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I napoletani d’India

Tra i luoghi comuni che circolano sui napoletani, c’è anche quello che trovano milioni di scuse quando vengono beccati in fallo. Da napoletano non commento questo preconcetto (sarebbe meglio dire idiozia), ma vi racconto un episodio che, in questa chiave, rende gli indiani simili ai napoletani. Ma i napoletani superiori a tutti gli altri.
L’altro sabato e domenica sono andato con la famigliola a Rishikesh e Haridwar. 220 km percorsi in 6 ore, seguendo la National Highway 58. Una distesa di buche macchiate con un po’ di asfalto sputato sul terreno da qualche dio con poca saliva.

Bel viaggio, sicuramente illuminante: nonostante il buio pestissimo, i vari camion che ti sfioravano di corsa passando in direzione inversa (la strada è larga un metro), non avranno il servosterzo, le portiere, l’abs e l’airbag, ma hanno gli abbaglianti che funzionano benissimo e che ti arrivano sparati negli occhi. Senza contare poi la gimkana per scansare coloro che, non avendo il bagno in casa, fanno i loro bisogni sul ciglio della strada.

Due giorni di relax all’insegna del Gange. Anna Chiara si è anche bagnata nelle limpide (li davvero si) acque del fiume.

Domenica il ritorno. Un traffico incredibile, anche perché sulla NH58, oltre ai camion, auto, autobus, motorini, tre ruote e altri mezzi motorizzati, circolano mezzi a trazione animale (bufali, mucche, cammelli) e umana.

Mentre ero fermo nel traffico, l’auto di dietro, forse lasciando la frizione, mi è venuta addosso. Sono sceso e ho visto che la collisione aveva provocato un graffio e piccola frattura sul paraurti della mia innova. Da buon indonapoletano ho fermato la macchina in mezzo al traffico, bloccandolo più di quanto non fosse prima, sono sceso e ho cominciato a fare questioni con quelli di dietro.

Dopo insistenze, e un concerto incredibile di clacson, ci siamo spostati più in la. E’ cominciata la contrattazione. Dalla piccola auto a 5 posti sono uscite 32 persone. Quello che era seduto accanto all’autista è venuto con aria mesta verso di me. Sir, signore, mia madre è morta, mi ha detto immediatamente. E io: Condoglianze.

Mica l’ho uccisa io? tutti moriamo, rientra nell’ordine naturale delle cose. Si nasce e si muore. Ma che il lutto facesse perdere il controllo delle auto non l’avevo mai sentito.

Sir mia madre è morta, ripeteva. Ed è colpa mia? Visto che l’argomento mamma e quello morte non funzionavano, siamo passati alla lotta terzomondista. Sir, tu sei ricco, io povero. E a te chi te lo ha detto? Poichè guido una macchina grande, gli ho detto, non significa che sono ricco. Mi veniva da dire che per dipingere una parete grande non è necessario avere un pennello grande. Io sono l’autista della signora, guadagno meno di te, gli ho detto indicando mia moglie.

Visto che né il primo, né il secondo argomento hanno scalfito il mio muro, siamo passati al terzo. Ma la macchina non si è fatta niente. Niente? Ma si è sguarrato tutto il paraurti, io ho preso il colpo della strega, la bambina è rimasta impressionata e lo sarà per tutta la vita, mia moglie ha perso la parola (e questa è una cosa buona). Questo gli avrei voluto dire. Ma non gliel’ho detto. Io non son napoletano o, meglio, i napoletani non lo fanno.

Abbiamo esplorato il danno, ho mostrato il disastro fatto. E gli ho pure detto che se fosse stato il contrario, se io gli fossi andato addosso, lui si sarebbe fatto pagare la sua piccola auto come una Ferrari e tra i 35 occupanti (nel frattempo un paio di donne hanno partorito, ci sarebbero stati una decina di morti, altrettanti feriti gravi e una decina di feriti lievi.

Ho preso il numero di targa, è venuta altra gente, una folla intorno, anche la polizia. Io non demordevo.

Visto che la cosa non portava a nulla, ho segnato il numero di targa, il nome dell’autista, il tipo di auto e me ne sono andato, con l’idea di dare tutto alla mia assicurazione che si fa pagare oltre 1000 euro all’anno.

Ma qui è entrato lo spirito napoletano. Mia moglie, napoletana al 100%, i ha chiesto di recedere dal mio intento. Sono gentili, mi fanno tenerezza, lasciamo stare, ha detto. E così le uniche cose che mi sono rimaste sono una abrasione e leggera spaccata sul parafango, un numero di targa, il nome di un autista, il modello di un’auto.

Questo significa essere napoletano.

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