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La Cina intende ‘modernizzare’ Lhasa

La Cina ha varato un piano per ”ridisegnare” Lhasa, la capitale del Tibet, in modo da farne per il 2020 ”una moderna metropoli”. Lo afferma oggi la stampa cinese. Secondo un documento del governo citato negli articoli, nei prossimi undici anni Lhasa diventera’ una citta’ ”economicamente prospera, ecologica, moderna, con vive caratteristiche culturali e profonde tradizioni etniche”. Dall’inizio di marzo, i giornali cinesi dedicano spazio ogni giorno alle iniziative delle autorita’ cinesi a favore del Tibet, in uno sforzo di propaganda che accompagna lo stato d’assedio imposto nelle zone a popolazione tibetana della Cina e volto a fronteggiare una serie di scadenze difficili: le prime due, il cinquantesimo anniversario della fuga in India del Dalai Lama e il primo delle violenze del 14 marzo 2008, sono passate senza grandi incidenti. Manifestazioni anticinesi ed arresti sono stati segnalati nelle zone tibetane del Qinghai e del Sichuan, mentre due rudimentali bombe sono state lanciate senza fare vittime contro auto della polizia nelle stesse province. Secondo gli articoli pubblicati oggi dalla stampa cinese, il governo di Pechino ha stabilito che le autorita’ locali devono ”preservare con cura” l’architettura della citta’, le sue importanti reliquie culturali e gli onnipresenti siti religiosi. Inoltre, le autorita’ locali devono ”mantenere un equilibrio tra la civilizzazione antica e quella moderna, tra le zone nuove e quelle antiche, tra le risorse naturali e quelle umanistiche”. I giornali ricordano che quando fu fatto il primo censimento, nel 1953, gli abitanti di Lhasa risultarono 30mila, ”quattromila dei quali erano mendicanti”. Dopo gli innumerevoli atti di vandalismo della Rivoluzione Culturale (1966-76), la ricostruzione di Lhasa inizio’ negli anni ottanta, tra le critiche degli esuli tibetani e degli urbanisti occidentali. Uno di loro, Scott Leckie, defini’ l’ intervento delle autorita’ cinesi ”un processo di pianificazione che ignora gran parte della popolazione, mina i diritti umani e cerca di distruggere l’ identita’ culturale dei tibetani”. Fondata nel settimo secolo, Lhasa e’ cresciuta intorno a due aree: quella del Jokhang, il principale tempio buddhista, e quella residenziale chiamata ”Schol”. Successivamente la citta’ si e’ allargata verso nord e verso ovest, le aree dove sorgono gli alberghi, i ristornati ed i night in genere posseduti dagli immigrati cinesi. Anche in centro storico, il quartiere che sorge intorno al Jokhang, vaste aree furono occupate dai ricchi (relativamente ai locali tibetani) commercianti cinesi han, in gran parte provenienti dalla vicina provincia del Sichuan, e da musulmani hui. Da un’inchiesta realizzata dall’Universita’ di Pechino nel 2007, risulto’ che tra le diverse comunita’ l’interazione era minima. Secondo l’inchiesta i tibetani residenti nella citta’ vecchia ”tendono a non avere amici han” e i cinesi han ”sono generalmente male informati sui tibetani”. L’ anno scorso la tensione tra le diverse comunita’ e’ esplosa con violenza il 14 marzo, quando giovani tibetani hanno attaccato negozi e ristoranti degli immigrati, uccidendone una ventina. Secondo il quotidiano China Daily, il progetto governativo prevede che la popolazione della citta’ sia contenuta entro le 450mila persone, contro le 500mila che la abitano oggi.

fonte: Ansa

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Un anniversario di silenzio per il Tibet

