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Hacker cinesi attaccano sistemi sicurezza indiani

Hacker cinesi hanno provato a penetrare nei computer del consulente indiano alla Sicurezza Nazionale, M K Narayanan. Lo ha rivelato lo stesso responsabile della sicurezza indiana a Londra, dove è in visita. L’attacco sarebbe stato portato il 15 dicembre scorso, nello stesso giorno nel quale furono presi di miria il ministero americano per la difesa, enti e sistituzioni finanziare di tutto il mondo, società tecnologiche come Google. La Cina ha ovviamente smentito di avere un ruolo nella cosa. Come già in passato, gli hacker hanno inviato email con allegati virus. Gli indiani sono sicuri che gli attacchi sono partiti dalla Cina, ma Pechino smentisce “è una cosa illegale in Cina”, ha detto il portavoce del ministro degli esteri cinese. Ma Narayan teme che attacchi possano arrivare anche dal Pakistan, dal momento che, secondo lui, il governo pachistano non ha fatto nulla per smantellare le “strutture del terrore”. La cosa comica è che, soprattutto grazie a persone tipo Hopeman, l’India è conosciuta anche per ospitare i più bravi ingegneri informatici del mondo. Sarà. Tuttoqua e Bixx non la pensano così.

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Clima, India e Cina siglano accordo di cooperazione

India e Cina hanno sottoscritto oggi a New Delhi un accordo di cooperazione per combattere i cambiamenti climatici. Lo scrive l’agenzia Ians. I due paesi hanno ribadito che fra loro non ci sono differenze di “posizioni negoziali” sui trattati internazionali climatici, per questo continueranno a lavorare insieme sulla negoziazione internazionale. L’accordo è stato firmato dal ministro per l’ambiente indiano Jairam Ramesh e dal suo omologo Xie Zhenhua. Ramesh ha ribadito l’impegno dei due paesi nel rispetto dell’ambiente e che India e Cina si incontreranno anche successivamente per preparare la posizione comune in vista della conferenza internazionale di Copenaghen sul clima, organizzata dall’Onu a dicembre. India e Cina, secondo quanto ha detto il ministro indiano dell’Ambiente, vogliono sicuramente cooperare alla lotta ai cambiamenti climatici e al successo del vertice di Copenaghen, anche se, hanno detto, “non vogliamo limitare gli interessi e le possibilità dei paesi in via di sviluppo”. Ramesh ha anche chiarito che l’India non intende uscire dal Gruppo dei 77, la coalizione di paesi in via di sviluppo all’interno delle Nazioni Unite. L’accordo siglato oggi a Delhi intende intensificare la collaborazione nel campo dell’efficienza economica, delle energie rinnovabili, delle tecnologie ad energia pulita, dei trasporti, dell’agricoltura sostenibile e contro la deforestazione. In base all’accordo, scienziati climatici indiani e cinesi lavoreranno insieme su ricerche e sviluppo.

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Per l’India, la Cina è più pericolosa del Pakistan

La Cina rappresenta per l’India un pericolo maggiore del Pakistan: lo ha assicurato il capo dell’aviazione di New Delhi al quotidiano Hindustan Times. Fali Homi Major, capo di Stato Maggiore dell’aeronautica indiana, ha spiegato che la Cina si sta militarmente espandendo in maniera incredibile, e Delhi sta rapidamente potenziando le sue basi aeree nella parte nord orientale del Paese ai confini con la Cina, per creare una sorta di deterrente. ”La Cina rappresenta un gioco diverso paragonato al Pakistan – ha detto Major – noi conosciamo poco l’attuale capacita’ militare della Cina, il loro potenziale di combattimento, quanto sia professionale il loro esercito. Loro rappresentano certamente una grande minaccia”. I commenti di Major spingono ora il nuovo governo a decidere una agenda con la Cina per capirne le qualita’ militari. I cinesi, secondo Major, stanno migliorando e rinnovando il loro parco aerei da guerra, acquistando sul mercato gli ultimi modelli disponibili. E proprio la velocita’ con la quale Pechino sta aggiornando e migliorando i suoi armamenti, spaventa le forze armate indiane.

