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Più civili che terroristi uccisi dagli aerei americani in Pakistan

Per ogni terrorista talebano e di Al Qaeda ucciso da uno dei 44 attacchi missilistici dei droni americani nel nord ovest del Pakistan, 140 civili sono morti, con una media di 58 civili uccisi ogni mese, 12 ogni settimana, due ogni giorno. Lo rivelano le statistiche pubblicate oggi dal governo di Islamabad e diffuse dalla stampa pachistana. I 44 attacchi del 2009 da parte degli aerei senza pilota americani contro istallazioni talebane nel nord ovest del Pakistan, hanno fatto 708 vittime civili. Solo cinque attacchi, secondo le statistiche pubblicate, hanno raggiunto i loro obiettivi, uccidendo cinque leader tra Al Qaeda e talebani. I dati mostrano che il 90% delle vittime degli attacchi degli aerei americani di stanza in Afghanistan, sono civili, con un successo per le missioni di solo l’11%. La maggior parte degli attacchi colpivano obiettivi segnalati loro da spie pachistane e afghane, membri delle tribu’ dell’area nord occidentale, fedeli al governo pachistano. Dei cinque attacchi dei droni americani andati a buon fine, il primo in assoluto del 2009, il primo gennaio dell’anno scorso, uccise due leader di Al Qaeda, Usama al-Kin e Sheikh Ahmed Salim, ricercati dall’Fbi. Kin era capo delle operazioni di Al Qaeda in Pakistan. Il 5 agosto scorso, invece, in Sud Waziristan, in un altro attacco missilistico da parte di un drone americano, fu ucciso Baitullah Mehsud, il capo del Therik-e-Talkiban, il piu’ temuto gruppo terroristico pachistano, legato ad AL Qaeda, responsabile di una serie di attentati tra i quali quello nel quale perse la vita l’ex primo ministro Benazir Bhutto. Islamabad ha spesso criticato, senza successo nonostante le minacce di ritorsioni, Washington per gli attacchi dei droni.

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Finita operazione militare pachistana in Sud Waziristan

Le forze di sicurezza del Pakistan hanno concluso l’offensiva nel Waziristan meridionale cominciata a metà ottobre ed ora potrebbero trasferirsi in un altra zona calda alla frontiera con l’Afghanistan: l’Orakzay Agency. Lo ha dichiarato oggi il premier pakistano, Yousuf Raza Gilani. Parlando con i giornalisti a Lahore, capitale del Punjab e dove la polizia sta interrogando i cinque americani arrestati il 9 dicembre e sospettati di contatti con il terrorismo islamico, Gilani ha sostenuto che “l’operazione militare nel Waziristan meridionale si è conclusa e stiamo valutando l’opportunità di spostare l’esercito nella Orakzay Agency”. Questo perché, indica Dawn News Tv, il govern ritiene che molti talebani potrebbero essere fuggiti dal Waziristan meridionale per rifugiarsi in quello settentrionale o, appunto, in Orakzay. Le dichiarazioni di Gilani sembrano anche essere una risposta alle affermazioni del presidente statunitense Barack Obama, che ha chiesto al Pakistan, in una intervista alla Cbs, di “fare di più contro Al Qaeda”.

fonte: ANSA

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Attentato in moschea a Rawalpindi, 40 morti

