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L’India in lista nera dei paesi senza libertà religiosa. Alla faccia della tolleranza e dei luoghi comuni

L’India ha oggi definito ”deplorevole” la decisione dell’USCIRF (la Commissione americana sulla liberta’ religiosa internazionale) di includere l’India in una lista nera, che comprende tra gli altri anche Cuba e l’Afghanistan, di paesi che non rispettano la liberta’ religiosa. La decisione americana sarebbe stata presa soprattutto a seguito delle violenze anti cristiane verificatesi nello stato indiano dell’Orissa nel 2008 e della presunta inadeguata risposta del governo indiano per porre freno a quelle violenze. ”L’India e’ un paese che conta oltre un miliardo di persone – ha commentato Vishnu Prakash, portavoce del Ministero degli Affari esteri indiano – ed e’ un paese multietnico in cui convivono molte religioni. Le aberrazioni, se pure ci sono, sono affrontate sempre prontamente nell’ambito della nostra legislazione e con l’occhio vigile di una magistratura indipendente”. ”Per questo – ha aggiunto – la decisione dell’USCIRF – e’ da considerarsi deplorevole”. Anche i leader religiosi cristiani in Orissa hanno categoricamente respinto come false le conclusioni del rapporto americano. Sembra che la decisione di includere l’India nella lista nera sia anche derivata dal rifiuto indiano di permettere, un paio di mesi fa, ad osservatori americani di recarsi nel paese per verificare la situazione delle minoranze religiose.

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Polizia a controllo dei cristiani, nell’anniversario delle violenze induiste

Oltre 2000 agenti sono stati dispiegati oggi a Kandhamal, la citta’ dell’Orissa teatro l’anno scorso degli attacchi contro la comunita’ cristiana, in vista del primo anniversario della morte del leader induista che causo’ le violenze contro i cristiani. Partiti nazionalisti hindu, come il Vishva Hindu Parishad (VHP, Concilio Mondiale Hindu) e il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS, Organizzazione nazionale dei volontari), hanno annunciato che osserveranno ”il giorno del sacrificio” per il quale nei prossimi giorni saranno organizzate funzioni religiose, ribadendo che avranno tutte carattere pacifico. Ma la polizia ci crede poco e ha schierato in zona a protezione dell’ordine pubblico, ma soprattutto dei cristiani, 52 plotoni di agenti, oltre a volontari e forze paramilitari. Era il 23 agosto dell’anno scorso quando il leader religioso indi’ Swami Laxanananda venne ucciso nel suo eremo (ashram), nel distretto di Kandhamal da una ventina di sconosciuti, durante una sessione di yoga. Con lui vennero assassinate altre cinque persone, tra le quali due suoi figli. Qualcuno tra i rappresentanti religiosi indu’ accuso’ la comunita’ cristiana, nonostante i giornali avessero pubblicato una rivendicazione dei ribelli maoisti. Da quel momento fu una feroce e spietata caccia ai cristiani. Centinaia di induisti sfruttarono l’occasione per mettere in atto un piano studiato da tempo, eliminare i cristiani colpevoli, a loro giudizio, di conversioni forzate, soprattutto tra le caste basse e i fuori casta. Settimane di scontri durante i quali diversi cristiani furono bruciati vivi tra i quali donne e bambini, suore furono violentate e preti uccisi. Gli induisti distrussero e diedero alle fiamme chiese e case, fecero almeno 50 morti e costrinsero oltre 20.000 persone a lasciare le loro abitazioni e a scappare nelle foreste per scappare alla loro furia distruttrice.

