Si chiudera’ domani l’incontro speciale convocato dal Dalia Lama a Dharamsala, nel nord dell’India sede del governo tibetano in esilio, e che vede impegnati centinaia di monaci, tibetani e sostenitori della causa tibetani da tutto il mondo per discutere sul futuro della politica del paese. Fino ad ora si e’ registrato un nulla di fatto tra le posizioni attendista, che ha nel leader spirituale premio nobel, nella sua ”via di mezzo” e nella ricerca di una ”genuina autonomia” da Pechino i punti fermi, e quella piu’ intransigente dei giovani, che vogliono andare invece verso l’indipendenza dalla Cina. Dopo il fallimento dei recenti negoziati sino-tibetani sono in molti, soprattutto quelli appartenenti alle nuove generazioni e ai movimenti giovanili Free Tibet e Tibetan Youth Congress, che sembrerebbero favorevoli ad un cambiamento, a provare ad ottenere un maggiore ascolto con una politica piu’ aggressiva. Nonostante cio’, tuttavia, secondo un sondaggio condotto nell’ambito del popolo tibetano e i cui risultati sono stati resi noti dal portavoce del governo tibetano in esilio, Karma Chopel, sembra che la maggioranza intenda comunque seguire quella che sara’ la decisione finale del Dalai, nonostante la stessa maggioranza si sia espressa piu’ verso l’indipendenza che verso l’autonomia. Al momento una delle ipotesi piu’ probabili sarebbe quella secondo la quale si decida di continuare con la politica della via di mezzo, ponendo pero’ una sorta di time limit – si parla di un paio di anni – per poi eventualmente cambiare strategia qualora non saranno stati raggiunti risultati significativi. Intanto la posizione della Cina sembra irremovibile. ”Il cosiddetto governo tibetano in esilio – ha detto Qin Gang, portavoce del Ministero degli esteri cinese – non e’ riconosciuto da nessun governo al mondo. Ogni tentativo di separare il Tibet dalla Cina sara’ bloccato”. La Cina inoltre contesta al Dalai Lama e ai suoi seguaci di mascherare, con la richiesta dell’autonomia, il tentativo di arrivare all’indipendenza.
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Il Dalai Lama minaccia le dimissioni, i giovani manifestanti continuano pe rla loro strada
E’ pronto a lasciare la sua carica di capo del governo temporale, il Dalai Lama, tornando ad essere, come lui stesso si e’ definito piu’ volte, ”un semplice monaco buddista, niente di più e niente di meno”. L’annuncio e’ stato fatto dallo stesso leader del governo tibetano in esilio, questa mattina a Dharamsala. ”Se le cose diventano incontrollabili – ha detto ai giornalisti il Dalai Lama – la mia unica opzione sono le dimissioni”. Il leader buddista ha chiarito che la sua critica e’ sulla svolta violenta delle manifestazioni di protesta. ”Se i tibetani – ha chiarito il 14mo Dalai Lama – hanno scelto la via della violenza, noi dobbiamo dimetterci perche’ siamo totalmente per la non violenza”. E il suo segretario, Tenzin Taklha, ha specificato che ”Lui si dimetterebbe da leader politico e da capo di stato, ma non da Dalai Lama (leader religioso, ndr). Sarà per sempre il Dalai Lama”. Il capo religioso e temporale dei tibetani in esilio ha ribadito il suo grazie alla comunita’ internazionale per il supporto dato in questi giorni, ma anche le sue accuse di ”genocidio culturale” e di ”tibetani discriminati”, respingendo invece quelle di essere dietro le proteste di questi giorni, come asserisce Pechino. ”Sin dal momento nel quale il governo cinese – scrive il Dalai in un comunicato – mi ha accusato di orchestrare le proteste in Tibet, ho chiesto una commissione internazionale, composta anche da cinesi, che investighi sui fatti e decidere su queste accuse. Questa commissione dovrebbe visitare il Tibet e le comunita’ fuori e dentro il Tibet. Sarebbe estremamente di aiuto se questo tipo di investigazione venga portata avanti anche dalla stampa internazionale, dal momento che un miliardo di cinesi non hanno accesso alle informazioni non censurate e non sanno cosa sta accadendo in Tibet”. Il Dalai ha ribadito che la ”via di mezzo” la strada della non violenza e del dialogo e’ l’unica percorribile. ”Anche se 1000 tibetani sacrificheranno la loro vita, questo non aiutera’ molto – ha detto ai giornalisti – bisogna fermare le violenze sia da parte cinese che tibetana. E su questa strada e’ anche il primo ministro tibetano, il venerabile Rimpoche, che ha ribadito la necessita’ di allontanare i violenti. C’e’ stato anche un appello a fermare la marcia di ritorno in Tibet, partita dall’India e organizzata da diversi gruppi tibetani sotto la sigla di ”Movimento per la rivolta del popolo tibetano” o, comunque, di fermarla al confine indiano. Ma i giovani di questo non vogliono sentire parlare. ”Questa minaccia di dimissioni – dice all’Ansa Dhondup Lhadar Pochungtsang, segretario generale del Tibetan Youth Congress attraverso il suo portavoce – non e’ una novita’. Noi continueremo le nostre manifestazioni contro l’oppressione cinese”. E se queste manifestazioni diventano poi violente? ”Noi siamo per la non violenza – aggiunge – e continueremo a manifestare cosi’. La Cina dice bugie. Ci sono piccoli gruppi che si sono dati alla violenza., Non possiamo controllare tutti”. Dhondup Dorjee, vice presidente della stessa organizzazione internazionale, ha diplomaticamente riferito di non aver notizia di queste dichiarazioni e di non volerle commentare. In verita’ da ieri i telefoni di tutto il direttivo del Tibetan Youth Congress squillano a vuoto, da quando cioe’ i giovani hanno detto che la ”via di mezzo” del Dalai Lama ha fatto il suo tempo e non risponde piu’ alle necessita’ del popolo tibetano, creando cosi’ una frattura nel movimento. lei Anche Tsering Yershi, presidente della Tibetan Women’s Association, altra organizzazione fra gli organizzatori della marcia di ritorno in Tibet del Movimento per la Rivolta del Popolo Tibetano, non ha voluto commentare le dichiarazioni del Dalai sulla possibilita’ di dimisisoni. ”Il Dalai Lama – ha detto all’Ansa – ha una posizione moderata perchè cerca di contemperare gli interessi di Cina e Tibet e crede ancora nella via del dialogo. Wen Jaibao con le ultime dichiarazioni anche di oggi ha fatto capire che la Cina non ha nessuna intenzione di dialogare e che alla fine le autorita’ cinesi vogliono solo imporre con la forza le loro idee. La situazione – dice Tsering – e’ persino destinata a peggiorare nei prossimi giorni”. Secondo la presidente della TWA, la comunita’ internazionale dovrebbe fare pressione per il boicottaggio delle olimpiadi perche’ ”non e’ concepibile che le olimpiadi che sono un momento di sport e di pace fra i popoli si svolgano in un paese che non rispetta gli altri popoli e la pace come appunto la Cina”, anche se il Dalai ha rigettato l’ipotesi del boicottaggio. ”Siamo ben consapevoli – conclude Tsering – che questo sara’ difficile a causa di interessi anche di tipo economico a livello mondiale e che per questo stiamo almeno cercando di fare pressioni affinche’ la torcia olimpica non sia portata in Tibet. Si tratta di un simbolo di pace, in un paese che pace non ha. E quindi sarebbe una specie di farsa”.
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