Il Pakistan ha mostrato ancora una volta oggi la vulnerabilità della sua sicurezza quando un commando armato e accompagnato da due kamikaze, ha fatto irruzione a Rawalpindi in una moschea, piena di fedeli in preghiera e vicina al quartier generale dell’esercito, uccidendo almeno 42 persone, fra cui donne e bambini, e ferendone altre 80. Fra le vittime arrivate negli ospedali cittadini, si è appreso, vi sono molti militari, e perfino un generale in servizio. Testimoni oculari hanno riferito che “i terroristi hanno ucciso a sangue freddo alcune delle persone che si trovavano al riverse suolo”. L’attacco, che ha rianimato lo spettro di Osama Bin Laden e dei suoi uomini, ha avuto caratteristiche spettacolari perché nonostante le misure di sicurezza accuratissime attorno al luogo di culto che si trova nel quartiere di Westridge, sei uomini armati sono riusciti a penetrarvi. E ad operare in una zona dove si trovano vari uffici militari, fra cui il quartier generale dell’esercito, e che per questo è considerata la più icura della città. Un testimone oculare, citato dall’agenzia di stampa statale App, ha detto che il commando ha fatto irruzione fra i fedeli appena finite le preghiere della Jumma e, non appena l’Imam ha pronunciato la frase “Allah u Akbar”, ha lanciato due bombe a mano e cominciato a sparare all’impazzata. Subito dopo due kamikaze hanno attivato l’esplosivo che avevano indosso, fatto che ha contribuito a far crollare il tetto della moschea, come ha confermato il ministro dell’Interno, Rehman Malik. La reazione delle forze di sicurezza, che pure è stata tempestiva con l’uccisione di cinque assalitori, non ha potuto evitare l’enorme spargimento di sangue ed un altro colpo al prestigio del governo pachistano. E’ la sesta volta quest’anno che Rawalpindi, dove risiedono i comandi delle forze armate pachistane, è al centro di attacchi terroristici, con la perdita di almeno 120 vite umane. Sia il presidente Asif Ali Zardari sia il suo primo ministro Syed Yousuf Raza Gilani hanno duramente condannato “l’atto terroristico” chiedendo che “su di esso venga fatta la massima luce”. Da tempo il Pakistan è impegnato, su sollecitazione in particolare degli Stati Uniti, in una complessa offensiva contro i talebani, cominciata prima nella Calle dello Swat e proseguita poi nelle regioni confinanti con il Pakistan, fra cui il Waziristan del sud. Il presidente Zardari si trova in questo campo fra l’incudine rappresentata dai talebani ed il martello costituito da una opinione pubblica che vede con sempre più fastidio l’alleanza con Washington che per colpire i santuarì dell’estremismo islamico e di Al Qaida utilizza i droni, velivoli senza pilota che sparano razzi contro i nemici, colpendo però spesso civili incolpevoli. Un aumento dell’utilizzazione di questi droni, conosciuti anche come Predators, è stata autorizzata da Washington, ma questo sta trasformandosi in un motivo di frizione con Islamabad che, come ha dichiarato il premier Gilani al settimane tedesco Spiegel, li considera “controproducenti”. Comunque, incontrando oggi il premier della esplosiva Provincia della frontiera del nord-ovest (Nwfp) Ameer Haider Khan Hoti, il presidente Zardari ha assicurato che l’offensiva intrapresa contro i gruppi estremistici “continuerà fino alla loro completa eliminazione dal paese”.

fonte: ANSA

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Pakistan, così Al Qaeda sogna la bomba atomica

Di seguito un reportage di Guido Rampoldi, inviato di Repubblica, sul Pakistan. Interessante, anche se sbaglia a scrivere “Delhi”.

RAWALPINDI (Pakistan) – La Peshawar road costeggia per due chilometri il Quartier Generale delle Forze armate, una sequenza di caserme circondate dagli unici prati verdi di Rawalpindi; sul lato opposto, palazzine impettite come ufficiali sull’attenti ospitano le sedi di quelle Fondazioni che proiettano anche nell’economia il potere straripante dei generali pachistani. Superate le caserme, il paesaggio urbano rimpicciolisce per altri due chilometri in una fila di botteghe sormontate da cartelloni pubblicitari: scuole di informatica, scuole di inglese, olio di soya, la clinica cinese, i cassoni di plastica per l’acqua. Il pomeriggio c’è sempre molto traffico, ma il viale è largo e le motociclette possono zigzagare tra le macchine.
Quel 3 luglio, quando un pullman privato si è fermato al semaforo del crocevia chiamato Choor Chawk, un motociclista lo ha affiancato e ha fatto esplodere il tritolo di cui era imbottito il serbatoio. Dell’attentatore è rimasto a sufficienza per intuire l’età: molto giovane, uno dei tanti ragazzini convinti da astuti mullah ad ascendere in paradiso dentro una nuvola di fuoco. I passeggeri del pullman, la gran parte dei 23 feriti, non erano “infedeli”, come probabilmente gli era stato fatto credere, ma dipendenti del Kahuta Research Laboratories, forse il più importante centro di ricerche nucleari del Pakistan sin da quando lì fu concepita la Bomba.

