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Migliaia di maoisti protestano in Nepal

Migliaia di attivisti maoisti nepalesi stanno manifestando da stamattina dinanzi al distretto amministrativo di Kathmandu, la cittadella nella quale ci sono gli uffici governativi. Lo riferisce la stampa nepalese. Guidati dal leader del partito maoista del Nepal, l’ex primula rossa ed ex primo ministro Puhpa Kamal Dahal detto Prachanda, il terribile, ex ministri, esponenti ed attivisti arrivati da tutto il Nepal sono impegnati in un ‘gherao’ la protesta con la quale si circonda il luogo nel quale si vuole manifestare, impedendo ai dipendenti della struttura di entrare. La polizia ha schierato centinaia di agenti in stato antisommossa. La manifestazione di oggi fa parte di una serie di proteste che da giorni i maoisti, ex guide del primo governo repubblicano nepalese, stanno tenendo nel paese e soprattutto a Kathmandu, provocando disagi alla popolazione. Al centro delle loro proteste, lo stallo politico e le azioni del presidente nepalese Ram Baran Yadav, accusato di agire contro il paese. I maoisti hanno vinto le elezioni l’hanno scorso, risultando il partito di maggioranza e formarono il governo. Ma alcuni segnali di crollo arrivarono gia’ in tempi brevi, che portarono all’elezione del presidente nepalese nella persona di uno dei leader del partito che si oppone ai maoisti. Yadav, in uno dei suoi primi atti, decise di revocare la decisione del governo di Prachanda di rimuovere il capo dell’esercito che non voleva fare entrare i membri dell’ex esercito irregolare maoista nelle fila di quello regolare nepalese. Questa decisione porto’ alle dimissioni di Prachanda e all’uscita dei maoisti dal governo. Lo stesso leader maoista, intervistato stamattina mentre guidava la protesta, ha detto di sperare che il problema si possa risolvere nel giro di una settimana e che il Nepal possa riprendere la via intrapresa con la caduta della monarchia e l’inizio della repubblica.

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Il Congresso vince le elezioni in tre stati

Il partito del Congresso, presieduto da Sonia Gandhi ed al potere in India, ha vinto le elezioni statali in Maharashtra, Haryana e Arunachal Pradesh, ribadendo la sua posizione egemone nel paese e relegando in un angolo l’opposizione della destra nazionalista hindu. In particolare, nello stato centrale del Maharashtra, che ha per capitale Mumbai, il partito della Gandhi ha conquistato 82 dei 288 seggi, 13 in piu’ della scorsa legislatura, che permetteranno al partito al potere in India di guidare di nuovo il Maharashtra per la terza volta consecutiva con l’aiuto del suo alleato NCP, che ha conquistato 62 seggi. Il BJP, il partito nazionalista della destra induista, ha perso 8 seggi fermandosi a 46 seggi, mentre gli ultranazionalisti dello Shiv Sena, protagonisti di una campagna all’insegna dell’odio razziale e della volonta’ di cacciare dallo stato tutti gli immigrati da stati e paesi diversi, hanno guadagnato 18 seggi fermandosi a 44 seggi. In Arunachal Pradesh, lo stato nord orientale conteso dalla Cina, il Congresso ha conquistato 40 dei 60 seggi, conquistandone 8 rispetto alla passata legislatura che sempre il partito di Sonia guidava. Diverso invece il discorso in Haryana, nella parte settentrionale del paese ai confini con Delhi, dove il Congresso ha perso 27 seggi assicurandosene 40 rispetto ai 90 che costituiscono l’assemblea. Il partito del Congresso ha pero’ annunciato di essere in grado di formare il governo con l’appoggio di qualche alleato locale.