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Cristiani perseguitati in India e Pakistan

Il giorno dopo il massacro di cristiani a Gojra, in Pakistan, per i quali ha levato la sua voce anche Papa Benedetto XIV, invitando a pregare per i cristiani “discriminati e perseguitati”, in India 16 tra gli induisti arrestati per le violenze anticristiane dell’anno scorso nello stato dell’Orissa, in cui furono massacrate 50 persone, sono stati oggi prosciolti da ogni accusa da un tribunale speciale. I sedici assolti in India erano accusati di reati che vanno dall’omicidio al possesso di armi, dalle violenze all’odio religioso. Fra loro, anche alcuni ritenuti tra i capi delle violenze, che fecero almeno 50 morti e costrinsero oltre 20.000 persone a lasciare le loro abitazioni e a scappare nelle foreste per scappare alla furia distruttrice di fanatici indù. Già a dicembre alcuni leader della rivolta erano stati assolti, tanto che due si sono candidati alle scorse elezioni politiche. Era il 23 agosto dell’anno scorso quando il leader religioso indù Swami Laxanananda venne ucciso nel suo eremo (ashram), nel distretto di Kandhamal da una ventina di sconosciuti, durante una sessione di yoga. Con lui vennero assassinate altre cinque persone, tra le quali due suoi figli. Qualcuno tra i rappresentanti religiosi indù accusò la comunità cristiana, nonostante i giornali avessero pubblicato una rivendicazione dei ribelli maoisti. Da quel momento fu una feroce e spietata caccia ai cristiani. Centinaia di induisti sfruttarono l’occasione per mettere in atto un piano studiato da tempo, eliminare i cristiani colpevoli, a loro giudizio, di conversioni forzate, soprattutto tra le caste basse e i fuori casta. Settimane di scontri durante i quali diversi cristiani furono bruciati vivi tra i quali donne e bambini, suore furono violentate e preti uccisi. Gli induisti distrussero e diedero alle fiamme chiese e case. Pochi giorni fa il giudice S.C. Mahapatra aveva consegnato al governo dell’Orissa le sue conclusioni sui fatti di Kandhamal, addossando molta della responsabilità ai cristiani. Le conclusioni, che poi hanno anche favorito la sentenza di oggi, hanno provocato la ferma reazione della conferenza episcopale indiana che, come gesto di distensione, aveva anche chiesto che il 23 agosto fosse ricordato e festeggiato come il giorno della pace. Una possibilità, invece, respinta dalle comunità induiste dell’Orissa. La situazione sembra invece tornata alla calma nel Punjab, in Pakistan, dove la polizia ha ripreso oggi il controllo di Gorja dopo il pogrom di ieri contro cristiani accusati di aver profanato il Corano. Oggi il Papa sulla scia di quell’episodio ha ricordato come i cristiani siano “discriminati e perseguitati a causa del nome di Cristo” e ha chiesto che vengano loro “riconosciuti i diritti umani, l’uguaglianza e la libertà religiosa” in modo che “possano vivere e professare liberamente la propria fede”. Le vittime in Pakistan, secondo alcune fonti, da sette sarebbero salite a otto o nove, mentre la polizia ha arrestato oltre 150 persone, denunciandone 200. Nella cittadina dove sono state bruciate una settantina di case di cristiani e due chiese, oltre un migliaio di musulmani hanno manifestato contro la presenza dei cristiani, mentre una processione di fedeli cristiani, con in testa esponenti della Chiesa locale in abiti religiosi, ha organizzato una processione silenziosa. Anche a Lahore c’é stata una manifestazione in favore della libertà religiosa.

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Scontri religiosi in Orissa, missionaria laica bruciata viva

Questo il mio pezzo uscito stamattina su Il Mattino.