Tutto quello che riguarda il Kahuta è protetto da un rigido segreto militare. Eppure i terroristi sapevano. Chi li ha informati sembra all’improvviso rivolgere le sue attenzioni alle 60-100 testate atomiche che sono l’orgoglio del Pakistan, l’incubo dell’India e il sogno di Al Qaeda. Con quale disegno?

Risaliamo i tre chilometri più spiati del Pakistan per girare la domanda al portavoce del Quartier generale, un colonnello. La zona che traversiamo ha visto negli ultimi mesi tre attentati contro obiettivi o personalità militari, quattro calcolando anche l’attacco al pullman del Kahuta. In queste azioni, mi dice il colonnello, “i terroristi hanno dimostrato di possedere informazioni riservate cui non sono in grado di arrivare da soli: dunque deve averli informati uno spionaggio straniero”. Oppure hanno complici nelle Forze armate, e forse anche nel programma nucleare, potremmo aggiungere. In un caso o nell’altro, l’attentato di Rawalpindi racconta la proliferazione atomica come proliferazione di intrighi e di rischi colossali. E forse dice che il Pakistan si sta avvicinando al bivio fatale. Di qua il disastro, se non l’apocalisse; di là la salvezza e la pace.

La Bomba ha reso al Pakistan non poco. Prestigio internazionale, la considerazione dei Paesi islamici, un deterrente per tenere a bada il poderoso vicino indiano, l’amicizia di due alleati tuttora strategici, la Cina e l’Arabia Saudita. Ma ha suscitato anche ostilità e cospirazioni. Zulfikar Bhutto, il premier che aveva sfidato gli americani promettendo “Mangeremo erba ma costruiremo la nostra atomica”, morì sulla forca, impiccato da generali amici di Washington. Alcuni tra gli scienziati cui Bhutto aveva ordinato “implorate, prendete a prestito, rubate, ma procuratevi la Bomba”, compiuta la missione continuarono a praticare metodi discutibili, suscitando sospetti sull’affidabilità del Pakistan. Abdul Qadeer Khan, già direttore del Kahuta Research Laboratories, divenne il facilitatore occulto di altri programmi nucleari (iraniano, nordcoreano, libico) che si avvalsero della sua consulenza, se non anche della tecnologia che Khan maneggiava.
Pakistan, così Al Qaeda sogna la bomba atomica

Missile a testata nucleare portato in parata in Pakistan

Arrestato nel 2003 su pressione americana, scarcerato di recente malgrado le apprensioni dell’amministrazione Obama, tra i suoi compatrioti Khan resta il popolarissimo “padre della Bomba”. Non ha mai svelato i suoi segreti. Un suo collega, Sultan Mahmood, responsabile del reattore nucleare di Khushab e notabile di un partito filo-Taliban, ha dovuto ammettere che Osama bin Laden gli chiese una consulenza per costruire un ordigno “sul genere di Hiroshima”. E già da questi esempi si ricava che ai grandi fisici nucleari pachistani le offerte di lavoro non devono mancare, tanto più da quando le Forze armate hanno impresso al programma atomico un’accelerazione. La scoperta di un giacimento di plutonio nel Punjab ha permesso di avviare, in joint venture con i cinesi, un progetto per fabbricare testate nucleari più potenti e più piccole, dunque lanciabili non più soltanto da rampe fisse ma anche da aerei.