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L’uomo della speranza ci ricade di nuovo

No, non voglio saperlo. Che nessuno si azzardi a dire che ce l’ho con lui. Assolutamente non è vero. Però, caro speranzoso mio, così non va. Devi fare più attenzione. Ho la buona abitudine di non leggerlo. Dopo essermi sorbito i due libri  mentre recitavo il mantra “e questo mo dove vuole arrivare?”, ho deciso che sarebbe stato troppo, per me, leggere anche i blog o gli articoli del Nostro. Così, ci butto l’occhio qualche volta. Tempo fa l’ho beccato in fallo. Era da tempo che non lo leggevo, così mi sono ributtato a vedere cosa avesse scritto. Et voilà, la speranza di sbagliare ritorna. In questo pezzo, il buon speranzoso, fa cominciare le elezioni tre giorni prima, il 13 anziché il 16. Forse dipende dal fatto che lui è avanti rispetto agli altri. Oppure che subisce il fuso orario cinese. Chissà. Per carità, l’errore è possibile, è di tutti. Ma dai grandi, sono cose che non ci si aspetta, quindi… Nei giorni scorsi, anche il suo giornale aveva subito il suo influsso e si era dato alle notizie non vere. E’ una malattia dilagante. Ci sarà un vaccino?

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Celebrata dai cinesi la giornata di liberazione dal Dalai Lama

La Cina ha celebrato ieri per la prima volta il Giorno della Liberazione dalla Schiavitù nell’anniversario dell’ istituzione del primo governo filo-cinese nel Tibet. Il territorio fu definitivamente annesso alla Repubblica Popolare Cinese il 28 marzo del 1959, dopo la sconfitta della rivolta iniziata il 10 marzo, che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama. In una cerimonia sulla piazza antistante il Potala, il palazzo d’inverno dei Dalai Lama a Lhasa, il governo ha lanciato il suo messaggio, secondo il quale l’occupazione del Tibet da parte dell’ esercito cinese ha messo fine ad un oppressivo regime feudale. A poco più di un anno dall’inizio della rivolta dell’anno scorso, iniziata a Lhasa e poi estesasi ad altre zone a popolazione tibetana della Cina, gli oratori hanno parlato davanti ad una folla di migliaia di tibetani vestiti nei loro costumi tradizionali. La cerimonia si è svolta mentre la maggior parte delle aree a popolazione tibetana sono guardate a vista da migliaia di uomini della polizia armata del popolo, che perquisiscono tutti coloro che entrano ed escono dalle zone “pericolose” e impediscono l’accesso a tutti gli stranieri. Dall’inizio del “lockdown” del Tibet, nella prima settimana di marzo, almeno 200 persone sono state arrestate dopo manifestazioni di protesta. Zhang Qingli, il segretario del partito comunista locale, ha affermato tra l’altro che “qualsiasi complotto per rendere il Tibet indipendente, per separarlo dalla Cina socialista, è destinato a fallire”. La cerimonia, che è stata trasmessa in diretta dalla tv di Stato, ha segnato il culmine di una lunga campagna di propaganda rivolta in primo luogo contro la “cricca” del Dalai Lama, il leader tibetano che chiede per il territorio quella che chiama una “vera” autonomia ma che secondo il governo cinese punta in realtà alla creazione di un Paese indipendente. Visitando ieri una mostra sul Tibet a Pechino, il presidente cinese Hu Jintao ha detto che l’attuale “buona situazione” del territorio “é stata conquistata a duro prezzo e deve essere fortemente apprezzata”, riferisce l’agenzia Nuova Cina. In una conferenza stampa a Dharamsala in India, dove risiede il Dalai Lama, la rappresentante del governo tibetano in esilio Kesang Y.Takla ha sostenuto che “i tibetani considerano questa celebrazione offensiva e provocatoria” e che la “massiccia propaganda” del governo cinese è volta a “nascondere la repressione in atto” nel territorio. Takla ha aggiunto che prima del 1959 i detenuti nelle prigioni del Tibet erano “poco più di un centinaio”. “Dopo la cosidetta ‘liberazione’ e l’emancipazione dei ‘servi’ prigioni sono sorte in ogni parte del Tibet. Nella sola Lhasa ci sono cinque prigioni principali con una popolazione di detenuti tra i tremila e cinquecento e i quattromila”. I tibetani in esilio hanno organizzato manifestazioni di protesta anticinesi a Londra, Parigi, Bruxelles, San Francisco, New York, Toronto, Montreal, Taipei, New Delhi e Dharamsala.