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I giovani e le curiosità del nuovo governo

E’ Agatha Sangma, 28 anni, la mascotte del secondo governo di Manmohan Singh. La giovane avvocato proveniente dallo stato nord orientale del Meghalaya, ha riscosso sorrisi e applausi, anche da Sonia Gandhi, quando oggi, nelle mani del presidente indiano Pratibha Patil, ha giurato come ”minister of state”, sottosegretario del governo indiano. Sangma e’ alla sua prima esperienza, ma vanta una famiglia di politici di lungo corso nel piccolissimo stato montuoso nord orientale, al di la’ del Bangladesh. Suo padre Purno Agitok Sangma, presenta al giuramento, fondatore del Nationalist Congress Party, e’ stato parlamentare dal 1977, primo ministro del Meghalaya e presidente della camera bassa del parlamento indiano (Lokh Saba). Un altro giovane astro della politica indiana, Sachin Pilot, 32 anni, ha giurato oggi, un’ora dopo il giuramento di suo suocero, Farooq Abdullah. 37 i ministri che hanno meno di 40 anni, anche se l’eta’ media del governo e’ di 57 anni. Dal piu’ anziano, il ministro degli esteri SM Krishna che ha 77 anni, alla piu’ giovane, il sottosegretario Agatha Sangma, passano 50 anni. Uno solo, il sikh MS Gill, alla cerimonia era vestito con giacca e cravatta, la maggior parte vestiva con abiti tradizionali. Sachin Pilot ha giurato indossando un tipico e colorato turbante rajasthano.

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Ha giurato il nuovo governo di Manmohan Singh

Hanno giurato i ministri che formeranno il nuovo governo di Manmohan Singh, il secondo consecutivo dell’economista sikh. Nelle mani del presidente dell’Unione Indiana Pratibha Patil hanno giurato 59 tra ministri, ministri indipendenti (una sorta di vice ministri) e i sottosegretari (‘ministers of state’), portando a 79 il numero dei componenti del governo. Singh e 19 avevano gia’ giurato la settimana scorsa, quando il primo ministro aveva anche affidato le deleghe piu’ importanti, interni, esteri, finanze e ferrovie. Il primo ministro non ha ancora deciso invece le deleghe per questi nuovi ministri, che sta discutendo in queste ore con Sonia Gandhi, presidente del Partito del Congresso e dell’alleanza (UPA) che governa il paese.
E sara’ una strada in salita quella che aspetta il nuovo governo e Singh, l’unico primo ministro, dopo Nehru, ad essere riconfermato dopo la fine naturale del primo mandato.
La sfida del nuovo esecutivo sara’ da un lato quella di tendere una mano alle classi meno abbienti, non toccate dalla crescita economica del paese ma che anzi hanno sofferto, soprattutto i contadini, di una crisi quasi senza precedenti, e dall’altro la necessita’ di non fermare lo sviluppo del paese che, contestualmente all’uscita del mondo dalla crisi economica globale, potrebbe vedere di nuovo l’economia indiana crescere a ritmi dell’8% annuo.
Singh, fautore gia’ in passato di riforme economiche liberali, deve far fronte alle minori entrate fiscali dello stato e contestualmente trovare una soluzione ai problemi degli ultimi, ancora troppi. Il 90% della popolazione vive e lavora in una economia informale (e il dato e’ in crescita dopo la liberalizzazione del 1991), in cui i diritti dei lavoratori non sono tutelati in alcun modo, dove non esiste il diritto alla pensione, all’assistenza sanitaria, dove viene evasa sistematicamente la legislazione sull’orario di lavoro e sulle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro, dove le donne e le caste basse sono escluse a priori dalle progressioni di carriera nei posti di lavoro. Il mondo guarda all’India e Delhi vuole farsi trovare preparata.
Assente eccellente nel governo, Rahul Gandhi, il rampollo della dinastia Gandhi Nehru, uno dei grandi vincitori delle elezioni appena passate. Rahul, per il quale si parlava di un viceministero, ha detto di preferire un ”lavoro alla volta”, scegliendo di impegnarsi nel partito del Congresso, nel quale e’ segretario generale e responsabile dei giovani, piuttosto che accettare un incarico di governo.
Il gabinetto di Manmohan Singh sara’ composto da 34 ministri, 7 viceministri e 38 sottosegretari, tra i quali spicca la giovane Agatha Sangma di 28 anni. Le nomine non hanno mancato di suscitare proteste, per la presenza di parenti eccellenti ma soprattutto per l’assenza ministri di religione musulmana e per quella di esponenti dello stato dell’Uttar Pradesh, il piu’ popoloso d’India. In questo stato, Sonia e Rahul hanno il loro collegio e il Congresso ha avuto un ottimo risultato alle ultime elezioni guadagnando 10 voti. Qui regna incontrastata Kumari Mayawati, la ”regina dei dalit”, che si aspettava un risultato elettorale notevole tanto da diventare primo ministro, e che invece si e’ limitata a dare un appoggio esterno al governo di Manmohan Singh.