Oltre ad avere il programma atomico più rapido del mondo, il Pakistan ha un altro primato poco rassicurante: la più vaga tra le dottrine militari. Chi possiede l’arma atomica di regola si premura di indicare con la massima precisione – alle proprie Forze armate e allo stesso tempo a potenziali aggressori – in quali situazioni sarà premuto il bottone fatale. Il Pakistan sembra fare eccezione. La sua dottrina di difesa, denominata “Minima deterrenza accettabile”, non è in un documento pubblico. E quel che si conosce per linee generali inquieta. Islamabad si riprometterebbe di usare le sue atomiche in un ventaglio di ipotesi. Innanzitutto qualora subisse “un’invasione massiccia”, formula però vaga. Per esempio, è probabile che la Nato si sia chiesta se si esporrebbe ad una rappresaglia atomica lanciando una grande operazione in territorio pachistano per decapitare i Taliban. Non meno indefinite sono le due ipotesi successive: Islamabad ritiene motivo sufficiente per usare la Bomba sia un’interruzione delle sue maggiori linee di approvvigionamento (per esempio, se la flotta indiana bloccasse i suoi porti o Dehli riducesse la portata del fiume Indo) sia una minaccia all’unità territoriale e alla stabilità del Paese, quale potrebbe essere la sollevazione del Beluchistan, dove opera da anni un forte secessionismo armato. Tuttavia nelle tradizioni militari pachistane c’è una sana riluttanza ad annichilire popolazioni nemiche. Dopotutto, le tre guerre combattute tra India e Pakistan sono stati tutte molto brevi e poco cruente e mai uno dei contendenti ha bombardato città.

Paradossalmente, il problema è l’equilibrio del terrore. Ha evitato una quarta guerra, ma ha suggerito a India e Pakistan di combattersi per procura e secondo geometrie sghembe, come i due Blocchi durante la Guerra fredda. Il prodotto di queste ostilità è un conflitto asimmetrico oggi molto rischioso per l’intera regione. E’ successo questo. Da una parte il Pakistan ha inglobato nel suo sistema di difesa le milizie islamiche che avevano combattuto contro i sovietici, e le ha utilizzate in Kashmir e in Afghanistan. Finché Musharraf le ha scaricate per assecondare gli americani. All’improvviso quei guerrieri fondamentalisti hanno perso prestigio, soldo, ruolo e traffici indotti, insomma tutto tranne i finanziatori arabi e forse alcuni amici nei servizi segreti del Pakistan. Cercando un conflitto in cui far valere il loro mestiere, si sono avvicinati ai Taliban pachistani e ad Al Qaeda, cui hanno portato in dote una rete terroristica diffusa sul territorio nazionale. Insieme, ora combattono un conflitto che ha per posta il Pakistan e le sue bombe atomiche. “Le prenderemo e le useremo contro gli americani”, ha promesso ad una tv araba il capo di Al Qaeda per l’Afghanistan, Mustafa al Yazid, dieci giorni prima che a Rawalpindi i terroristi colpissero i dipendenti del Kahuta Research Laboratories.

A sua volta l’India ha aperto misteriosi uffici consolari in Afghanistan, lungo la frontiera con il Pakistan. Con quelli, e per il tramite di tribù afghane, riuscirebbe a far arrivare armi e denaro sia al secessionismo del Beluchistan sia ad un settore dei Taliban. Islamabad fa sapere di poterlo provare, così come lascia intendere anche il comunicato diffuso a conclusione di un incontro bilaterale, due settimane fa (“Il primo ministro del Pakistan, Gilani, ha affermato di possedere alcune informazioni circa minacce in Beluchistan e altre aree”). Finora inascoltato, l’establishment pachistano sussurra da tempo la seguente accusa: l’India vuole mantenere il Pakistan in uno stato di instabilità controllata, affinché la comunità internazionale si convinca che questo è uno Stato fallito, inaffidabile; e profittando della sua debolezza finanziaria, lo costringa a mettere le sue bombe atomiche sotto sorveglianza internazionale, o almeno a interrompere il suo tumultuoso programma nucleare. Dehli avrebbe un secondo obiettivo strategico: rendere insicura la strada che corre dalle pendici del Karakorum fino al porto di Gwadar, nel Baluchistan pachistano. Presto permetterà alle merci cinesi di raggiungere l’Oceano nominalmente ancora Indiano, e al petrolio arabo di raggiungere la Cina, risparmiando ben tre settimane e relativi costi di trasporto.