fonte: ANSA

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La Cina celebra domani giornata di liberazione da Dalai Lama

La Cina si prepara a celebrare domani, per la prima volta, la Festa della Liberazione dalla Schiavitù nel cinquantesimo anniversario della istituzione del primo governo cinese nel Tibet, che era stato occupato nel 1950 dalle truppe dell’ Esercito di Liberazione Popolare. La Festa segna il culmine di una lunga campagna di propaganda del Partito Comunista Cinese che per gli ultimi due mesi ha inondato i mezzi di comunicazione cinesi, tutti sotto il suo controllo, di denunce della “cricca del Dalai Lama”, il leader tibetano in esilio che chiede una “vera” autonomia per il territorio ma che Pechino accusa di puntare in realtà alla secessione del Tibet dalla Cina. La scrittrice e poetessa tibetana Woeser, interpellata dall’ ANSA, ha definito “ridicola” l’ iniziativa. “E’ la prima volta in 50 anni che viene celebrata questa festa, si tratta di una risposta alle manifestazioni di protesta dell’ anno scorso”, ha aggiunto. “Il governo dovrebbe rispondere piuttosto ad una sola domanda: come mai tanti tibetani protestano ancora contro la Cina?”, ha concluso Woeser, che ha 41 anni e vive a Pechino col marito, lo scrittore cinese Wang Xilong. Woeser ha diffuso nei giorni scorsi sul suo blog alcuni fotogrammi di un filmato girato l’ anno scorso in Tibet, nel quale si vede la polizia cinese che picchia a sangue alcuni monaci e civili tibetani con le mani legate dietro la schiena. Pechino ha sostenuto che il filmato – proveniente dal governo tibetano in esilio fedele al Dalai Lama – è stato “manipolato” e ha bloccato per oltre quattro giorni il sito web “Youtube”, sul quale era visibile. “Youtube” è tornato ad essere accessibile dalla Cina nella serata di venerdì. In quello che è stato interpretato come un indiretto attacco al Dalai Lama, il “numero due” della gerarchia tibetana, il Panchen Lama nominato da Pechino, ha affermato che il territorio “si trova di fronte all’ attacco di un individuo senza scrupoli”. Per domani è stata annunciata una “cerimonia teletrasmessa” che si svolgerà a Pechino. Non è chiaro se siano state programmate attività a Lhasa, capitale della Regione Autonoma del Tibet. Dall’ inizio di marzo tutta la Regione Autonoma e altre vaste zone a popolazione tibetana delle altre province cinesi sono strette in una morsa di controlli e posti di blocco dalla Polizia Armata del Popolo, il corpo paramilitare addetto al controllo dell’ ordine pubblico. Dalla zona, completamente sigillata, sono filtrate notizie di manifestazioni di protesta e di decine di arresti dalla province del Sichuan e del Qinghai. Nel marzo dell’ anno scorso iniziarono a Lhasa proteste che poi si estesero ad altre zone tibetane e proseguirono fino alla fine di maggio. I tibetani in esilio affermano che almeno 200 persone hanno perso la vita nella repressione che è seguita, mentre la Cina parla di una ventina di vittime, in grande maggioranza immigrati cinesi uccisi dai rivoltosi tibetani.
Per il governo tibetano in esilio, la Festa della liberazione della schiavitù proclamata per domani dal governo cinese “sta aggravando i problemi in Tibet con una iniziativa offensiva, provocatoria e destabilizzante, con l’intenzione di creare caos”. Lo afferma oggi in un comunicato il ‘Kashag’, l’organo di governo tibetano in esilio a Dharamsala nel nord dell’India, che reagisce fermamente alle celebrazioni indette per domani. Il Kashag ha parole dure e annuncia che “se i tibetani perdono la looro pazienza, scenderanno per le strade a protestare, consapevoli che daranno così la scusa ai leader cinesi per usare ancor più forza bruta per fermarli”. Nel comunicato Il Kashag tibetan denuncia lo stato di sudditanza nel quale si trovano i tibetani, sottomessi all’esercito cinese, annunciando che domani sarà osservato da tutti i tibetani del mondo un giorno di lutto. Il Kashag contesta anche la caratterizzazione di “stato feudale” usata da Pechino per giustificare l’invasione del 1950.

