La Cina ha chiesto al presidente francese Nicolas Sarkozy di ”non usare i valori europei” per ”interferire” negli affari interni della Cina. Lo ha detto oggi il portavoce del ministero degli esteri Liu Jianchao riferendosi all’ incontro di Sarkozy col Dalai Lama, avvenuto il 6 dicembre in Polonia. ”Ho sentito che il presidente Sarkozy vuole risolvere questo problema (le divergenze tra Cina ed Europa sul Tibet) senza rinunciare ai valori europei”, ha detto Liu. ”Vorrei dirgli – ha aggiunto – che noi non interferiamo nei valori che altri hanno adottato ma allo stesso tempo non possiamo accettare che quei valori vengano usati come pretesti per minare gli interessi di altre nazioni e di altri popoli”. Pechino chiede ai capi di governo degli altri paesi di non ricevere il Dalai Lama, leader del buddhismo tibetano e premio Nobel per la Pace, che considera un secessionista. Il Dalai Lama, che vive dal 1959 in esilio in India, chiede per il Tibet quella che definisce una ”vera” autonomia e si dichiara contrario all’ indipendenza della regione. Sarkozy, incontrando in Polonia il Dalai Lama, aveva detto: ”L’idea che mi faccio dell’Europa e’ un’Europa libera, indipendente, che difende i suoi valori”.
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Dalai Lama e Sarkozy si incontrano a Danzica
Il Dalai Lama e il presidente di turno dell’Ue, Nicolas Sarkozy si sono incontrati sabato a Danzica, in Polonia, in sfida alle pressioni del governo cinese perché ciò non avvenisse, nella suggestiva cornice delle celebrazioni per il 25/o anniversario del conferimento del premio Nobel per la Pace a Lech Walesa. ” Un approccio opportunistico, avventato e miope alla questione tibetana”, ha reagito con insolita prontezza poche ore dopo l’agenzia di stampa ufficiale di Pechino ‘Nuova Cina’. Intorno alle 16:30, accompagnato personalmente da Walesa – che poi si è allontanato dalla stanza – Sarkozy ha incontrato il leader spirituale dei tibetani in forma privata per 30 minuti. Poco prima dell’incontro era stato categorico sulle minacce dei cinesi. “Come presidente della Francia e come presidente di turno dell’Ue sono libero di incontrare chi voglio, non mi faccio fare l’agenda dai cinesi: questo incontro poi non è da drammatizzare”, aveva detto ai giornalisti. Ma a stretto giro di posta è arrivata la dura risposta dell’Agenzia Nuova Cina che ha definito l’incontro ” una mossa imprudente che non solo ferisce i sentimenti del popolo cinese ma che mina le relazioni franco-cinesi”. Nulla è trapelato da fonti ufficiali sui contenuti del colloquio Sarkozy-Walesa, ma secondo quanto riferito dal portavoce dell’Istituto ‘Lech Walesa’, Tomasz Szymchel, Sarkozy ha riferito che il Dalai Lama non pretende l’indipendenza del Tibet mentre il leader tibetano ha espresso comprensione per la presenza del presidente francese all’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino 2008. Da parte sua Sarkozy ha sottolineato l’importanza del dialogo tra il Dalai Lama e lo stesso governo cinese. L’incontro aveva catalizzato nelle ultime settimane l’attenzione internazionale, soprattutto per l’atteggiamento della Cina che dapprima aveva annullato per protesta la sua partecipazione ad un vertice con l’Ue a Lione in programma il primo dicembre, per poi, 48 ore primo dell’incontro di Danzica, mettere in guardia Parigi dalle possibili ripercusioni sui rapporti commerciali, adombrando un boicottaggio dei prodotti francesi, promosso già su Internet dai nazionalisti. Il padrone di casa Walesa si era espresso in maniera molto critica nei confronti degli “amici” cinesi. “Sono stupefatto – aveva detto ieri – che un paese con una cultura così antica come la Cina, possa pretendere