta e s´affaccia su un parco. Non so più quali sono miei e quali appartengono al mondo».
In questo libro sferra attacchi feroci alla magistratura indiana. La stato della giustizia è tanto disastroso nel suo Paese?
«Accade spesso che il governo si astenga da decisioni impopolari delegandole ai magistrati, che acquistano sempre più potere e tendono a comportarsi con l´arroganza che caratterizza l´élite del paese. Di fronte a certi massacri, come quello dei tremila Sik uccisi nel 1984 nelle strade di Delhi, non c´è alcun sistema legale che soccorra le famiglie delle vittime. La cosiddetta legalità è fuori dalla portata della gente comune: nessuno può pagarsi un avvocato. La magistratura è un´istituzione che serve solo ai ricchi, ed è un sistema inattaccabile e protetto. In nessun´altra democrazia si va in prigione, com´è capitato a me, per aver criticato una sentenza: nel mio caso fu quella che nel 2001 autorizzava la costruzione di una diga gigantesca sul fiume Narmada. Mi condannarono per oltraggio alla corte».
La politica dell´industrializzazione intrapresa dall´India in questi anni sembra il suo bersaglio centrale.
«Termini come “progresso” e “sviluppo” sono diventati intercambiabili con “riforme economiche”, “deregulation” e “privatizzazione”. Al di là di una classe media ebbra di una ricchezza improvvisa, ci sono decine di milioni di persone private della loro terra e costrette a sfollare a causa di dighe, miniere e zone di speciale interesse economico. Lo strapotere dei gruppi industriali ha determinato una sorta di feudalesimo geneticamente modificato. E mentre si sbandierano pianificazioni deliranti come quella della futura urbanizzazione dell´85 per cento della popolazione, interi ecosistemi vengono distrutti e il numero dei suicidi dei contadini è arrivato a 180 mila».
Le recenti elezioni hanno portato alla nomina dell´”intoccabile” Meira Kumar alla guida del parlamento, e pochi mesi prima negli Stati Uniti è sorta la nuova stella Obama. Queste novità non la rendono più ottimista?
«La situazione dei dalit, gli intoccabili, dura da migliaia di anni, e una mossa politica come quella non può modificarla. Il parlamento fa i suoi giochi mettendo le varie comunità una contro l´altra, e se prima lo faceva in modo surrettizio ora agisce in modo scoperto. Quanto a Obama è ovvio che è molto meglio di Bush, ma niente ci fa credere che non proseguirà nello sforzo di mantenere l´America al vertice della piramide del cibo. Se c´è qualcosa che può spostare gli squilibri è la crisi economica mondiale, e io credo che nel contesto attuale il lavoro di Obama sarà simile a quello del pilota che ha dovuto far atterrare un aereo sull´Hudson: se si vuole evitare una guerra nucleare bisogna far atterrare l´impero americano con estrema cura. Ma considerando quel che accade in Sri Lanka, Pakistan, Afganistan e Iraq, si capirà che la grande novità chiamata Obama è finora soltanto un po´ di miele versato su piaghe molto profonde».
Lei scrive in inglese: non ha problemi a esprimersi nella lingua degli imperialisti?
«L´India è ricchissima di lingue e dialetti. Come figlia di madre cristiana del Kerala e di padre bengalese e induista, io sono un prodotto di diverse lingue e culture. Non c´è un linguaggio comune eccetto l´inglese, cioè la lingua dei colonizzatori. Ma in una società piena di disuguaglianze come questa possono essere imperialiste anche le lingue regionali. Pensi agli intoccabili: dal loro punto di vista, chi sarebbero i colonizzatori? Io sono contro l´idea che per affermare una certa opinione sia necessario usare una determinata lingua. Il linguaggio è funzionale: lo scrittore deve usarlo per farsi comprendere; non dev´essere la lingua a usare lui».
