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Scontri tra cristiani e hindu e due chiese distrutte per immagine blasfema di Gesù

Due chiese date alle fiamme, dieci feriti finora accertati e una guerriglia urbana tra cristiani ed estremisti indù in atto da due giorni e che non accenna ad allentarsi. Tutto per un’immagine di Gesù ritratto con una birra e una sigaretta in mano, l’ultimo pretesto bastato a riaccendere tensioni che l’India non riesce a reprimere, e che a cadenza quasi regolare, seppure in circostanze diverse, torna a seminare zizzania e a minare la pacifica convivenza tra etnie e religioni. La Farnesina si è detta “profondamente preoccupata” per la situazione, in India come in Iraq, dopo l’ondata di violenza dei giorni scorsi, ed ha invitato le autorità locali a “porre in essere ogni possibile iniziativa” per la “protezione” delle comunità cristiane. L’ultima ondata di violenza si è scatenata nello Stato nord-occidentale del Punjab, una delle mete predilette dei turisti di tutto il mondo e sede di templi e simboli delle più disparate religioni. In particolare nella città di Batala, una delle più importanti del distretto di Gurdaspur, dove le autorità hanno appena allentato il coprifuoco, anche se il livello di “attenzione resta elevato”. Gli scontri sono iniziati da un paio di giorni, ma solo oggi l’agenzia vaticana Fides e quella del Pontificio istituto missioni estere, Asianews, hanno cominciato a darne notizia. In fiamme è finito, fra l’altro, uno degli edifici religiosi più antichi della città, che fa capo all’Esercito della Salvezza. I pastori sono stati aggrediti e malmenati. Non si ha notizia di vittime, come accadde invece nell’estate del 2008 in Orissa, in cui le violenze si trasformarono in una cieca persecuzione: una religiosa laica bruciata viva, fedeli braccati casa per casa. All’origine degli scontri di questi giorni, estesi anche ad altre città dell’India, soprattutto del Punjab, l’immagine blasfema di un Gesù che beve e fuma, pubblicata su un libro delle elementari, adottato in scuole di New Delhi. Scritto sotto, in inglese, la parola ‘Idol’, accanto le parole ‘Jeep’ e ‘jeans’, con le rispettive rappresentazioni grafiche. Il libro capita per caso in una scuola di suore del Meghalaya, nel nordest, lontano dal Punjab. Le suore ne chiedono il ritiro alle autorità, che subito acconsentono. Alcuni esponenti dei movimenti più estremisti, ‘Bajrang Dal’ e ‘Shiv Sena’, però, non ci stanno. Nonostante le severe leggi antiblasfemia in vigore nel vicino Pakistan (contro le quali Asianews ha lanciato una campagna), ritengono l’immagine non censurabile, e l’affiggono sui muri delle città. Molti giovani cristiani scendono in piazza per protestare, staccando i manifesti. Lo scoppio delle violenze appare inevitabile. Secondo la Fides, la polizia avrebbe arrestato diversi cristiani, ma nessun estremista indù. Ora il ministro capo del Punjab promette mano dura, condanna la diffusione dell’immagine e punta il dito contro chi “fomenta l’odio interreligioso”. La Chiesa cattolica in India invita al boicottaggio della casa editrice del libro e il vescovo di Jalandhar, diocesi a cui appartiene Batala, lancia un appello alla calma, alla quale si sono poi associate, secondo Asianews, anche alcune organizzazioni indù. Dall’Italia Rocco Buttiglione (Udc) ha chiesto al Governo italiano e alla comunità internazionale di intervenire “con grande energia” contro l’ondata di violenza che ha colpito i cristiani, non solo in India, ma anche in Iraq, a due settimane dalle elezioni. Proprio oggi i vescovi di Mossul (dove la scorsa settimana sono stati uccisi 5 cristiani) e l’arcivescovo di Kirkuk hanno lanciato un appello per chiedere l’intervento della comunità internazionale a protezione dei cristiani.

fonte: Ansa

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Tre attentati nella stessa mattina in Pakistan