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Eletto il nuovo primo ministro nepalese

Il Nepal ha eletto oggi il suo nuovo primo ministro, secondo dalla svolta repubblicana del paese. Madhav Kumar Nepal, 56enne ex segretario generale del Partito Comunista del Nepal-Unione Marxista Leninista (UML), un partito moderato, e’ stato eletto da 350 componenti dell’assemblea costituente di Kathmandu, dopo uno stallo durato venti giorni, seguito alle dimissioni di Pushpa Kamal Dahal, detto Prachanda, leader dei maoisti ex ribelli.
Ma oggi sono anche tornate le bombe a Kathmandu, che non si facevano sentire da tempo. Un ordigno esploso a Patan, nei pressi della capitale, ha ucciso due persone in una chiesa. Per la bomba, la polizia di Kathmandu ufficialmente punta il dito contro il Nepal Defense Army, un movimento induista che intende creare un Nepal di soli induisti. Ma alcuni organi di stampa nepalese pensano che dietro l’attentato ci siano gli ex ribelli maoisti, che hanno protestato in molte strade e piazze dle paese, per la caduta del loro leader Prachanda da capo del governo e per l’elezione di Nepal, rappresentante di un partito da loro staccatosi perche’ non condivideva la scelta della lotta armata.
Prachanda si era dimesso il 4 maggio scorso per le critiche ricevute per aver rimosso il capo di stato maggiore dell’esercito che aveva rifiutato di far entrare nell’esercito gli ex ribelli maoisti. I 238 membri maoisti dell’assemblea costituente, che hanno la maggioranza nell’organo che dovrebbe scrivere la nuova costituzione nepalese, hanno boicottato la riunione, insieme a due parlamentari del Partito Comunista Unito del Nepal. Ma Madhav Nepal ha potuto contare sull’appoggio di 350 dei 601 membri dell’assemblea, iscritti a 22 partiti politici, tra i quali quello del Congresso, lo storico partito nepalese che ha governato per decenni la giovane democrazia himalayana e il cui leader, l’anziano piu’ volte primo ministro Girija Prasad Koirala, ha presentato la candidatura di Madhav Nepal.
L’elezione di Nepal e’ stata annunciata dal presidente dell’assemblea costituente nepalese, l’unico organo eletto in Nepal. Nell’annunciare l’elezione di Nepal, Subashy Chandra Newang, presidente dell’assemblea, ha fatto notare come quella del leader dell’UML fosse stata l’unica candidatura presentata. Nepal, che nel 1994-95 e’ stato vice primo ministro e per 15 anni segretario generale del suo partito, dimessosi l’anno scorso a seguito della sconfitta alle elezioni per l’assemblea costituente, dovra’ ora formare un nuovo governo con l’appoggio del Partito del Congresso, il separatista Madhesi Janadhikar Forum, il Terai Madhesh Loktantrik Party, il Sadbhawana Party. Il governo dovra’ tentare di traghettare il paese verso un nuovo processo democratico che, dopo l’approvazione della nuova costtituzione, dovrebbe portare il paese alle prime elezioni parlamentari della nuova repubblica.
L’elezione di Nepal ha acuito le proteste dei giovani maoisti nel paese. Il Dipartimento di Stato americano ha diffuso un avviso di sicurezza ai turisti americani, spiegando che la situazione nel paese non e’ ancora sicura. Le violenze e le manifestazioni vengono soprattutto organizzate dallo Young Communist League, la sezione giovanile degli ex ribelli maoisti di Prachanda, che, a nome del leader e dei maoisti, continuano ad imporre una loro legge nel paese, praticando estorsioni, abusi e minacce.