La lettura di Quando arrivano le cavallette può evocare l´immagine violentissima dell´India proposta dal film Slumdog Millionaire: le è piaciuto?
«No. L´ho trovato culturalmente falso, pieno di errori. E poi mostra la povertà come se fosse un fenomeno naturale».
Lei dà un giudizio problematico sul mahatma Gandhi: forse è la sola…
«Era un uomo capace d´intelligenza e di discorsi profetici: lo sono stati, per esempio, quelli che ha fatto sulla questione ambientale. Ma era troppo conservatore riguardo a certi temi, come il sistema delle caste, che non ha mai messo in discussione, e il suo pacifismo aveva risvolti assurdi: come si può invocare lo sciopero della fame in un paese dove la metà delle persone muore di fame?»
Non pensa a nuovi romanzi?
«Ci penso spesso: ho in mente belle storie. Ma la realtà attorno a me è troppo pressante per darmi il tempo di scrivere fiction».
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L’esercito pachistano avanza nella valle dello Swat
Sono sempre piu’ intensi i combattimenti nella Valle dello Swat, nel nord ovest del Pakistan, dove l’esercito pachistano sta dando la caccia casa per casa ai militanti talebani. E mentre i militari combattono, i leader di Pakistan, Afghanistan e Iran trovano strategie comuni contro il traffico di droga ed il terrorismo. L’esercito di Islamabad ha deciso di rispondere agli attacchi dei talebani scegliendo le strategie da guerriglia adottate dagli stessi ribelli. In queste ore, i militari pachistani perlustrano tutte le strade di Mingora, la citta’ piu’ importante della valle dello Swat, considerata un importante bastione dei talebani che operano ai confini con l’Afghanistan. La conquista della citta’ e’ considerata fondamentale dai militari pachistani, visto che e’ proprio a Mingora o nei suoi dintorni che si troverebbe il quartier generale dei talebani, sia del maulana Fazlullah che di Baitullah Mehsud, ritenuto alto esponente di al Qaida in Pakistan e responsabile, tra gli altri, dell’attentato in cui e’ morta Benazir Bhutto. L’esercito ha deciso di investire molto nella presa di Mingora: una volta riconquistata definitivamente, i militari potranno avanzare fino ai confini con l’Afghanistan, nelle aree dove si ritiene ci siano anche esponenti di primo piano di al Qaida. La citta’ ha oltre 370000 abitanti, e circa ottantamila che sono riusciti a scappare nonostante il coprifuoco e gli ”aspri combattimenti” – come li ha definiti il portavoce dell’esercito – che infuriano sulle strade, sono intrappolati in un budello tra due fuochi, senza viveri e generi di conforto. Dal 26 aprile scorso, da quando, rispondendo anche ad una richiesta internazionale in particolare americana, e’ cominciata l’offensiva dell’esercito sono stati uccisi 1100 talebani e 66 soldati, secondo le stime dell’esercito. Una ventina i talebani morti negli ultimi giorni di combattimenti nello Swat, dieci solo oggi, sette i militari. Ma non si hanno dati sui civili. Intanto, oggi a Teheran, Iran, Pakistan e Afghanistan hanno trovato un’intesa per una strategia comune per combattere il terrorismo ed il traffico di droga. I presidenti iraniano Mahmud Ahmadinejad, pachistano Asif Ali Zardari e afghano Hamid Karzai si sono inoltre impegnati a tenere nuovi vertici a Islamabad e Kabul. Combattere il terrorismo, per il presidente pachistano Zardari, e’ ”non solo una questione di sopravvivenza, ma e’ importante per la formazione e la sicurezza delle nostre future generazioni”. Il presidente iraniano Ahmadinejad ha affermato che occorre una ”strategia comune per portare la sicurezza nella regione” indipendentemente dalle ”forze straniere”, che ”pensano solo ai loro interessi”. Karzai, da parte sua, ha sottolineato che la regione ”soffre dell’estremismo, della guerra e della divisione”, e si e’ detto convinto che sia necessario ”cooperare pienamente ed agire da buoni vicini”.