di vietare un incontro tra due persone”. Sarkozy era giunto a Danzica a mezzogiorno per discutere, insieme al premier polacco Donald Tusk e ad altri otto premier di paesi dell’Est europeo, del pacchetto climatico dell’Ue; poi é intervenuto alla conferenza internazionale “Solidarnosc per il futuro”. I travagliati rapporti di Sarkozy con la Cina sulla questione del Tibet avevano avuto un altro momento significativo nel marzo scorso, quando il presidente francese, aveva minacciato di disertare le cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino, scatenando una violenta reazione dei nazionalisti cinesi che avevano organizzato una serie di manifestazioni antifrancesi tra le quali il boicottaggio della catena di supermercati Carrefour. Il 25 aprile la Cina aveva manifestato la disponibilità a incontrare i rappresentanti del Dalai Lama, facendo cambiare idea a Sarkozy sul boicottaggio della cerimonia di apertuyra dei Giochi. Durante le Olimpiadi il colosso francese dell’energia, Edf, aveva concluso un contratto con il gruppo cinese Cgnpc per la costruzione di due centrali nucleari di terza generazione Epr in Cina. Poi però i colloqui tra cinesi e tibetani non avevano avuto l’esito sperato dal Dalai Lama, che ha ricordato anche ieri come la Cina abbia tutto il diritto di diventare una “superpotenza, ma per farlo le occorre anche l’autorità morale”.
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Il Dalai Lama a Bruxelles (avrà mangiato le cozze?:-))
I tibetani non vogliono l’indipendenza, ma l’autonomia dalla Cina, chiedono l’armonia che però non non si raggiunge “con la paura e con le armi”, respingono la “propaganda di Pechino” e vedono che al momento prevale l’ala più intransigente al governo. Queste a grandi linee le considerazioni più politiche del Dalai Lama, intervenuto ad una sessione solenne dell’Europarlamento a pochi giorni dall’annullamento da parte di Pechino del vertice con l’Ue, soprattutto a causa dell’incontro previsto sabato a Danzica fra il Dalai Lama e il presidente di turno dell’Ue Nicolas Sarkozy, nell’ambito dell’incontro dei Premi Nobel per la pace voluto da Lech Walesa. Secondo il Dalai Lama la posta in gioco è il desiderio della Cina di diventare una superpotenza mondiale. “Il potere militare ed economico c’é già, quello che le manca è l’autorità morale. La sua pessima performance sui diritti umani, sulla libertà di espressione e di stampa danneggiano l’immagine cinese nel mondo”, ha indicato il Dalai Lama, secondo il quale la Cina è passata da un totalitarismo marxista ad un totalitarismo capitalista. “Il Darfur, la Cambogia dei khmer rossi, la Birmania, la Corea del Nord… questa è l’immagine che c’é della Cina nel mondo”, ha affermato il leader spirituale dei tibetani, secondo il quale “i cinesi ragionevoli si rendono conto che la Cina deve essere molto più attenta a questi temi se vuole guadagnarsi il rispetto del mondo per avere maggiore responsabilità globale”. Il Dalai Lama ha spiegato che al momento è l’ala più dura del regime cinese ad avere il sopravvento, anche se ci sono molti intellettuali e scrittori in Cina che “sostengono la lotta” del popolo tibetano e criticano la politica del governo. “La mia fiducia nel popolo cinese non è mai venuta meno, anche se se si sta riducendo quella nei confronti del governo”, ha spiegato. “E’ una questione di tempo, ma dovranno aprirsi, anche nell’interesse della Cina” ha sottolineato il Dalai Lama, che ha confermato il suo incontro di sabato con Sarkozy. “Non ho un’agenda particolare per l’incontro col presidente francese. Ho già incontrato la moglie, donna affascinante, ora sono contento di vedere suo marito”, ha affermato sorridendo il Dalai Lama.