Un anniversario all’insegna della tristezza, della delusione, della disperazione. E’ questo il sentimento che aleggia a Dharamsala, la cittadina nel nord dell’India sede da mezzo secolo del governo tibetano in esilio. Qui oggi il leader spirituale e temporale dei buddisti tibetani, il Dalai Lama, terrà il suo discorso di commemorazione in occasione della ricorrenza dell’invasione tibetana del 1959. Qui si sono riuniti attivisti e monaci da tutto il mondo, Italia compresa. Da qui partirà una marcia silenziosa che durerà tutta la notte, ricordando gli oltre un milione di morti a causa dell’invasione e della repressione. In ballo c’è l’esistenza stessa del popolo tibetano, le sue millenarie tradizioni, culture, la lingua. Il Dalai Lama ha presieduto ieri pomeriggio nel più grande tempio tibetano di Dharamsala, il Tsuglag-Khang, una cerimonia religiosa alla quale hanno partecipato migliaia di persone. Manifestazioni sono previste nel nord dell’India, ma anche in Nepal, Bhutan e in altre parti del pianeta per protestare contro l’invasione cinese del Tibet. A Delhi la polizia ha dichiarato off limits la zona dell’ambasciata cinese. A Kathmandu il governo nepalese ha vietato le manifestazioni anticinesi. L’esercito cinese ha aumentato i controlli, isolando totalmente il Tibet. dove le proteste vengono soffocate dalla polizia al loro nascere, come in altre èparti della Cina. Nella provincia del Qinghai, più di cento monaci, dei circa 300 religiosi che di solito vivono nel monastero di Lutsang (An Tuo in cinese), sono stati arrestati dopo una manifestazione per le festivita’ del Capodanno tibetano (Losar), che si e’ celebrato il 25 febbraio. Anche due giornalisti italiani, il corrispondente dell’Ansa da Pechino e l’inviato di Sky Tg 24, che si trovavano nei pressi del monastero a raccogliere informazioni circa gli arresti,sono stati detenuti per tre ore dalla polizia. Sempre nel Qinghai una bomba e’ esplosa oggi senza fare vittime in un commissariato. La Cina non vuole sapere ragioni e sta facendo pressioni sul mondo intero per affermare il suo controllo sul Tibet. Parlando ai tremila delegati dell’Assemblea nazionale del popolo (il Parlamento di Pechino), il presidente cinese Hu Jintao ha detto che la Cina deve creare ‘”una Grande Muraglia di stabilità” intorno al Tibet per bloccare il “secessionismo”. Ma a queste parole, il Dalai Lama opporrà oggi la sua ferma richiesta per una genuina autonomia del Tibet. La stessa richiesta che il leader tibetano avanza da decenni. ‘’Questi 50 anni – recita un passaggio del discorso del premio Nobel, del quale alcuni stralci sono stati diffusi dagli uffici del governo tibetano in esilio – hanno portato in sofferenza e distruzione il popolo e il territorio del Tibet. Ancora oggi i tibetani vivono in costante paura. Ma noi vogliamo il rispetto delle nostre tradizioni, vogliamo essere autonomi’’. Il leader tibetano parlerà di coesistenza e amicizia con i cinesi, ma di rispetto delle identità ottenibile solo con l’autonomia. Una richiesta che però non prescinde dalla “via di mezzo”, dalla ricerca dell’autonomia ottenuta attraverso la non violenza, in contrapposizione ai giovani dei movimenti tibetani che chiedevano una rivolta incisiva. Il discorso di oggi cade anche ad un anno dall’inizio dei moti di Lhasa dell’anno scorso, in concomitanza con il passaggio per il Tibet della fiaccola Olimpica, durante il quale ci furono scontri e morti tra esercito cinese e tibetani. In quella occasione Pechino attaccò il Dalai Lama e la “sua cricca”. Un anno fa le proteste sono partite a Lhasa, la capitale del Tibet, e sono sfociate in violenze, secondo fonti ufficiali di Pechino, contro gli immigrati cinesi 22 dei quali sarebbero stati uccisi. Le manifestazioni sono poi proseguite fino a maggio. Secondo il governo tibetano in esilio le vittime sono state almeno duecento. La International Campaign for Tibet (Itc), un gruppo basato a Washington, sostiene in un rapporto che dallo scorso marzo 1200 tibetani sono “scomparsi”. Il settantatreenne monaco tibetano, premio Nobel per la Pace, è stato anche per questo messo in discussione da diversi movimenti tibetani, ma negli stati generali tibetani convocati lo scorso novembre, ha avuto il pieno appoggio alla sua “via di mezzo”. Alla quale, oggi, dovrà dare nuovo vigore per sperare di non dover commemorare più l’invasione cinese.

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