Nell’albergo di Islamabad preferito dagli stranieri ormai gli ospiti cinesi sono numerosi quanto gli occidentali. L’influenza di Pechino è discreta ma crescente. In primavera, quando i Taliban sono arrivati a cento chilometri dalla capitale, non solo gli Usa ma anche la Cina hanno incalzato il Pakistan a reagire. Il contrattacco delle Forze armate sarebbe stato blando come le altre volte, se i generali non si fossero convinti che alcune bande di Taliban sono funzionali ai progetti dello spionaggio indiano. Come folgorato da questa percezione nuova, in maggio l’Esercito ha attaccato i Taliban dello Swat e li ha combattuti con una determinazione mai mostrata in passato. Tre mesi dopo, quelle vallate sono ancora insicure; fuggita in montagna, la guerriglia continua a uccidere soldati e a terrorizzare civili. Ma questo è quasi secondario. Per quanto vada ancora verificata, la conversione di Islamabad ne migliora l’immagine internazionale e permette agli americani di aumentare la pressione su Dehli perché accetti un compromesso. Nelle speranze dell’amministrazione Obama, i due nemici rinunceranno a colpirsi per procura e avvieranno una cooperazione contro il terrorismo di cui si intravede qualche timido segnale. A quel punto non sarebbe impossibile negoziare un accordo sul Kashmir. E tutto questo sarebbe di beneficio anche alla situazione in Afghanistan.

In apparenza minuscoli ma in realtà rilevanti, alcuni gesti di disponibilità scambiati in luglio tra Dehli e Islamabad suggeriscono che un processo di pace non è impossibile. Però suscita un’opposizione occulta, mossa da interessi interni e internazionali, in India come in Pakistan. Il partito del conflitto permanente l’anno scorso si è servito del massacro di Mumbai per paralizzare il dialogo tra i due governi e da allora ha riconquistato terreno. In luglio l’India ha varato il suo primo sottomarino nucleare e il terrorismo ha messo gli occhi sulla Bomba pachistana. Il sottomarino ha un nome mitologico che sta per “Distruttore dei nemici”. La Bomba pachistana viaggia su missili chiamati come i conquistatori musulmani dell’India. Ma questo è nella tradizione locale. Di nuovo c’è il fatto che la corsa ultratecnologica all’armamento nucleare ormai bordeggia il campo di battaglia della guerra asimmetrica. Prossimità ormai perfino fisica: uno dei siti nucleari pachistani si troverebbe appunto a ridosso di un territorio “talibanizzato”. Non è difficile immaginare dove potrebbe condurre tutto questo se il contenzioso indo-pachistano fosse abbandonato alla sua deriva.

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Cecchini e attacco multiplo a Lahore

Si sarebbe trattato di un attacco congiunto tra un’autobomba, altre esplosioni con granate e diversi cecchini che sparavano da palazzi limitrofi, quello che ha fatto almeno 30 morti (40 secondo altre fonti non confermate) a Lahore, nella parte orientale del Pakistan. Lo riferiscono fonti televisive e di stampa indiane e pachistane, in particolare l’agenzia pachistana Associated Press of Pakistan parla di cecchini sui palazzi vicini, mentre sarebbero state udite almeno due potenti esplosioni ed altre piu’ piccole. Secondo il ministro degli interni pachistano Rehman Malik dietro all’attentato ci sarebebro i talebani che, sconfitti dallo Swat e registrando perdite nella guerra contro l’esercito nella parte orientale del paese ai confini con il Pakistan, starebbero dimostrando la loro forza nelle citta’, per destabilizzare il paese. Per questo motivo, Islamabad, Karachi e Rawalpindi sono state mese in stato di massima allerta. Altre fonti dei servizi, puntano invece il dito con il gruppo terrorista Lashkar-e-Toiba, mentre alcuni ufficiali di polizia hanno collegato l’attentato al processo in corso a Lahore contro Hafeez Saeed, capo del gruppo terrorista Jamaat-ud-Dawa. L’attacco e’ stato portato al Capital City Police Office, la caserma piu’ importante di Lahore, ma pare che l’obiettivo fosse il palazzo dell’ISI, il potente servizio segreto pachistano, che non si trova distante dal luogo dell’attentato. Tre persone sarebebro gia’ state arrestate e sotto l,e macerie del palazzo distrutto ci sono ancora diverse persone. Il 30 marzo scorso a Lahore dei terroristi presero in ostaggio 800 allievi di polizia in una scuola di polizia, mentre il 4 marzo ci fu un attentato contro l’autobus della squadra di cricket dello Sri Lanka.