Giornata di attentati nella parte settentrionale del paese. Nel primo, sette persone sono state ucciso da un kamikaze che si e’ fatto epslodere nei pressi della base dell’aeronautica pachistana a Kamra, nella provincia del Punjab pachistano, nella parte nord orientale del paese. L’attentato e’ avvenuto a pochi metri dal Pakistan Aeronautical Complex, una delle piu’ importanti basi dell’aviazione di Islamabad, nella quale e’ ospitato anche l’Air Weapon Complex, un centro dove si ritiene vengano conservate e assemblate testate nucleari. Secondo le informazioni, il kamikaze a bordo di una bicicletta, e’ stato bloccato da un posto di guardia mentre tentava di entrare nella base, che e’ la piu’ grande del paese in termini di parcheggio di aerei e manutenzione degli stessi. La presenza di testate nucleari nella base non e’ confermata dai vertici di Islamabad, ma e’ rivelata da esperti militari e osservatori sia pachistani che stranieri. Due agenti sono tra le vittime, mentre sono 13 i feriti. La base era stata gia’ attaccata nel dicembre del 2007, quando una autobomba si fece esplodere contro un autobus che trasportava bambini e aviatori. Cinque furono le vittime. L’attentato ha fatto rialzare la preoccupazione per la sicurezza dei siti nucleari pachistani, allarme lanciato dalla comunita’ internazionale, Stati Uniti in testa. Dopo qualche ora, un’auto e’ esplosa a Peshawar, il capoluogo della Provincia Frontaliera di Nord Ovest ai confini con l’Afghanistan, nel settore 2 del quartiere di Hyatabad. L’auto era esplosa dinanzi ad un ristorante e l’esplosione ha ferito dieci persone. C’e’ stata anche una sparatoria. Infine nel distretto di Mohmand, nel nord ovest del paese, un autobus con i partecipanti ad un matrimonio e’ esploso su una mina, facendo 18 morti. Per tutti e tre gli attentati, la polizia punta il dito contro i talebani, verso i quali e’ in corso una massiccia offensiva dell’esercito pachistano nel distretto del Sud Waziristan, sempre nella parte occidentale del paese.

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L’India in lista nera dei paesi senza libertà religiosa. Alla faccia della tolleranza e dei luoghi comuni

L’India ha oggi definito ”deplorevole” la decisione dell’USCIRF (la Commissione americana sulla liberta’ religiosa internazionale) di includere l’India in una lista nera, che comprende tra gli altri anche Cuba e l’Afghanistan, di paesi che non rispettano la liberta’ religiosa. La decisione americana sarebbe stata presa soprattutto a seguito delle violenze anti cristiane verificatesi nello stato indiano dell’Orissa nel 2008 e della presunta inadeguata risposta del governo indiano per porre freno a quelle violenze. ”L’India e’ un paese che conta oltre un miliardo di persone – ha commentato Vishnu Prakash, portavoce del Ministero degli Affari esteri indiano – ed e’ un paese multietnico in cui convivono molte religioni. Le aberrazioni, se pure ci sono, sono affrontate sempre prontamente nell’ambito della nostra legislazione e con l’occhio vigile di una magistratura indipendente”. ”Per questo – ha aggiunto – la decisione dell’USCIRF – e’ da considerarsi deplorevole”. Anche i leader religiosi cristiani in Orissa hanno categoricamente respinto come false le conclusioni del rapporto americano. Sembra che la decisione di includere l’India nella lista nera sia anche derivata dal rifiuto indiano di permettere, un paio di mesi fa, ad osservatori americani di recarsi nel paese per verificare la situazione delle minoranze religiose.

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Prete sikh guarda porno su telefonino in tempio, denunciato

Un Granthi, un prete della religione sikh, e’ stato trovato a guardare filmati porno sul suo telefonino mentre officiava le preghiere in un gurdwara, il tempio sikh. E per questo e’ stato denunciato. Gurpreet Singh, questo il nome del prete, doveva guidare la preghiera nel tempio Jhar Singh di Ludhiana, citta’ dello stato del Punjab, nel nord ovest del paese. Un fedele si e’ accorto che il religioso, seduto come da rito dinanzi al tavolo sul quale e’ poggiato il Guru Granth Sahib, il libro sacro e ultimo guru della religione a meta’ fra Islam e Indusimo, era distratto da qualcosa che aveva sotto il tavolo. E’ andato a chiamare il capo del tempio, che ha scoperto Gurpreet a guardare i filmati pornografici sul telefonino, nascosto sotto il tavolo. Il prete e’ stato allontanato dal tempio ed e’ stato denunciato per ”atti oltraggiosi intenzionali e deliberati contro i sentimenti religiosi”.