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Il Dalai Lama verso una nuova scelta?
Il Dalai Lama, il capo dei buddisti tibetani, ha lanciato oggi da Tokyo un grido d’allarme sul futuro del Tibet ” condannato a morte” dalla Cina evocando la necessita’ di un ripensamento della strategia del dialogo finora perseguita. ” I tibetani sono condannati a morte. Questa antica nazione e la sua eredita’ culturale stanno morendo… – ha detto incontrando i giornalisti a Tokyo e in un’intervista a Sky Tg24 – Oggi la situazione assomiglia a una occupazione militare di tutto il territorio. E’ come se fossimo sotto la legge marziale. La paura, il terrore e le campagne di rieducazione politica causano molte sofferenze”. Sono idee che il Premio Nobel peer la pace aveva gia’ espresso nei giorni scorsi, pur se poi aveva leggermente aggiustato il tiro quando, poco dopo, fu annunciata la visita in Cina di due inviati del governo tibetano in esilio per discutere della situazione con il governo cinese. La visita dei due inviati, confermata da un comunicato ufficiale del governo tibetano in esilio a Dharamsala nel nord dell’India, e’ pero’ coperta dal massimo riserbo, e dalla Cina non trapelano notizie. E’ cosi’ uscito di muovo allo scoperto il leader spirituale del Tibet. Ha detto che che occorre ora vedere che cosa decidera’ il parlamento tibetano in esilio il 17 novembre, quando sara’ convocato in seduta straordinaria, con la partecipazione di moltissimi fedeli buddhisati . In quella occasione, il Dalai Lama, che ha sempre seguito la ”via di mezzo” con i cinesi, chiedendo una piena autonomia per il suo Tibet e non l’indipendenza da Pechino, da raggiungere attraverso il dialogo e la non violenza, potrebbe, come ha piu’ volte annunciato, farsi da parte se il parlamento decidesse per una via piu’ decisa. La politica di mediazione del leader religioso e’ stata duramente criticata dai giovani tibetani, che sono per un intervento deciso nei confronti di Pechino, mentre molta parte della comunita’ internazionale continua a rimanere cauta sulla questione tibetana per non contrapporsi in maniera frontale con la Cina. Il 10 dicembre prossimo a Parigi e’ prevista una riunione dei premi Nobel per la Pace. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha fatto conoscere oggi la sua disponibila’ a incontrarsi con il Dalai Lama in questa occasione, nonostante che nella visita di due settimane compiuta dal leader religioso in Francia lo scorso agosto durante il periodo delle Olimpiadi di Pechino 2008, fu salutato solo dalla first lady Carla Bruni. Il Dalai Lama, tuttavia, ha reso noto l’Eliseo, non ha confermato per ora la sua presenza, ”per motivi di salute”. Anche l’interprete ufficiale francese del Dalai Lama, Mathieu Ricard, ha dichiarato a ‘Le Journal de Dimanche’ che il settantatreenne Premio Nobel non sara’ a Parigi, senza spiegarne pero’ i motivi. Secondo alcuni osservatori, solo dopo la riunione del Parlamento tibetano in esilio il 17 novembre, il Dalai sciogliera’ la riserva annunciando anche quella che potrebbe essere la sua nuova veste.