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Attentato alla stazione di polizia centrale di Lahore, vittime

Almeno 10 morti e 100 feriti, la stazione centrale di polizia rasa al suolo: questo il bilancio provvisorio dell’attentato compiuto pare con un’autobomba oggi nella centralissima Civil Lane a Lahore, in Pakistan.

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Attentato alla nazionale cingalese di cricket in Pakistan

E’ di otto persone, sei poliziotti e due civili, il bilancio dell’attentato di stamattina a Lahore, nel Pakistan orientale, nei confronti della nazionale cingalese di cricket. Almeno dodici uomini armati con kalashnikov, mitragliatori, fucili e granate, hanno attaccato poco prima delle 9 l’autobus che trasportava la nazionale di cricket dello Sri Lanka che doveva disputare, nello stadio Gaddafi della citta’ ai confini con l’India, la seconda partita di una serie contro la nazionale pachistana. Una partita che in realta’ sarebbe dovuta essere disputata dalla nazionale indiana, ma New Delhi rifiuto’ di parteciparvi per questioni di sicurezza. Secondo il racconto dei testimoni, tra i quali l’autista dell’autobus dei giocatori cingalesi, l’assalto e’ stato ben organizzato e portato a segno da un gruppo che si muoveva con perizia. Granate e colpi di mitra sono stati esplosi in direzione dell’autobus dei giocatori, che si sono buttati sul pavimento per ripararsi. Sette i giocatori feriti, non in maniera grave, e due altri membri del team, tra i quali il viceallenatore di nazionalita’ britannica. Subito dopo l’inizio degli spari, l’autista ha ingranato la marcia e si e’ fiondato a tutta velocita’ verso lo stadio Gaddafi, nel quale 1600 persone attendevano la partita. Due elicotteri militari sono stati fatti atterrare nel campo ed hanno evacuato i giocatori. In salvo anche il team di arbitri, il cui autobus seguiva quello dei cingalesi. Il loro autista, pero’ e’ stato ucciso dagli assalitori che, subito dopo l’attacco, sono scappati in direzione opposta allo stadio, verso il Liberty Market. La zona e’ stata messa a ferro e a fuoco dagli agenti di polizia pachistana alla ricerca dei terroristi. Quattro gli arrestati, due autobombe disinnescate, oltre tre chili di esplosivo sequestrati insieme a detonatori, armi e granate, e’ il bilancio della retata degli agenti nella zona mercatale di Lahore. La polizia qui ha trovato anche tre giubotti esplosivi e un autoriscio’ pieno di armi. Nessuna rivendicazione ufficiale, ma si punta il dito contro talebani vicini ad Al Qaeda o a militanti kashmiri, in particolare quelli del Lashkar-e-Taiba, lo stesso gruppo che ha portato gli attacchi di Mumkbai del novembre scorso. Alcuni testimoni hanno detto di aver riconosciuto nei terroristi le fattezze pashtun, il che significherebbe che erano talebani delle zone frontaliere con l’Afghanistan, ma la polizia indaga a trecentosessantagradi. Mentre il governatore del Punjab ha detto che l’attacco e’ stato dello stesso tipo di Mumbai e che sia il presidente Zardari che il primo ministro Gilani hanno condannato l’attentato, il ministro Sardar Nabil Ahmed Gabol e uno dei capi dell’intelligence pachistana, il generale Hameed Gul hanno puntato i dito contro l’India. Secondo loro, i terroristi che hanno perpetrato l’attentato di oggi verrebbero dall’India e l’attentato sarebbe la risposta indiana all’attentato di Mumbai di novembre scorso, con la volonta’ del paese di Gandhi di destabilizzare il Pakistan a livello anche internazionale. Il ministro degli esteri indiano, Pranab Mukherjee, ha duramente condannato queste affermazioni, chiedendo al Pakistan di smantellare le infrastrutture del terrore. Qualche giornale pachistano on line avanza l’ipotesi che l’attacco non era contro i cingalesi, ma contro gli indiani, che sarebbero dovuti essere su quell’autobus. La dimostrazione sarebbe nel fatto che l’attacco non e’ stato portato per uccidere i giocatori, nonostante i terroristi avessero una potenza di fuoco tale da poterlo fare. La nazionale dello Sri Lanka, infatti, aveva preso il posto di quella indiana dopo che il governo di New Delhi considero’ insufficienti le misure di sicurezza indiane e impedi’ ai propri giocatori di cricket di recarsi in Pakistan. Nei giorni scorsi, sia l’ambasciata americana che quella inglese a Islamabad, avevano invitato i propri cittadini a non recarsi in Pakistan per paura di un attentato. La federazione internazionale di cricket sta ora pensando di cancellare tutte le agre previste in Pakistan e si riunira’ a breve per decidere se confermare o meno il campionato mondiale di cricket che dovra’ tenersi in Pakistan, oltre che in India, nel 2011.