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L’esercito pachistano entra a Mingora, roccaforte talebana
L’esercito pachistano e’ entrato oggi a Mingora la piu’ grande e importante citta’ della valle dello Swat, bastione dei militanti talebani. Fonti militari hanno hanno parlato di ”aspri combattimenti in corso”, durante i quali sarebbero stati uccisi almeno una ventina di talebani. Quella di Mingora potrebbe risultare una battaglia fondamentale nella guerra che l’esercito di Islamabad ha deciso di combattere contro i talebani della parte nord occidentale del Pakistan, ai confini con l’Afghanistan. Qui, infatti, c’e’ il grosso dei guerriglieri integralisti islamici e nell’area pare siano nascosti anche i loro leader, a cominciare dal Maulana (dignitario religioso) Fazlullah. Migliaia i cittadini, tra i 300.000 che vivono a Mingora, che hanno gia’ lasciato la citta’ all’inizio dei combattimenti. A Mingora il Maulana Sufi Mohammed, anziano leader del Tahrik-e-Nifaz Shariat Muhammadi (Tnsm) ha instaurato per primo la sharia, la legge islamica, prima avallata dal governo della provincia frontaliera di nord ovest (Nwfp) e poi contrastata dal governo centrale. Il governatore della Nwfp, Owais Ahmed Ghani, visitando i campi profughi della valle dello Swat, ha detto che le autorita’ si stanno adoperando per portare soccorsi ai rifugiati, ma intende proseguire l’offensiva contro i talebani, per cui non c’e’ nessuna indicazione sulla fine della guerra nello Swat. Oggi il primo ministro pachistano, Yusuf Raza Gilani, ha elogiato l’azione dell’esercito, ma ha condannato i continui bombardamenti da parte dei droni americani, gli aerei senza piloti, al confine con l’Afghanistan. Secondo Gilani, i bombardamenti americani sono ”controproducenti e il governo non intende sostenerli”. Intanto in serata nei pressi di Quetta, in Balucistan, e’ stato rapito un viaggiatore francese che con un gruppo di persone, tra le quali anche donne e bambine, attraversava la zona per recarsi in Iran. Nella stessa zona fu rapito e liberato, dopo diverso tempo, John Solecki, il responsabile dell’ufficio di Quetta dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
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Gilani chiede di eliminare tutti i talebani
Yusuf Raza Gilani, primo ministro del Pakistan, ribadisce la linea dura contro i talebani e l’impegno del suo governo a sconfiggere i ribelli della zona nord occidentale del paese. Lo fa in un discorso alla nazione, all’indomani degli incontri di Washington tra il presidente americano Barack Obama, quello afghano Hamid Karzai e quello pachistano Asif Ali Zardari sul terrorismo. ”Abbiamo chiesto all’esercito di eliminare tutti i terroristi dal Makaland e dallo Swat”, ha detto Gilani alla televisione, nel dodicesimo giorno di scontri tra forze armate di Islamabad e talebani, durante i quali hanno perso la vita un centinaio di ribelli. Gilani ha anche assicurato fondi e strutture di ricovero per le migliaia di civili che stanno fuggendo dalle zone di guerra, oltre ad un lavoro per un membro delle famiglie che hanno perso una persona a causa dei combattimenti. La decisione di andare avanti fino all’eliminazione dei talebani, ha detto il primo ministro, e’ giunta dopo consultazioni con tutti i partiti politici pachistani, tutti impegnati a risolvere i problemi nella valle dello Swat con il dialogo, ma fortemente convinti che i terroristi talebani stanno minando il diritto del governo centrale nelle zone frontaliere con l’Afghanistan. Gilani ha ricordato come il suo governo sia andato avanti con la promessa e la realizzazione della sharia, la legge islamica, nell’aera nord occidentale del Makaland, cosi’ come richiesto dai talebani, in cambio della pace. ”Ma tutti i passi fatti per portare la pace nella regione – ha detto Gilani alla televisione – sono falliti perche’ i terroristi hanno cominciato a colpire posizioni del governo. Questo – ha concluso Gilani – richiede di prendere passi decisivi”. Gilani si e’ anche appellato alla nazione affinche’ appoggi il governo e l’esercito nella lotta al terrorismo, chiedendo unita’.