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Nominati 6 ministri e decisa prima seduta parlamento

Tra i 19 ministri che hanno giurato ieri, il primo ministro ha annunciato poco fa gli incarichi ad alcuni di loro. Somanahalli Mallaiah Krishna e’ stato nominato ministro degli esteri, l’ex capo della diplomazia Pranab Mukherjee e’ stato nominato ministro delle finanze. La presidente del Trinamool Congress Mamata Banerjee sara’ il nuovo ministro delle ferrovie, incarico molto importante nel gabinetto indiano. Conferme per Palanippan Chidambaram agli interni, Sharad Pawar all’agricoltura e AK Antony alla difesa. Gli altri incarichi dovrebbero essere annunciati nelle prossime ore. E si terra’ dall’1 al 9 giugno la prima sessione del nuovo parlamento indiano, uscito dalle elezioni finite lo scorso 13 maggio e i cui risultati sono stati resi noti il 16. Lo ha annunciato il ministro degli interni uscente Palanippan Chidambaram, il giorno dopo il giuramento del nuovo esecutivo e del primo ministro Manmohan Singh. Il presidente indiano Pratibha Patil parlera’ alle camere in seduta congiunta il 4 giugno, i nuovi membri del parlamento giureranno il 1 e il 2, mentre il presidente della camera sara’ eletto il 3. Le prime discussioni sule mozioni di ringraziamento al discorso del presidente saranno il 5, l’8 e il 9. Entro il 31 luglio si dovra’ discutere del bilancio generale. Il parlamento indiano non si riunisce di continuo, ma a sessioni. La situazione con il DMK, che aveva annunciato l’uscita dal governo e il solo appoggio esterno, dovrebbe rientrare presto.

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Il governo perde pezzi prima di giurare

Il governo indiano non ancora in carica perde gia’ i suoi primi pezzi. Il Dravida Munnetra Kazhagam (DMK) partito che governa in Tamil Nadu nel sud dell’India e che prima delle elezioni aveva garantito il suo appoggio al Congresso, ha annunciato oggi che uscira’ dalla coalizione di governo, pur mantenendo un appoggio esterno all’UPA (United Progressive Alliance) che governa il paese, guidata dal Congresso. Alle elezioni il DMK ha conquistato 18 seggi ed ha chiesto al primo ministro incaricato Manmohan Singh e a Sonia Gandhi, presidente del Congresso e dell’UPA, di avere 7 tra ministri e sottosegretari, con tre ministri importanti e il resto sottosegretari. Questi incarichi sarebebro stati accusati dai figli e nipoti del leader del partito, l’anziano primo ministro del Tamil Nadu Karunanidhi. Il Congresso, invece, ha offerto sei posti, con al massimo tre ministeri minori. Il leader del DMK, ha cosi’ deciso di tirare fuori dla governo i suoi, garantendo pero’ un appoggio esterno. A causa della rinuncia del DMK, e’ saltato oggi l’incontro tra il primo ministro Singh e il presidente Pratibha Patil. Il DMK e’ risultata la terza forza all’interno dell’UPA secondo i risultati delle elezioni resi noti il 16 maggio, dopo il Congresso e il Trinamool Congress, partito del West Bengala. Domani e’ previsto il giuramento del governo indiano guidato, per la seconda volta consecutiva, da Manmohan Singh.

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Sulla democrazia indiana e le elezioni

Da più parti sono stato stimolato ad un commento elettorale. Io sono un cronista, non un politologo, per cui mi sono sottratto. Ma è giusto , credo,  da osservatore privilegiato per stare qui da sei anni, che anch’io esprima il mio parere. Di seguito propongo una riflessione della professoressa Elisabetta Basile, docente di economia alla Sapienza, che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e le cui idee  condivido pienamente. A seguire l’intervento della Basile, in corsivo un mio contributo. Entrambi sono stati diffusi sulla lista dell’associazione Italindia.