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Pakistan, un paese allo sbando

E’ sempre piu’ complicata la situazione in Pakistan. Il tanto paventato cambiamento democratico, con la deposizione del padre-padrone Pervez Musharraf e l’elezione del governo a guida Gilani-Zardari, non e’ avvenuto e il paese si trova sempre piu’ sotto la minaccia terroristica che destabilizza le sue istituzioni. Il presidente Asif Ali Zardari e il primo ministro Yousuf Raza Gilani non sono mai riusciti a controllare l’escalation terroristica nel paese. Anzi, secondo molti osservatori internazionali, hanno concesso anche troppo ai terroristi, soprattutto ai talebani nel nord ovest, tra i quali si annidano i sodali di Osama Bin Laden e, secondo alcuni rapporti di intelligence internazionale, anche lo stesso capo di Al Qaeda. Zardari, dopo l’uccisione della moglie Benazir Bhutto e all’indomani della sua elezione, aveva annunciato linea dura contro i terroristi. Una situazione che, pero’, non si e’ verificata: gli attentati, anche contro gli occidentali (vedi quello all’hotel Marriott di Islamabad non lontano dalla sua residenza) sono aumentati e i talebani continuano indisturbati i loro traffici ai confini con l’Afghanistan. Tanto indisturbati, da aver ottenuto dal governo di Islamabad, dietro la promessa di un cessate il fuoco (quanto durera’?), di instaurare la sharia, la legge islamica in tutta l’area. La situazione e’ incandescente, gli americani hanno aumentato i loro attacchi soprattutto con droni nella zona di frontiera con l’Afghanistan, ala ricerca di terroristi. Il Pakistan ha criticato questi attacchi, dichiarando che destabilizzano il suoi potere, ma intanto rappresentano l’unica risposta ai terroristi taleban. Anche gli impegni del dopo Mumbai non son ostati rispettati e i gruppi terroristici responsabili degli attacchi di Mumbai, cosi’ come chiesto anche dall’ONU, non sono stati scovati e le loro sedi chiuse. Inoltre il duo Gilani-Zardari deve anche fronteggiare la crisi politica interna, derivata dalla sentenza del tribunale che impedisce ai fratelli Sharif di candidarsi. Nazaw Sharif, capo del secondo partito del paese ed ex alleato di Zardari contro Musharraf (senza il quale il generale non sarebbe stato cacciato), ha accusato il governo di aver guidato i giudici contro di lui. Zardari e Gilani, inoltre, devono fronteggiare anche polemiche e manifestazioni interne, sia dal loro stesso partito che dalle opposizioni e dalla societa’ civile, soprattutto per essere venuti meno alla promessa di rimettere al loro posto i giudici rimossi da Musharraf. Una scelta che sembra sia stata presa per non indispettire l’ex presidente-generale che dalla sua avrebbe ancora il controllo dell’ISI, il potentissimo servizio segreto pachistano, l’unico che deciderebbe le strategie politico-militari nell’area.