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India a due velocità: tra nucleare e paura di terrorismo e violenze
E’ un’India a due facce quella che si presenta dinanzi alla comunita’ internazionale in questi giorni e dove oggi si e’ consumata l’ennesima tragedia. Da un lato il governo rappresentato dal primo ministro Manmohan Singh sta facendo il giro dei paesi amici in nome dello sviluppo della piu’ avanzata delle fonti di energia, il nucleare. Dall’altro nel paese non si fermano gli attentati terroristici, le violenze religiose, aumenta la paura e l’economia e’ in caduta libera. Singh e’ da oltre una settimana lontano da Delhi. Dopo aver parlato all’Assemblea Generale dell’ONU e aver gioito per il via libera del senato americano all’accordo di cooperazione nucleare con gli USA, e’ volato a Marsiglia per incontrare Sarkozy in qualita’ di presidente di turno dell’Ue. Qui ha ottenuto una doppia vittoria: da un lato, una serie di accordi economici e trattati con l’Ue, dall’altra la firma di un accordo di cooperazione nucleare con la Francia. Ma questa immagine di grande potenza, e’ offuscata da quello che succede in patria. Il paese dal mese di maggio e’ oggetto di attentati terroristici gravi. La crisi economica si sta facendo grave, la borsa e’ crollata ai minimi storici e l’inflazione supera il 12%, obbligando molte aziende a rivedere i propri bilanci e previsioni e, soprattutto a licenziare. La violenza e’ sempre piu’ diffusa e ottusa, e tra l’altro ha portato la settimana scorsa anche al linciaggio del presidente della Graziano Trasmissioni India, da parte di ex operai licenziati. Ma e’ sul terrorismo che il governo sta perdendo la sua battaglia. Dopo le ultime bombe, secondo un sondaggio della televisione IBN Live, la piu’ seguita tra quelle in inglese, l’82% degli indiani ha paura di attacchi terroristici. Il 71% ha detto che, nonostante le molte festivita’ in arrivo, non frequenteranno ristoranti e centri commerciali per paura. Il 61% degli intervistati ha detto che in India il terrorismo non e’ legato a nessuna religione, mentre tra la rimanente parte, l’85% lega il terrorismo all’Islam. Ma le rivalita’ religiose si sono riacutizzate anche in Orissa, dove le comunita’ cristiane sono ancora oggetto di attacchi da parte di quelle indu’. Argomenti, che stanno minando non poco il governo di Singh e di Sonia Gandhi che traballa mentre si avvicinano le elezioni.
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140 morti tibetani in Cina: Dalai Lama
Il Dali lama ha accusato l’esercito cinese di ” aver sparato contro la folla” lunedi’ scorso nella regione di Kham, nell’est del Tibet, e ha detto che ” secondo notizie in attesa di conferma” ci sarebbero stati 140 morti. L’accusa e’ contenuta in un’intervista del Dalai Lama al quotdiano ‘Le Monde’. Secondo il Dalai lama, dall’ inizio delle proteste in Tibet, il 10 marzo, “testimoni affidabili hanno riferito che 400 persone sono state uccise nella sola regione di Lhasa. Uccisi da colpi d’arma da fuoco, mentre i manifestanti erano senza armi”. Il Dalai lama ha affermato inoltre che “nessuna apertura c’ é stata” nelle discussioni con Pechino. “Dopo le proteste di marzo e le Olimpiadi, avevamo creduto a dei segnali positivi. Siamo stati presto smentiti, i nostri emissari si sono trovati davanti a un muro”. Il leader spirituale tibetano, che si trova attualmente in Francia, incontrerà domani mattina la premiere dame Carla Bruni-Sarkozy in occasione della inaugurazione di un tempio buddista a Roqueredonde, nel sud del paese. La Bruni sarà accompagnata dal ministro degli esteri Bernard Kouchner e dal segretario di Stato ai diritti umani, Rama Yade.