[…] ti scrivo per comunicarti il disagio crescente che provo di fronte ai commenti sui risultati delle elezioni indiane. In particolare, sta crescendo la mia perplessità sull’uso corrente che viene fatto nella stampa e dagli specialisti dell’espressione che afferma che l’India è la democrazia più grande del mondo. Più studio l’India, e più mi pare un paese di una estrema complessità, e forse questa complessità è all’origine dell’interesse che io personalmente provo per essa. Nel tentativo di cogliere questa complessità, gli analisti usano categorie concettuali di uso comune e diffuso, come quella di democrazia. Affermare che l’India è una grande democrazia è vero, ma è anche banale allo stesso tempo. E’ certamente un paese grande, ed è certamente un paese basato su di un sistema politico che poggia su meccanismi elettorali che appaiono ‘democratici’ . Ma ciò basta a definire l’India un grande paese democratico? Più osservo l’India, più mi accorgo come sia difficile applicare il concetto di democrazia, così come io lo interpreto, al caso indiano. L’india mi appare sempre più un grande e complesso paese, ma sempre meno un paese democratico Devo dire che l’esito di queste elezioni (di cui peraltro sono contenta perché una vittoria del BJP mi sarebbe sembrata un segnale molto brutto) mi ha scosso e mi ha fatto molto riflettere. Più conosco l’India, più mi rendo conto che è una società profondamente autoritaria e antidemocratica, sia in relazione alla organizzazione economica sia con riferimento alla struttura politica. Può essere considerato democratico un paese in cui oltre il 90% della popolazione vive e lavora in una economia informale (e il dato è in crescita dopo la liberalizzazione del 1991), in cui i diritti dei lavoratori non sono tutelati in alcun modo? dove non esiste il diritto alla pensione, all’assistenza sanitaria, dove viene evasa sistematicamente la legislazione sull’orario di lavoro e sulle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro? dove le donne e le caste basse sono escluse a priori dalle progressioni di carriera nei posti di lavoro? dove l’appartenenza castale ed etnica influenza le remunerazioni e la collocazione professionale? Può essere considerato democratico un paese in cui il dibattito politico viene in larga parte condizionato dall’appartenenza religiosa e castale, dove esistono partiti che sono espressione esclusivamente di tale logica? dove operano meccanismi ideologici forti, come per l’appunto l’ideologia religiosa e castale e i miti ad essa collegati (si veda il BJP e la Mayawati), che condizionano in modo forte le percezioni degli interessi individuali e di gruppo? Un paese in cui la gestione democratica stessa delle elezioni è messa in discussione dalla letteratura e dalla narrativa corrente (si veda ad esempio la descrizione che ne fa Aravind Adiga in The White Tiger), dove oltre il 40% della popolazione è analfabeta e fa fatica a capire per chi vota e come vota? Quando penso a questo contesto, mi interrogo sul significato della parola ‘democrazia? e mi chiedo se abbia ancora senso usarla in India (come peraltro in Italia) e mi chiedo anche come valutare il contrasto fra la grande libertà di stampa di cui l’India gode (ben più ampia di quella italiana) e la gestione effettiva del potere economico e politico. E mi chiedo – io che non sono una politologa, ma sono una economista che si occupa di capitalismo e povertà – con quale aggettivo si possa definire la società indiana in cui esistono alcune elite che dominano sulla base di un insieme di posizioni di potere sostenute da fattori economici, culturali e ideologici, che ricordano da vicino l’egemonia del capitale sul lavoro nell’epoca fascista in Italia, così come è stata descritta da Antonio Gramsci.