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Polizia a controllo dei cristiani, nell’anniversario delle violenze induiste

Oltre 2000 agenti sono stati dispiegati oggi a Kandhamal, la citta’ dell’Orissa teatro l’anno scorso degli attacchi contro la comunita’ cristiana, in vista del primo anniversario della morte del leader induista che causo’ le violenze contro i cristiani. Partiti nazionalisti hindu, come il Vishva Hindu Parishad (VHP, Concilio Mondiale Hindu) e il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS, Organizzazione nazionale dei volontari), hanno annunciato che osserveranno ”il giorno del sacrificio” per il quale nei prossimi giorni saranno organizzate funzioni religiose, ribadendo che avranno tutte carattere pacifico. Ma la polizia ci crede poco e ha schierato in zona a protezione dell’ordine pubblico, ma soprattutto dei cristiani, 52 plotoni di agenti, oltre a volontari e forze paramilitari. Era il 23 agosto dell’anno scorso quando il leader religioso indi’ Swami Laxanananda venne ucciso nel suo eremo (ashram), nel distretto di Kandhamal da una ventina di sconosciuti, durante una sessione di yoga. Con lui vennero assassinate altre cinque persone, tra le quali due suoi figli. Qualcuno tra i rappresentanti religiosi indu’ accuso’ la comunita’ cristiana, nonostante i giornali avessero pubblicato una rivendicazione dei ribelli maoisti. Da quel momento fu una feroce e spietata caccia ai cristiani. Centinaia di induisti sfruttarono l’occasione per mettere in atto un piano studiato da tempo, eliminare i cristiani colpevoli, a loro giudizio, di conversioni forzate, soprattutto tra le caste basse e i fuori casta. Settimane di scontri durante i quali diversi cristiani furono bruciati vivi tra i quali donne e bambini, suore furono violentate e preti uccisi. Gli induisti distrussero e diedero alle fiamme chiese e case, fecero almeno 50 morti e costrinsero oltre 20.000 persone a lasciare le loro abitazioni e a scappare nelle foreste per scappare alla loro furia distruttrice.

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Scuole cristiane chiuse in Pakistan, appello del Papa

Le scuole cristiane in Pakistan sono state chiuse oggi e lo rimarranno per tre giorni, in segno di lutto per le vittime degli attacchi dei fondamentalisti musulmani a Gojra, nel Punjab. Ma non si fermano le proteste in tutto il mondo, dal Pakistan a Roma, dove il papa Benedetto XVI ha lanciato un nuovo appello per la fine delle violenze. Sembra ormai accertato che le vittime siano otto, sei delle quali bruciate vive (tra loro due bambini e tre donne) e due uccise da colpi di pistola. Truppe paramilitari e polizia stanno ancora controllando le strade di Gojra e quelle dei villaggi vicini del Punjab pachistano, dove la situazione e’ calma. Il governo e la presidenza del Pakistan, attraverso un suo portavoce, ha fatto sapere che una commissione di inchiesta istituita ad hoc si interessera’ del caso. In diverse citta’ pachistane sono scese in piazza comunita’ cristiane per protestare contro le violenze e chiedere protezione. In un telegramma inviato al vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts, il papa si dice profondamente addolorato per l’attacco ”insensato” contro la comunita’ cristiana della citta’ di Gojra, per ”la tragica uccisione di uomini, donne e bambini innocenti” e per ”le immense distruzioni”. Nel messaggio, Benedetto XVI incoraggia l’intera comunita’ diocesana, tutti i cristiani pachistani, a non farsi intimorire ”nei loro sforzi per contribuire a costruire una societa’ che, con un profondo senso di fiducia nei valori umani e religiosi, sia caratterizzata dal mutuo rispetto tra tutti i suoi membri”. Al Papa fa eco il nunzio apostolico Adolfo Tito Yllana, che ha spiegato che la legge sulla blasfemia, ”viene utilizzata proprio per andare contro le minoranze come i cristiani. Attuano la persecuzione accusandoli di blasfemia”. Il vescovo di Lahore, mons. John Lawrence Saldanha, ha chiesto un intervento del governo, per arginare i continui attacchi che obbligano la comunita’ cristiana a difendersi da sola e a tenere un basso profilo. Il Ministro degli esteri Franco Frattini ha auspicato che le Nazioni Unite e l’Unione Europea pongano e riaffermino la ”liberta’ di religione come valore assoluto”. Frattini ha detto in una intervista che oggi chiedera’ alla presidenza di turno svedese dell’Unione europea di ”esercitare pressioni sul Pakistan in vista del vertice in programma con la Ue”, annuncia che a settembre, all’assemblea generale dell’Onu, proporra’ di ”fare del 2010 l’anno della liberta’ di religione”.