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I colloqui sul Tibet, accuse e spinte internazionali
Prima che cominciasse il secondo giorno di colloqui tra inviati del Dalai Lama e governo cinese, il governo di Pechino ha ripreso gli attacchi al Dalai Lama. Il capo del partito comunista del Tibet, Zhang Qingli, ha detto stamattina che “le manifestazioni a Lhasa del 14 marzo scorso sono state organizzate da tempo dalla cricca del Dalai Lama, con il supporto e l’istigazione di forze occidentali, provocando un bagno di sangue”. Bel modo di sotenere il dialogo da piu’ parti chiesto fortemente e sempre perseguito da parte tibetana. Dovrebbe essere chiaro a tutti ora che Pechino vuole sono creare una operazione di facciata, mostrandosi disponibile ad un dialogo che, ne sono certo, purtroppo, non portera’ a nulla. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, da ieri anche presidente di turno dell’Unione Europea, ha detto che decidera’ la settimana prossima se andra’ a Pechino per i giochi, dipende dal progresso nei colloqui. Sarkozy ha anche chiesto di non ferire il nazionalismo cinese, mentre la Cina ha detto al presidente francese di non mischiare il Tibet con ilo giochi olimpici, ribadendo che il Tibet e’ affare interno. La faccenda si fa sempre piu’ difficile.
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L’identità indiana
Oggi è la festa della Repubbilca indiana. 58ma ricorrenza della proclamazione della Repubblica. Come ogni anno, ma quest’anno nel freddo siberiano, l’esercito è sfilato per Campi Elisi di Delhi, il Rajpath, la strada dei re che collega l’India Gate al Rashtrapati Bhavan, il palazzo presidenziale indiano.
Migliaia di persone presenti, ministri, deputati, il primo ministro, il presidente Patil e quello francese Sarkozy, ma senza la Bruni.
E’ in queste occasioni che si sente l’attaccamento degli indiani al loro paese. Devo dire che gli indiani non hanno un grosso sentimento nazionale. Il tricolore, l’inno scritto da Tagore, l’emblema del capitello di Ashoka, sembrano non essere dei collanti per tenere uniti gli indiani.
Dopotutto, 22 lingue ufficiali più l’inglese, dedine e decine di migliaia di dialetti, 28 stati membri e 7 territori dell’unione racchiusi in quai 3 milioni e 300 mila di chilometri quadrati (circa 11 volte l’Italia) con 1miliardo e 100 milioni di persone, non rendono la vita facile.
E allora, cosa rende uniti gli indiani? Un quesito che mi è stato posto durante il seminario alla seconda università di Napoli al quale ho partecipato due settimane fa.
Non è semplice rispondere. Sicurametne lo sport, il cricket in particolare, è un collante forte, un marcatore dell’identità indiana. Io però credo che il minimo comune denominatore sia la questione e il sistema delle caste.
Pur se sono state abolite dalla costituzione, le caste vivono e continuano a mantenere e regolare il sistema sociale indiano. Certo, non si assiste alle esagerazioni del passato, quando un dalit che incontrava sulla sua strada un bramino doveva allontanarsi in maniera tale che neanche le ombre si toccassero, ma non siamo molto lontani.
Quando sono arrivato in India, agli intoccabili, quelli ad esempio che vengono a raccogliere l’immondizia da casa, non si dava da bere in bicchieri, ma si versava direttamente l’acqua nelle mani, per non fare toccare loro le stoviglie, per non contaminarle.
Ovviamente a casa mia mai è successa una cosa del genere, ma nel mio palazzo e intorno a me succede ancora. Quando ho chiesto al mio padrone di casa, un bramino, di mettere lo scaldabagno nella stanzetta della mia cameriera, lui mi ha risposto di no, perchè “non bisogna abituarli”.
Stamattina è salito perchè mi si è rotto un rubinetto e si è meravigliato del fatto che oggi, festa nazionale indiana, io abbia dato il giorno libero alla cameriera e alla tata. Non si deve fare mi ha detto. Pensa se viene a sapere che do’ 200 euro ad una e 160 all’altra. Si incazza come una belva, visto che lui da 40 euro al mese 24h su 24 7 giorni su 7.
Anche i matrimoni sono ancora regolati dal sistema castale. Gli annunci sul giornale la domenica dividono le offerte e le richieste per casta, olter che per lingua e religione. Adesso da un annetto, ci sono anche gli annunci per le vedove, i malati di AIDS, i separati.