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Al Qaeda minaccia l’India: altri attentati come quello di Mumbai

In un video di Al Qaeda, il gruppo di Osama Bin Laden minaccia l’India di attacchi simili a quelli del novembre scorso a Mumbai se New Delhi dovesse attaccare il Pakistan. Lo dicono la televisione e i media indiani, parlando di un video ricevuto a Londra dalla BBC. Nel video, della durata di 20 minuti, in arabo il comandante di Al Qaida in Afghanistan, Mustafa Abu al-Yazid, minaccia: l’India, “deve sapere che pagherà un alto prezzo se attaccherà il Pakistan”. “I mujahedin – dice il leader di Al Qaida nel video – faranno fare al vostro esercito la fine dei Russi in Afghanistan. Colpiranno i vostri centri economici e li raderanno al suolo”. Yazid ha anche denunciato il bando sui gruppi militari in Pakistan a seguito degli attacchi di Mumbai, chiedendo al popolo pachistano di ribellarsi al governo di Islamabad e al presidente Asif Ali Zardari. Yazid era ritenuto morto; secondo fonti pachistane era stato ucciso in scontri lo scorso agosto nella regione tribale pachistana di Bajaur. Considerato, nella gerarchia di Al Qaida subito dietro il numero 2 Al Zawahiri, è ritenuto l’organizzatore di numerosi attacchi terroristici, come quello all’ambasciata danese in Pakistan l’anno scorso e l’omicidio di Benazir Bhutto. L’ultima sua apparizione era stata nell’agosto nel 2008 quando aveva confermato la morte dell’esperto di Al Qaida per le armi chimiche Midhat Mursi al-Sayid Umar.

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Update sulle bombe. Morto ambasciatore Repubblica Ceca

C’e’ anche l’ambasciatore ceco in Pakistan tra gli oltre 60 morti nel pauroso attentato di ieri sera all’hotel Marriott di Islamabad. Parlando ai giornalisti, il premier pachistano Yousuf Raza Gilani ha confermato che il corpo di Ivo Zdarek, ambasciatore della Repubblica Ceca in Pakistan e’ tra i 53 gia’ recuperati tra le macerie dell’ex albergo a cinque stelle, fino a ieri punto di riferimento della comunita’ internazionale in Pakistan. La polizia e le forze di sicurezza stanno aconra lavorando per tentare di recuperare altri corpi. Tra le vittime ci son oaltri occidentali. Fino ad ora e’ stato riconosciuto il ccadavere di un americano e si cercano alcuni sauditi. Mancano all’appello ancora una ventina di persone che sono intrappolate nella struttura, mentre oltre venti tra i 230 feriti, versano in ospedale in gravi condizioni, per cui si teme che il bilancio delle vittime possa aumentare. L’albergo, di proprieta’ di una famiglia pachistana ma affiliato ad una catena americana, nella notte, dopo diverse ore nelle quali era stato avviluppato dalle fiamme, e’ crollato in parte, rendendo ancora piu’ difficile il lavoro dei soccorritori. Il ministro degli interni pachistano Rehmin Malik, ha detto che l’attentato di ieri e’ l’undici settembre pachistano e ha confidato che l’intelligence di Islamabad da due giorni aveva informazioni circa un attentato pianificato nel parlamento della capitale pachistana, in occasione del discorso che Zardari ha tenuto ieri. La polizia ha cosi’ concentrato l’attenzione intorno al parlamento, che non dista molto dall’hotel Marriot. Ancora non c’e’ nessuna rivendicazione ma sia i politici che gli investigatori pachistani puntano il dito contro Al Qaeda e i suoiu affiliati. In un messaggio video la scorsa settimana, Al Zawahiri, numero due del gruppo terrorista che fa capo ad Osama Bin Laden, oltre a minacciare l’occidentge e gli Stati Uniti, si era scagliato anche contro i paesi alleati degli USA come il Pakistan. Secondo alcune fonti di stampa pachistana, che riprende informazioni dei servizi di sicurezza, gli investigatori sono sicuri che dietro l’0attentato di ieri sera ci sia il gruppo Therik-e-Taliban, guidato da Baiatullah Mehsud, che ha la sua base nella zona di nord ovest ai confini con l’Afghanistan, dove c’e’ una nutrita presenza di Taliban. Mehssud, a cui era stata offerta una tregua a febbraio e poi rotta ad aprile, e’ ritenuto essere anche il responsabile dell’omicidio di Benazir Bhutto lo scorso 27 dicembre. Zardari ha parlato nella notte alla televisione assicurando che il terrorismo sara’ estirpato con ogni mezzo dal paese. Anche l’India si e’ unita al coro delle condanne all’attentato arrivato da tutto il mondo, parlando di minaccia al processo democratico dell’area.

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