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Cristiani perseguitati in India e Pakistan

Il giorno dopo il massacro di cristiani a Gojra, in Pakistan, per i quali ha levato la sua voce anche Papa Benedetto XIV, invitando a pregare per i cristiani “discriminati e perseguitati”, in India 16 tra gli induisti arrestati per le violenze anticristiane dell’anno scorso nello stato dell’Orissa, in cui furono massacrate 50 persone, sono stati oggi prosciolti da ogni accusa da un tribunale speciale. I sedici assolti in India erano accusati di reati che vanno dall’omicidio al possesso di armi, dalle violenze all’odio religioso. Fra loro, anche alcuni ritenuti tra i capi delle violenze, che fecero almeno 50 morti e costrinsero oltre 20.000 persone a lasciare le loro abitazioni e a scappare nelle foreste per scappare alla furia distruttrice di fanatici indù. Già a dicembre alcuni leader della rivolta erano stati assolti, tanto che due si sono candidati alle scorse elezioni politiche. Era il 23 agosto dell’anno scorso quando il leader religioso indù Swami Laxanananda venne ucciso nel suo eremo (ashram), nel distretto di Kandhamal da una ventina di sconosciuti, durante una sessione di yoga. Con lui vennero assassinate altre cinque persone, tra le quali due suoi figli. Qualcuno tra i rappresentanti religiosi indù accusò la comunità cristiana, nonostante i giornali avessero pubblicato una rivendicazione dei ribelli maoisti. Da quel momento fu una feroce e spietata caccia ai cristiani. Centinaia di induisti sfruttarono l’occasione per mettere in atto un piano studiato da tempo, eliminare i cristiani colpevoli, a loro giudizio, di conversioni forzate, soprattutto tra le caste basse e i fuori casta. Settimane di scontri durante i quali diversi cristiani furono bruciati vivi tra i quali donne e bambini, suore furono violentate e preti uccisi. Gli induisti distrussero e diedero alle fiamme chiese e case. Pochi giorni fa il giudice S.C. Mahapatra aveva consegnato al governo dell’Orissa le sue conclusioni sui fatti di Kandhamal, addossando molta della responsabilità ai cristiani. Le conclusioni, che poi hanno anche favorito la sentenza di oggi, hanno provocato la ferma reazione della conferenza episcopale indiana che, come gesto di distensione, aveva anche chiesto che il 23 agosto fosse ricordato e festeggiato come il giorno della pace. Una possibilità, invece, respinta dalle comunità induiste dell’Orissa. La situazione sembra invece tornata alla calma nel Punjab, in Pakistan, dove la polizia ha ripreso oggi il controllo di Gorja dopo il pogrom di ieri contro cristiani accusati di aver profanato il Corano. Oggi il Papa sulla scia di quell’episodio ha ricordato come i cristiani siano “discriminati e perseguitati a causa del nome di Cristo” e ha chiesto che vengano loro “riconosciuti i diritti umani, l’uguaglianza e la libertà religiosa” in modo che “possano vivere e professare liberamente la propria fede”. Le vittime in Pakistan, secondo alcune fonti, da sette sarebbero salite a otto o nove, mentre la polizia ha arrestato oltre 150 persone, denunciandone 200. Nella cittadina dove sono state bruciate una settantina di case di cristiani e due chiese, oltre un migliaio di musulmani hanno manifestato contro la presenza dei cristiani, mentre una processione di fedeli cristiani, con in testa esponenti della Chiesa locale in abiti religiosi, ha organizzato una processione silenziosa. Anche a Lahore c’é stata una manifestazione in favore della libertà religiosa.

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Progrom musulmano contro cristiani in Pakistan, sette bruciati vivi