fonte: ANSA

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La dignità perduta

Questo articolo è tratto dal Corriere della Sera di oggi. E’ l’editoriale in prima pagina di Franco Venturini, uno dei più grandi giornalisti italiani e, per mia fortuna, persona che conosco personalmente del quale apprezzo sia le doti umane che professionali. Come credo, dopo aver letto questo pezzo, anche voi. Franco da tempo scrive contro l’ipocrisia dei paesi nella faccenda tibetana e contro le repressioni cinesi. Basta inserire il suo nome su google che appariranno i suoi scritti.

La decisione del governo sudafricano di negare il visto d’ingresso al Dalai Lama non è purtroppo senza precedenti, ma è più inaccettabile di tutte le altre per almeno due motivi. Il primo riguarda la storia del Sudafrica. Una storia marchiata a fuoco dalla tragedia dell’apartheid, dalla discriminazione fatta sistema come in nessuna altra parte del mondo. Il Sudafrica moderno e multirazziale, quello di oggi, nasce dalla riconciliazione nazionale ma anche da un ripudio collettivo di quell’esperienza, si specchia in Nelson Mandela ex perseguitato e poi presidente, trova la sua identità nell’appartenenza a quella comunità di valori (l’Occidente) che sanzionò l’apartheid fino ad abbatterlo. Chi ha una storia del genere dovrebbe sentirsi obbligato a restarle fedele. Ed è per questo che la scelta del governo di Pretoria di non accogliere il leader spirituale di una minoranza oppressa assume i contorni di una vergognosa auto-sconfessione, di una fuga dalla propria insanguinata e sofferta identità.

Il secondo motivo che pesa sulla decisione sudafricana si chiama minacce cinesi, quelle alle quali Pretoria ha ceduto. Da qualche anno ormai la Cina conduce una strisciante ri-colonizzazione dell’Africa. Ovunque esistano fonti di energia — e in Africa ce ne sono in abbondanza — i cinesi investono, costruiscono, sottoscrivono contratti pluridecennali, offrono copertura politica ai governi. Le influenze americana o francese, per tanti anni rivali, oggi sono soltanto un ricordo. È evidente che questo stato di cose garantisce alla Cina una capacità d’interdizione particolarmente efficace in tutto il Continente Nero. Così come è assai probabile che i sudafricani, nella loro scelta, non abbiano dimenticato che la Cina è il principale partner commerciale di Pretoria. Ma questi dati di fatto, se rendono più comprensibili i motivi che hanno ispirato la decisione, non la giustificano. Al contrario. Proprio in quanto Stato africano che si richiama ai valori libertari dell’Occidente, il Sudafrica non dovrebbe ragionare esclusivamente con il pallottoliere dei commerci e dimenticare i valori assai diversi che la Cina porta nel continente: dal Congo dei massacri fino al caso tragico del Darfur, i cinesi si disinteressano totalmente del rispetto dei diritti umani e puntano al sodo. Cioè a sfruttare le fonti di energia e a sostenere i governi compiacenti.