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In 40000 scappano dalle zone di guerra in Pakistan
Per il nono giorno la valle dello Swat e’ stata al centro di intense operazioni militari delle forze di sicurezza del Pakistan contro basi di talebani in varie localita’ del distretto, ed in particolare a Mingora, dove decine di migliaia di civili terrorizzati hanno abbandonato con ogni mezzo le loro case. Gli scontri, cresciuti di intensita’ con il passare del tempo, sono stati assai aspri oggi sia nello Swat, sia nei vicini distretti di Lower Dir e Buner. Quest’ultimo, a solo 100 chilometri da Islamabad. In un comunicato i Corpi di frontiera hanno reso noto che tiri di artiglieria hanno raggiunto basi dei talebani a Pir Baba e Sultanwas, nel Buner, con un bilancio di 27 militanti uccisi. Ma i media pachistani hanno riferito che la battaglia piu’ spettacolare e’ avvenuta attorno alle miniere di smeraldi a Takhtaband Bypass dove un reparto dell’esercito ha risposto al fuoco dei fondamentalisti islamici uccidendone 35. Le miniere sono passate sotto il controllo dei talebani mesi fa dopo la decisione del governo del presidente Ali Asif Zardari di concedere l’applicazione della sharia (legge islamica) nello Swat, con la speranza di pacificare la regione. Un obiettivo che pero’ non e’ stato raggiunto, costringendo il governo a far uscire l’esercito dall’inattivita’ seguita alla firma dell’accordo a meta’ febbraio. Gli esperti sostengono che nello Swat si affrontano 15.000 militari e 7.000 talebani pesantemente armati. Il ministro dell’Interno, Rahman Malik, ha annunciato che gli Usa forniranno cinque nuovi elicotteri per la lotta antiguerriglia, mentre a Washington Zardari ha reclamato la fornitura di velivoli senza pilota (droni), respingendo ogni ipotesi di intervento diretto delle forze Usa nel paese. Comunque, la possibile degenerazione dello scontro ha diffuso la paura fra la popolazione, spingendo 40.000 persone a lasciare Mingora, mentre le autorita’ locali hanno suggerito che i profughi potrebbero salire rapidamente a 500.000. In assenza del capo dello Stato impegnato con il collega afghano Hamid Karzai in colloqui alla casa Bianca, il premier Yusuf Raza Gilani ha annunciato la predisposizione di aree in cui si stanno attrezzando tendopoli per affrontare il peggio. Comunque, molti di quelli che hanno lasciato Mingora si dirigono a nord, verso Peshawar, dove le truppe pachistane mantengono il controllo e l’ordine. Non si sa quanto durera’ l’offensiva delle forze militari pachistane, ma essa si trova a dover far fronte ad ogni tipo di ostacolo, come le mine comandate a distanza che in due giorni hanno ucciso quattro soldati, o i miliziani nascosti fra la popolazione civile per organizzare attentati. Senza mostrare ripensamenti un portavoce dei talebani, Muslim Khan, ha dichiarato che questi controllano il 90 per cento della Valle dello Swat e che sono scesi in campo ”dopo una violazione dell’accordo di pace da parte dei militari”. Khan ha infine accusato il governo di agire per conto di quello americano, spiegando che prima tutto andava bene, mentre ora l’accordo di pace, con l’intervento militare nel Buner appoggiato dagli Usa, ”e’ morto e sepolto”.
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