E’ di sette cristiani bruciati vivi, tra i quali tre donne, e decine di feriti, il bilancio di scontri religiosi avvenuti negli ultimi giorni nei pressi di Gojra, nella provincia del Punjab, nel Pakistan centrale. Musulmani appartenenti al gruppo Sipah-e-Sahaba, ritenuto fuorilegge dal governo pachistano, hanno assaltato un quartiere cristiano. Le tensioni anticristiane in zona risalgano a diverse settimane fa. Ma l’altro ieri un gruppo di fanatici musulmani ha saccheggiato e dato alle fiamme due chiese a Korian. Il gesto, secondo quanto racconta la televisione pachistana, e’ nato da una falsa accusa di blasfemia, secondo la quale i cristiani avrebbero profanano un Corano durante una cerimonia nuziale. I cristiani, di contro, hanno organizzato oggi una processione nelle aree musulmane. Di qui l’ira dei membri del Sipah-e-Sahaba che hanno attaccato i cristiani. Sette quelli che sono stati bruciati vivi, decine i feriti, soprattutto a causa di lanci di pietre e di spari che ancora si sentono in zona. La televisione pachistana, infatti, continua a mostrare immagini di scontri, di fedeli musulmani sui tetti delle case che sparano contro la polizia che cerca di prendere il controllo della situazione. Diverse case sono state date alle fiamme e il traffico ferroviario in zona e’ stato bloccato. I rivoltosi musulmani hanno bloccato le strade di accesso a Gojra e ad alcuni villaggi, bloccando nelle caserme alcuni poliziotti e soprattutto i vigili del fuoco, impedendo a questi ultimi di spegnere gli incendi. Il ministro pachistano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, smentendo che i cristiani abbiano profanato il libro sacro musulmano, ha accusato la polizia di non aver protetto, come richiesto da giorni, a sufficienza la comunita’ cristiana della zona. Il ministro della giustizia del Punjab, Rana Sanaullah, ha annunciato una inchiesta, mentre i parlamentari dell’opposizione della provincia del Punjab hanno convocato d’urgenza una sessione parlamentare condannando gli attentati, accusando il governo di non aver fatto quanto promesso per proteggere i cristiani e chiedendo al capo della corte suprema Iftikhar Mohammed Chaudhry di assicurarsi che i responsabili delle violenze di questi giorni vengano affidati alla giustizia. I cristiani in Pakistan rappresentano una minoranza di poco piu’ il 2%. Il 30 giugno scorso sempre nel Punjab ma a Bahmani, nel distretto di Kasur, circa 600 fedeli musulmani hanno preso d’assalto la zona del villaggio in cui vivono i cristiani. Nell’attacco presero di mira un centinaio di abitazioni appiccandovi il fuoco con il lancio di bombe molotov. La folla assali’ i cristiani con bastoni ed acido, bruciato macchine e moto e distrutto la rete elettrica. Secondo la Commissione nazionale di giustizia e pace (Ncjp), organismo della Chiesa cattolica pakistana, fatti come quelli di questi giorni sono frequenti nel Punjab e si ricollegano quasi sempre a false accuse di blasfemia.

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Per i detenuti indiani, una settimana in suite con le mogli

Il governo dello stato indiano del Punjab, nell’India settentrionale, sta pensando di consentire periodicamente ai detenuti per condanne pluridecennali, vacanze di una settimana con le proprie mogli in apposite suite, predisposte nei locali del carcere. Lo riporta il giornale indiano The Indian Express, secondo il quale il governo del Punjab vorrebbe venire incontro alle normali necessita’ dei detenuti, in quanto esseri umani. La decisione avrebbe poi anche finalita’ sociali in quanto la lontananza forzata dalla famiglia e soprattutto dalle mogli comporterebbe nei detenuti maggiore violenza e il diffondersi di fenomeni come la sodomia. ”I prigionieri che terranno un buon comportamento e che abbiano scontato gia’ almeno i tre quarti della loro pena – ha spiegato il direttore generale delle carceri del Punjab, Jagjit Singh – potranno utilizzare questo sistema. Stiamo predisponendo dei cambiamenti nel manuale carcerario del 1894. Questo sara’ di aiuto ai detenuti che potranno rilassarsi e stare con le loro mogli”.

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Scontri in Austria e in Punjab tra Sikh

Nei giorni scorsi c’è stata una sparatoria a Vienna tra Sikh che ha avuto ripercussioni in India, con scontri in Punjab, lo stato nor occidentale indiano patria del sikhismo, con due morti. Il mio amico Maro Restelli, orientalista, esperto di sikhismo, ha pubblicato sul suo blog questo post esplicativo.

LA CRONACA DEI FATTI. A Vienna domenica 24 maggio una banda di 6 fondamentalisti sikh, armati di coltelli e pistole, attacca il tempio di una setta sikh “eterodossa” (chiamata Ravidasia o Sach Khand Dera). Nel tempio si erano radunati circa 400 indiani per ascoltare i sermoni di due Sant, cioè di due autorità spirituali della setta. Durante l’attacco restano ferite una quindicina di persone, fra le quali uno dei due Sant, Rama Nand, che muore il 26 maggio. Questa serie di eventi ha due conseguenze immediate: 1) movimenti della destra austriaca chiedono al governo di Vienna misure restrittive nei confronti dell’immigrazione indiana; 2) manifestazioni di protesta e scontri di piazza si scatenano in Punjab – stato dell’India settentrionale a maggioranza sikh – ad opera dei Ravidasia, coadiuvati da gruppi di Dalit, cioè di fuoricasta o “intoccabili”.