Non posso che essere d’accordo con Elisabetta, con la quale ho avuto il piacere di confrontarmi anche de visu. Non sono un analista, ne un politologo, ma porto l’esperienza di chi, da sei anni, vive quotidianamente in India e cerca di raccontarla, cercando nel contempo di fare in modo che venga compresa.
Ho sempre avuto remore nell’utilizzo de ‘la più grossa democrazia del mondo’. Se fate un giro sul mio blog, non trovate mai, o quasi (se non perché citata da altri), l’utilizzo di questa definizione, se non per attaccarla. Ultimamente ho usato l’espressione “la più grossa democrazia del mondo”. Ebbi modo di discuterne con il prof. Aldo Masullo, eminente filosofo, alla presentazione del libro del prof. Domenico Amirante. Anch’egli, reduce da un viaggio in India, mi espresse le sue riserve sulla cosa, a siamo su altri campi.
Ho i miei dubbi anche sulle elezioni. Si, è vero, gli indiani numericamente rappresentano il popolo più numeroso che va a votare liberamente, ma da qui a parlare di democrazia, in senso ideale e filosofico, siamo lontani. Non sto a parlare di sperequazioni sociali, di problemi economici, dei quali tutti voi siete maestri e io un semplice osservatore. Ma è indubbio che in India non si voti per “opinione” ma per “appartenenza”. Non nascondiamoci dietro ad un dito. I Yadav votano i Yadav, gli appartenenti ad un gruppo votano per il loro gruppo (che sia religioso, castale, tribale, etc, poco importa). E poi si vota Gandhi. E, stavolta, c’era una ragione in più. Rahul.
Dico questo perchè la sensazione che ho avuto durante la campagna elettorale era che non ci fosse nessun altro se non i Gandhi. Il BJP si è visto poco, così come gli altri, mentre i tre Gandhi sfuriavano dovunque.
La politica del Congresso, nei cinque anni di governo, ha fallito li dove aveva pescato la sua base elettorale nel 2004, nelle classi più basse. Eppure ha avuto oggi un consenso non indifferente. Come era successo all’indomani degli attentati di Mumbai. Gli indiani sono scesi in piazza in tutto il paese per protestare contro la mancanza di sicurezza e contro il governo che non si era impegnato a fondo. Per giorni le televisioni e i giornali mostravano gente per strada con cartelli e slogan antigovernativi. Eppure, agli inizi di dicembre, il Congresso e quindi il governo, non solo vincono per la quarta volta Delhi, ma strappano il Rajasthan al BJP che, vale dire, non era stato in grado di cavalcare l’ondata antigovernativa soprattutto nella critica al governo per la sua politica di lotta al terrorismo di matrice islamica interno ed esterno. Il BJP nelle elezioni del 2004 come in quelle appena concluse, non ha fatto una campagna elettorale propositiva, ma anti: anti congresso, anti Sonia, per certi versi antimusulmana.
Ultime due considerazioni. La percentuale dei votanti è stata del 58,4% cinque anni fa del 58,07%, quindi uguale. Sono aumentati i votanti, i primo ministro ieri ha detto che dalle loro analisi dei voti è risultato che il Congresso ha avuto i voti dei giovani. Non mi meraviglia, non foss’altro che almeno il partito di Sonia aveva tra i leader più esposti un giovane che, tra l’altro, possiede un carisma, secondo gli indiani, non foss’altro che assomiglia molto a suo padre, speranza dei giovani degli anni 90.
La seconda considerazione è sul fatto che manca, come sempre, soprattutto ora nel voto elettronico, il dato relativo alle schede nulle o bianche. Sulla macchinetta ci sarebbe un pulsante per esprimere questo tipo di voto, ma nessuno lo pigia. Ciò avvalora la mia idea del voto per appartenenza, perchè la gente comunque vota per il proprio candidato, il più delle volte locale o in qualche modo legato alle situazioni locali.
La percentuale dei non votanti non è data da coloro che non sono andati a votare per protesta, ma da una serie di fattori. Tra questi, come mi hanno fatto notare sapientemente pochi giorni fa i prof. Maiello e Amirante, c’è stata una riscrizione delle circoscrizioni elettorali. La difficoltà di raggiungerne alcune, in giorni tra l’altro nei quali il caldo era atroce (ci sono stati morti) ha portato a rinunce. Ma questo è solo un motivo, non tanto banale, credete, come possa sembrare. E poi, permettetemi una ultima considerazione, che va soprattutto contro la mia professione. Di India sui giornali si parla solamente per immagini. Situazioni iconografiche, quasi diapositive. Interessano molto i sadhu, la macchina a 1700 euro, gli elefanti, i poveri, il software, etc. Senza andare a vedere cosa c’è dietro. Ed anche quando gli articoli meriterebbero gli approfondimenti, si ragiona per immagini, come è appunto la definizione “l’esercizio democratico più grande del mondo” o “la più grande democrazia del mondo”. E’ una banalizzazione, lo so. Ma meno male che c’è. Altrimenti, non se ne parlerebbe neanche in queste occasioni.