E’ di due vittime bruciate vive e di un prete gravemente ferito il bilancio delle violenze religiose esplose ieri sera a Bubaneshwar e in altre città dello stato orientale indiano dell’Orissa, che hanno visto la furia dei fondamentalisti indu’ scagliarsi contro i cristiani. Da giorni nell’Orissa ci sono scontri tra manifestanti e polizia tanto che il governo locale ha imposto il coprifuoco. Gli scontri sono seguiti all’uccisione di un leader radicale indù, Swami Laxanananda Saraswati, espressione del partito fondamentalisa Vishwa Hindu Parishad (VHP), formazione che si batte per un’India di soli induisti. Della morte del religioso-politico sono state accusate le comunità religiose cristiane, che stanno crescendo molto nello stato. Il leader religioso è stato ucciso sabato sera nel suo Ashram (comunità) di Tumudibandha, da trenta persone mascherate che hanno sparato all’impazzata, nel giorno dei festeggiamenti per il dio Krishna, molto venerato. Durante la sparatoria sono morte altre cinque persone tra le quali due figli del religioso. Nonostante che l’omicidio sia stato rivendicato da un gruppo maoista, il People’s Liberation Revolutionary Group, gli attivisti del VHP hanno accusato i cristiani in quanto il leader ucciso si era sempre opposto alle conversioni al cristianesimo. Da qui la vendetta di ieri. I fondamentalisti hindu hanno attaccato, applicando le fiamme, ad un orfanotrofio cattolico a Puthpali, nel distretto di Bargah. In quel momento nel l’orfanotrofio si trovavano 30 bambini, un prete ed alcuni volontari. Una volontaria laica è rimasta bruciata viva, il prete è seriamente ferito mentre i bambini ed altri volontari sono riusciti a fuggire nella foresta. Un altro cristiano è stato ucciso, sempre arso vivo all’interno nella sua abitazione, nel villaggio di Rupa, nel distretto di Kandhamal. La violenza religiosa induista si è scagliata contro chiese, religiosi, istituzioni religiose ed altri edifici di culto cristiani anche nei distretti di Khurda, Bargarh, Sundergarh, Sambalpur, Koraput, Boudh, Mayurbhanj, Jagatsinghpur and Kandhamal districts e nella capitale dello stato Bubaneshwar. Nella città di Phulbani, 40 case di cristiani sono state date alle fiamme senza conseguenze per gli occupanti. Il sottosegretario agli interni dello stato dell’Orissa, ha chiesto al governo centrale di Delhi di inviare due battaglioni di forze paramilitari per tentare di rimettere a posto la situazione. Nel mirino dei fondamentalisti, anche le suore di madre Teresa di Calcutta, alcune delle quali sono state costrette a scappare per salvarsi dalla furia degli induisti. All’indomani della morte del leader religioso-politico induista, la diocesi locale, l’organismo ecumenico cristiano All India Christian Council e la Conferenza episcopale indiana avevano condannato l’uccisione di Saraswati. Il portavoce della conferenza episcopale indiana, Babu Jospeph, ha smentito a Il Mattino la notizia secondo la quale un’altra suora sarebbe stata violentata. “La suora – ha detto a Il Mattino padre Babu Joseph – era in un centro pastorale nel distretto di Kandhamal quando è stata aggredita e picchiata”. Nello stato dell’Orissa, lo scorso Natale, oltre 30 chiese furono bruciate in due giorni di scontri tra i cristiani e il VHP che protestavano per le celebrazioni natalizie. Non ci furono morti ma nello stato, dove è in vigore una legge anti conversioni che vieta di fatto le conversioni al cristianesimo, fu imposto per giorni il coprifuoco e si registrarono centinaia di feriti. Circa il 2,3% della popolazione indiana, intorno ai 24 milioni di persone, sono cristiani. La comunità cristiana è concentrata soprattutto negli stati meridionali del Tamil Nadu e del Kerala, oltre che in quello orientale dell’Orissa e nel West Bengala, che ha per capitale Calcutta. Gli scontri religiosi tra hindu e cristiani sono una spina nel fianco nella chiesa cattolica indiana che conta nel paese 160 tra diocesi ed arcidiocesi. Come riconoscimento per il lavoro svolto in India e il crescente numero di cristiani, l’ex arcivescovo di Mumbai, il Cardinale Diaz, è stato messo a capo dell’Istituto di Propaganda Fidei, dopo essere stato indicato come possibile successore di Giovanni Paolo II al soglio pontificio. I cristiani vengono attaccati soprattutto perché fanno proselitismo nelle caste basse e nei fuori casta, propagando l’uguaglianza tra le persone, avversata dal sistema castale indiano fortemente sostenuto dai fondamentalisti. L’ultimo omicidio di un religioso, prima degli scontri di ieri, è avvenuto il 16 agosto, quando un religioso carmelitano, Father Thomas Pandippally, è stato ucciso nello stato centrale indiano dell’Andra Pradesh.

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