Ad Amritsar, a Jalandhar e in altre città del Punjab vengono bruciate automobili e assaltati edifici pubblici; negli scontri fra manifestanti e polizia muoiono due persone. Per fronteggiare la situazione e allontanare lo spettro della guerra civile (che insanguinò il Punjab negli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso) le autorità politiche e religiose del Punjab si muovono su più fronti. Il Capo Ministro del Punjab, Parkash Singh Badal – che è un sikh – condanna duramente l’attacco sikh al tempio dei Ravidasi di Vienna, e contemporaneamente impone il coprifuoco nella città epicentro delle violenze, Jalandhar. Analoga dura condanna dei fondamentalisti sikh che hanno colpito Vienna viene espressa dal Primo Ministro dell’India Manmohan Singh – anch’egli un sikh – e dal partito sikh al governo in Punjab, lo Shiromani Akali Dal, che invita i commercianti a una serrata anti-violenza per martedì 26 maggio. Al momento in cui scriviamo, in Punjab regna la tensione ma la situazione pare sotto controllo.

I PROTAGONISTI E IL CONTESTO. UN’ANALISI CULTURALE. Il sikhismo (qui sotto il suo simbolo, il Khanda)

khanda

khanda

è una religione monoteista che propugna un rapporto diretto fra l’uomo e Dio. E’ la quinta religione al mondo per diffusione, e nacque in Punjab nel XV secolo ad opera di Nanak, primo di dieci Guru. Il libro sacro dei Sikh, il Guru Granth Sahib, contiene 5.894 inni di numerosi poeti e mistici fra cui Ravidas (nel dipinto qui a destra)

ravidas

ravidas

che fondò un movimento spirituale nel XIV secolo. E’ da lui che prendono il nome i Ravidasi, cioè i sikh “eterodossi” che hanno subìto l’attacco a Vienna e poi scatenato le violenze in Punjab. Sono noti anche come Sach Khand Dera perché il Sach Khand o “Regno della Verità” è lo stadio finale dell’ascesa spirituale secondo il Sikhismo, di cui i Ravidasi sono comunque “figli”. A differenza dei Sikh – sia del Khalsa sia di altre comunità minori – non hanno il tempio centrale in Punjab bensì a Varanasi; pregano con lo stesso libro sacro dei Sikh ma non lo considerano – come fanno invece i Sikh – un “Guru vivente”.

Ma la ragione alla base della disputa fra le due comunità non è tanto di carattere dottrinario (anche perché, è questo il paradosso, ciò che unisce i Sikh e i Ravidasi è molto più di ciò che li divide) bensì sociale: Ravidas era un fuoricasta, un “intoccabile”, considerato impuro a causa del suo lavoro di ciabattino, in cui lavorava le pelli di animali; tuttavia sostenne nei suoi inni che anche un fuoricasta può giungere a Dio, e che la divisione in caste è un errore. Divenne perciò un eroe dei fuoricasta del Punjab,  e ancora oggi il movimento che a lui si ispira, cioè quello dei Ravidasi, raccoglie  i suoi seguaci fra i fuoricasta, o Dalit, in particolare del gruppo dei Chamar, i ciabattini.

Anche il Sikhismo sostiene l’uguaglianza degli uomini davanti a Dio e nega il sistema delle caste, ma la divisione castale – benché cancellata anche dalla Costituzione dell’India moderna – resta comunque ancora oggi onnipervadente. In qualsiasi comunità sociale e religiosa (e il nucleo centrale dei Sikh in Punjab resta infatti di casta Jat). I protagonisti degli odierni scontri di piazza in Punjab, dunque, hanno manifestato per difendere la propria identità sociale di Dalit, offesa dall’attacco di Vienna. Perciò, trattandosi di un conflitto intercastale,  agli “eretici Sikh” Ravidasi si sono uniti in piazza anche i Dalit di religione hindu e buddhista (questi ultimi, seguaci di Ambedkar).
Il commento più appropriato a questa desolante situazione ci sembra quello fatto da un giovane blogger sikh: «Credo che questa sia una tragedia degli anni ‘80 e ‘90, quando in Punjab c’era la guerra civile». Il colpo di coda di un passato che sembrava chiuso per sempre. Sembrava…

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