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Manmohan primo ministro, dopodomani giuramento

Manmohan Singh, l’economista che per cinque anni e’ stato capo del governo indiano uscente, e’ stato rinomato alla guida dell’esecutivo. Singh ha avuto l’incarico di formare il nuovo governo dal presidente dell’Unione Indiana Pratibha Patil, durante un incontro con lo stesso Singh e Sonia Gandhi, presidente del Partito del Congresso, che ha vinto le elezioni fine il 13 maggio, e dell’UPA (United Progressive Alliance) che guidera’ il paese. Il 22 maggio, come annunciato, ci sara’ il giuramento del governo. Singh e la Gandhi stanno ora definendo le nomine dei ministri. Il Congresso, insieme ai suoi alleati pre elettorali (DMK, Trinamool, etc.) arriva a 274 seggi, due oltre la maggioranza. Ma il Congresso oggi ha ricevuto le lettere di supporto, l’appoggio esterno, dal Rashtriya Janata Dal (il partito di Laloo Prasad ex ministro delle ferrovie), dal Samajwadi Party e soprattutto dal Bahujan Samaj Party di Kumari Mayawati, la regina dei Dalit. Insieme a questi partiti, il Congresso e l’UPA possono contare su un appoggio di 322 parlamentari. Tra i ministri, Chidambaran dovrebbe rimanere ministro dell’Interno e AK Antony ministro della difesa. Pranab Mukherjee dovrebbe passare dagli esteri alle finanze. Rahul dovrebbe avere o un ministero senza portafoglio o nulla. Il Trinamool Congresso dovrebbe avere 3 ministri, mentre il DMK 2.

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Sonia e il pm cercano la moralità nei ministri

Sonia Gandhi detta le regole per moralizzare il nuovo governo, chiedendo ai suoi di lavorare per il partito e per l’India, piu’ che per pensare ai propri interessi e assicurarsi posti di potere. Alla richiesta moralizzatrice di Sonia ha fatto eco anche il premier uscente Manomhan Singh, il quale ha detto ai cuoi che non tollerera’ nel prossimo governo ”l’usuale attitudine agli affari”. Manmohan Singh ha ricordato come il suo partito e il suo governo abbiano ricevuto ”un grande mandato, soprattutto dai giovani che sono impazienti. Si aspettano che il governo porti a termine le loro aspettative. Si aspettano un governo molto piu’ responsabile”. Il presidente del partito vincitore delle ultime elezioni sta ultimando gli incontri con i partiti che vogliono entrare nella coalizione di governo. A Sonia e ai suoi alleati, banstano una decina di voti per poter superare il quorum di 272 seggi necessari per avere la maggioranza in parlamento. E alla porta del governo ha bussato stamattina Kumari Mayawati, il primo ministro dello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh, conosciuta come la ”regina dei dalit”. La Mayawati, nonostante la delusione elettorale per aver ottenuto un risultato di molto inferiore alle sue aspettative, che erano quelle di guidare il paese da primo ministro, e nonostante le divergenze con i Gandhi, ha offerto al partito del Congresso un appoggio anche esterno attraverso i suoi 20 seggi. Alla stessa porta hanno bussato anche i rivali della Mayawati, il Samajwadi Party, che di seggi ne ha 23. Pare invece che si allontani la possibilita’ per Lalu Prasad Yadav, ex ministro delle ferrovie, di rientrare nell’esecutivo. Lalu ha ammesso di aver commesso un errore ad andare da solo, perdendo molti voti, e conta nel fatto di essere stato l’unico ministro delle ferrovie che, nella storia del paese, pur procedendo allo sviluppo del settore, ha riportato un bilancio in attivo. Per ora, Sonia e Manmohan Singh lo tengono sulla porta. Per Rahul, figlio di Sonia, si prospetta un ministero senza portafoglio. Il secondo governo di Manmohan Singh dovrebbe cominciare il prossimo 22 maggio, con il giuramento nelle mani del presidente Pratibha Patil.

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