Da ieri, il governo sudafricano si è iscritto a questa categoria forse conveniente ma di sicuro poco onorevole. E noi insistiamo a credere che ci abbia rimesso. In termini di immagine perché il Dalai Lama veniva a parlare dei mondiali di calcio che il Sudafrica ospiterà nel 2010 e dei rapporti tra sport e tolleranza (a proposito, la Fifa tacerà?). In termini di credibilità politica perché un Occidente che alterna «audaci» incontri con il Dalai Lama (Sarkozy) a distratte ipocrisie governative (anche in Italia), mai è giunto a negare il visto d’ingresso al premio Nobel tibetano. I commerci valgono di più, dirà qualcuno. E aggiungerà che parlare di rispetto dei diritti umani, nel mondo d’oggi, è soltanto una perdita di tempo. Noi crediamo invece che non farlo sia una perdita: di dignità.

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Negato al Dalai il visto Sudafricano

Il Dalai Lama si è visto negare il visto d’ingresso in Sudafrica, dove avrebbe dovuto prendere parte a una conferenza di Premi Nobel per la Pace. Lo dicono i media sudafricani, che adombrano presunte pressioni della Cina sul governo di Pretoria. Il leader spirituale tibetano era atteso a una conferenza dei Nobel della pace insieme ai “padroni di casa”, Desmond Tutu, Nelson Mandela e F.W. de Klerk e al mediatore Onu Martti Ahtisaari. Secondo il domenicale sudafricano ‘Sunday Independent’, la decisione è dovuta a pressioni cinesi ed avrebbe indotto Tutu a chiedere spiegazioni, minacciando di uscire dalla conferenza sbattendo la porta. Il giornale scrive che l’ambasciata cinese in Sudafrica ha confermato di aver fatto appello al governo di Pretoria perché non permetta al leader tibetano in esilio di entrare nel Paese. Il portavoce del ministero degli esteri, Ronnie Mamoepa, ha detto da parte sua che “il Sudafrica non ha rivolto alcun invito al Dalai Lama”. Secondo l’associazione internazionale Friends of Tibet, “il bando a sua santità (il Dalai Lama) è una beffa per lo spirito della conferenza di pace”.

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La Cina intende ‘modernizzare’ Lhasa

