La presenza di un topo a bordo ha impedito la partenza di un aereo dell’Air India da Amristar, nel nord ovest del paese diretto verso Londra. Il volo AI 187 doveva partire dalla capitale dello stato indiano del Punjab alle 6.30 di questa mattina. I 238 passeggeri erano gia’ saliti a bordo quando uno di loro ha visto il topo e ha informato l’equipaggio. E’ cominciata la ricerca del roditore che pero’ non ha portato frutti. Cosi’ tutti i passeggeri sono stati fatti scendere. Le squadre di pulizia hanno cercato di trovare il topo, ma anche dopo tre ore non ci sono riusciti. La compagnia ha cosi’ deciso di prendere un nuovo aeroplano che sostituisca quello infestato. Il nuovo orario di partenza del volo, con il nuovo aeromobile, e’ fissato per le 15. Non e’ la prima volta che un aereo della compagnia di bandiera indiana non e’ partito a causa di animali a bordo. In passato, oltre ai topi, anche serpenti e scarafaggi hanno bloccato gli aeromobili a terra.
Archivi tag: topi
Un topo d’archivio
Come ogni anno, nel mese di febbraio comincia il rito per l’ottenimento del visto. Un rituale medievale, per le sofferenze, le attese, i casini che comporta, avvicinabile all’imposizione del cilicio o ad altre torture del genere. Il visto mi scade a marzo, ma bisogna cominciare in anticipo.
Prima di ottenere e richiedere il visto giornalistico si deve mostrare di essere in possesso della tessera giornalistica, la PIB (Press Information Bureau) card, che darebbe diritto a partecipare alle conferenze stampa, alle manifestazioni. Un tesserino di riconoscimento rilasciato dal governo ai giornalisti indiani e stranieri.
Pur avendola chiesta ogni anno, non l’ho mai ritirata. Non mi è mai servita, ho fatto tutto senza. Ma devo rinnovarla ogni anno, altrimenti non mi danno il visto.
All’inizio mi davano quella permanente, ogni tre mesi sarei dovuto andare a rinnovarla. Questo perchè non avevo i 5 anni di anzianità presso lo stesso giornale, necessari per avere la tessera definitiva. E chi lo dice che non ce li ho? Ho fatto una bella dichiarazione e ho dimostrato di averli.
La questione è che agli indiani piace la carta. Se è scritta fitta, poi, ancora di più. Se ci sono bolli, timbri, colori e firme, i burocrati indiani vanno in estasi. E io ho prodotto loro un documento del genere. E’ andata bene e mi hanno dato il tesserino annuale, di colore giallo.
All’ufficio PIB card del ministero degli esteri, prima c’erano due gentili donzelle che si sforzavano di parlare in inglese. Adesso c’è un ragazzino che parla solo hindi, o qualcosa di lì. Furbi, penso, in un ufficio che ha i contatti con giornalisti di tutto il mondo, mettere uno che parla solo hindi è il massimo. Ma siamo in India. Io non ho problemi con la lingua: a parte le quattro parole di hindi che conosco, quando sono in difficoltà butto lì il napoletano e mi capiscono tutti. Uè paisà!
Sono andato la settimana scorsa a ritirare la mia card del 2007 (mai ritirata e necessaria per ottenere la nuova e quindi il visto). Quando l’hanno emessa, luglio, ero in Italia. Ma la mia tessera li non c’era. Già perchè visto che la carta scadeva nel 2007, l’hanno buttata. E adesso come si fa per richiedere la nuova senza allegare la vecchia?
La prima cosa da fare era cercare il numero della carta vecchia. Ma il registro non si trovava. Interpellati tutti i dipendenti del piano, si è scoperto che era chiuso in un cassetto le cui chiavi non si sa dove fossero. Dopo vari tentativi indiani, la perizia, il genoma napoletano è venuto a galla e ho aperto io il cassetto.
Ma nel registro, l’informazione rimandava ad un altro ufficio. Sono andato in quest’altro ufficio dove c’erano pile di fascicoli a terra. L’impiegato ha incominciato a cercare fra questi il mio. Mentre cercava, una famiglia di topolini, disturbati da questo rumore, se ne è andata passando indisturbata fra le mie gambe, quelle dell’impiegato e quelle di altre due impiegate che stavano sedute li a ciacolare. Pur avendo visto i ratti, nessuno, neanche le donne, hanno battuto ciglio.
Arriva il mio fascicolo. Il mio bel faccione campeggiava su una richiesta dell’anno precedente. Ottengo il numero, prendo la documentazione e vado a casa.
Torno dopo un paio di giorni con una cartella piena di documenti. Dovevo dimostrare il motivo per il quale non avevo ritirato la tessera. Ho scritto una lettera nella quale spiegavo che mi trovavo in Italia per la nascita della bambina. Ma avevo paura che non bastasse. E così ho fotocopiato una sorta di atto di nascita della bambina e i timbri sul passaporto per dimostrare di non essere stato in India in quel periodo. Mancava poco che ci mettessi anche qualche ecografia di mia moglie.
Come volevasi dimostrare, l’impiegato burocrate e integerrimo, dopo aver ravanato con le dita in un piccolo recipiente di plastica nel quale c’erano le lenticchie che la moglie gli aveva preparato per pranzo, dopo essersi portato la mano in bocca e pulito sia il recipiente che le dita, dopo aver pulito le dita in un fazzoletto più sporco di un fazzoletto sporco, ha preso raggiante la copiosa documentazione, imbrattandola ovviamente, e mi ha detto che la mia tessera sarebbe stata pronta dopo due giorni.
La tessera è ora pronta, è li che mi aspetta. Ma non sono ancora andato a ritirarla. Il solo pensiero delle lenticchie, strette di mano, dei topi, mi fa desistere, ci andrò fra una settimana quando devo rinnovare il visto.
Archiviato in Diario indonapoletano, Vita indiana