Ma siamo ancora molto indietro. L’India delle grandi città è un paese; quella delle periferie e dei villaggi è un’altra cosa, un altro paese. Il governo tende a riservare dei posti pubblici alle minoranze religiose e alle caste e alle tribù registrate, ma questo non fa altro che ampliare i dissidi fra le etnie, i gruppi sociali e religiosi, perchè gli emarginati da queste riserve protestano veementemente.
Non c’è soluzione alla cosa. Non credo che nel medio termine si possa cambiare. E poi cambiare perchè? Il sistema regge, mantiene, e sorregge tutto l’apparato. Quello di cui ci sarebbe bisogno è una minore sperequazione, una riduzione delle distanze economiche e sociali, una più equa distribuzione di tutto.
Ma non siamo ad Utopia. Questa è un’altra isola. Non molto felice.
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Taslima: non voglio andare a Parigi. Mandate il premio a Calcutta
Taslima Nasreen non vuole andare a Parigi per ricevere il premio Simone de Beauvoir dalle mani del presidente francese Nicolas Sarkozy, nonostante l’invito di quest’ultimo seguito all'”invito” dell’India a non premiare la scrittrice a Delhi. Lo ha dichiarato la stessa scrittrice bengalese alla televisione indiana IbnLive. ”Sono grata al presidente francese per avermi invitata in Francia – ha detto la scrittrice – ma la cerimonia vera della consegna del premio e’ avvenuta il 9 gennaio, quando erano presenti personalita’ da tutto il mondo. Non ha senso adesso andare in Francia. Mi sarebbe piaciuto ricevere il premio dalle mani del presidente qui a New Delhi, come era previsto. Poiche’ non e’ stato possibile, vorrei che il diploma venisse inviato a Calcutta, la citta’ nella quale spero di tornare presto”.
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L’India ha chiesto alla Francia di non premiare a Delhi Taslima Nasreen
L’India ha chiesto al governo francese di non premiare la scrittrice bengalese anti-musulmana Taslima Nasreen, esiliata in India. Lo scrive oggi il Times of India che spiega che il governo di Delhi teme proteste da parte della comunita’ musulmana. Durante la sua visita dei prossimi giorni, il presidente francese Sarkozy avrebbe dovuto consegnare alla scrittrice originaria del Bangladesh il premio Simone de Beauvoir, che viene assegnato alle donne che si battono per i diritti delle donne. Ma il governo indiano, temendo forti reazioni della comunita’ musulmana, ha chiesto a quello francese di non consegnare l’onorificenza in India, della quale la Nasreen si era dichiarata onorata, promettendo di fare tutto il possibile anche in termini legali per permettere alla scrittrice di recarsi in Francia per ricevere il premio. Sin dal 1993 la Nasreen ha subito numerose minacce di morte da parte di gruppi fondamentalisti islamici che l’anno accusata, con i suoi scritti, di offendere l’Islam e il Corano. Nell’occhio del ciclone, soprattutto il suo romanzo ”Lajja” (Vergogna), sulle persecuzioni dei musulmani contro la comunita’ hindu. Nel marzo scorso un gruppo islamico indiano offri’ una ricompensa di 500.000 rupie (circa 10.000 euro) a chi l’avesse uccisa. In agosto venne aggredita ad Hyderabad, nel sud dell’India, da un gruppo di attivisti islamici, mentre partecipava ad una manifestazione letteraria. Rifugiatasi a Calcutta, la Nasreen e’ stata costretta, lo scorso 22 novembre, ad una precipitosa fuga prima a Jaipur e poi a Delhi a causa di violente proteste di piazza avvenute a seguito della notizia che il governo indiano aveva deciso di estendere ulteriormente il visto alla scrittrice. Per calmare le proteste, due settimane fa la scrittrice bengalese si e’ anche resa disponibile a cassare alcune frasi incriminate da un altro suo libro, ma questo non e’ servito a nulla.
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