La Cina ha varato un piano per ”ridisegnare” Lhasa, la capitale del Tibet, in modo da farne per il 2020 ”una moderna metropoli”. Lo afferma oggi la stampa cinese. Secondo un documento del governo citato negli articoli, nei prossimi undici anni Lhasa diventera’ una citta’ ”economicamente prospera, ecologica, moderna, con vive caratteristiche culturali e profonde tradizioni etniche”. Dall’inizio di marzo, i giornali cinesi dedicano spazio ogni giorno alle iniziative delle autorita’ cinesi a favore del Tibet, in uno sforzo di propaganda che accompagna lo stato d’assedio imposto nelle zone a popolazione tibetana della Cina e volto a fronteggiare una serie di scadenze difficili: le prime due, il cinquantesimo anniversario della fuga in India del Dalai Lama e il primo delle violenze del 14 marzo 2008, sono passate senza grandi incidenti. Manifestazioni anticinesi ed arresti sono stati segnalati nelle zone tibetane del Qinghai e del Sichuan, mentre due rudimentali bombe sono state lanciate senza fare vittime contro auto della polizia nelle stesse province. Secondo gli articoli pubblicati oggi dalla stampa cinese, il governo di Pechino ha stabilito che le autorita’ locali devono ”preservare con cura” l’architettura della citta’, le sue importanti reliquie culturali e gli onnipresenti siti religiosi. Inoltre, le autorita’ locali devono ”mantenere un equilibrio tra la civilizzazione antica e quella moderna, tra le zone nuove e quelle antiche, tra le risorse naturali e quelle umanistiche”. I giornali ricordano che quando fu fatto il primo censimento, nel 1953, gli abitanti di Lhasa risultarono 30mila, ”quattromila dei quali erano mendicanti”. Dopo gli innumerevoli atti di vandalismo della Rivoluzione Culturale (1966-76), la ricostruzione di Lhasa inizio’ negli anni ottanta, tra le critiche degli esuli tibetani e degli urbanisti occidentali. Uno di loro, Scott Leckie, defini’ l’ intervento delle autorita’ cinesi ”un processo di pianificazione che ignora gran parte della popolazione, mina i diritti umani e cerca di distruggere l’ identita’ culturale dei tibetani”. Fondata nel settimo secolo, Lhasa e’ cresciuta intorno a due aree: quella del Jokhang, il principale tempio buddhista, e quella residenziale chiamata ”Schol”. Successivamente la citta’ si e’ allargata verso nord e verso ovest, le aree dove sorgono gli alberghi, i ristornati ed i night in genere posseduti dagli immigrati cinesi. Anche in centro storico, il quartiere che sorge intorno al Jokhang, vaste aree furono occupate dai ricchi (relativamente ai locali tibetani) commercianti cinesi han, in gran parte provenienti dalla vicina provincia del Sichuan, e da musulmani hui. Da un’inchiesta realizzata dall’Universita’ di Pechino nel 2007, risulto’ che tra le diverse comunita’ l’interazione era minima. Secondo l’inchiesta i tibetani residenti nella citta’ vecchia ”tendono a non avere amici han” e i cinesi han ”sono generalmente male informati sui tibetani”. L’ anno scorso la tensione tra le diverse comunita’ e’ esplosa con violenza il 14 marzo, quando giovani tibetani hanno attaccato negozi e ristoranti degli immigrati, uccidendone una ventina. Secondo il quotidiano China Daily, il progetto governativo prevede che la popolazione della citta’ sia contenuta entro le 450mila persone, contro le 500mila che la abitano oggi.

fonte: Ansa

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La Cina vuole riprendere i colloqui con il Dalai se questo rinuncia all’indipendenza. Ma il monaco, non l’ha già fatto?

La Cina è disposta a riprendere i colloqui con gli inviati del Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, se questi “rinuncerà a perseguire l’ indipendenza” del Tibet. Lo ha affermato oggi il primo ministro cinese Wen Jiabao. Parlando ai giornalisti nella Sala dell’ Assemblea del popolo, il premier ha accusato “alcuni paesi occidentali” di “sfruttare” il Dalai Lama per i suoi fini. “Con il Dalai Lama – ha sostenuto Wen – bisogna guardare quello che dice ma anche quello che fa…la chiave è la sincerità”. Il leader tibetano chiede per il territorio quella che definisce una “genuina autonomia” ma Pechino ritiene che in realtà il suo progetto sia quello di staccare il Tibet dalla Cina. Secondo Wen “i fatti” – tra i quali ha citato la crescita dell’ economia e la “libertà religiosa” di cui godono i tibetani – hanno dimostrato che “la politica seguita dalla Cina in Tibet è giusta”. Rispondendo a una domanda sull’eccezionale dispositivo di sicurezza dispiegato nel corso di questa settimana in Tibet in occasione dell’ anniversario della rivolta anticinese del 10 marzo 1959, Wen ha affermato che la situazione nel territorio é “pacifica e stabile”. Il Dalai Lama, in un discorso tenuto a Dharamsala in India, ha accusato Pechino di aver creato nel Tibet un “inferno in terra” nel quale hanno perso la vita “centinaia di migliaia di tibetani”. La situazione nelle aree tibetane della Cina rimane tesa in vista dell’ anniversario della ribellione dell’ anno scorso (venti morti secondo Pechino, più di duecento secondo gli esuli tibetani) e della celebrazione della nuova “festa per l’ abolizione della schiavitù”, cioé l’ annessione del Tibet alla Cina, indetta per il 28 marzo.

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