La Cina è disposta a riprendere i colloqui con gli inviati del Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, se questi “rinuncerà a perseguire l’ indipendenza” del Tibet. Lo ha affermato oggi il primo ministro cinese Wen Jiabao. Parlando ai giornalisti nella Sala dell’ Assemblea del popolo, il premier ha accusato “alcuni paesi occidentali” di “sfruttare” il Dalai Lama per i suoi fini. “Con il Dalai Lama – ha sostenuto Wen – bisogna guardare quello che dice ma anche quello che fa…la chiave è la sincerità”. Il leader tibetano chiede per il territorio quella che definisce una “genuina autonomia” ma Pechino ritiene che in realtà il suo progetto sia quello di staccare il Tibet dalla Cina. Secondo Wen “i fatti” – tra i quali ha citato la crescita dell’ economia e la “libertà religiosa” di cui godono i tibetani – hanno dimostrato che “la politica seguita dalla Cina in Tibet è giusta”. Rispondendo a una domanda sull’eccezionale dispositivo di sicurezza dispiegato nel corso di questa settimana in Tibet in occasione dell’ anniversario della rivolta anticinese del 10 marzo 1959, Wen ha affermato che la situazione nel territorio é “pacifica e stabile”. Il Dalai Lama, in un discorso tenuto a Dharamsala in India, ha accusato Pechino di aver creato nel Tibet un “inferno in terra” nel quale hanno perso la vita “centinaia di migliaia di tibetani”. La situazione nelle aree tibetane della Cina rimane tesa in vista dell’ anniversario della ribellione dell’ anno scorso (venti morti secondo Pechino, più di duecento secondo gli esuli tibetani) e della celebrazione della nuova “festa per l’ abolizione della schiavitù”, cioé l’ annessione del Tibet alla Cina, indetta per il 28 marzo.
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La Cina vuole riprendere i colloqui con il Dalai se questo rinuncia all’indipendenza. Ma il monaco, non l’ha già fatto?
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Visita di Manoman Singh a Pechino
di seguito l’articolo di Beniamino Natale, corrispondente Ansa da Pechino, sulla visita dle primo ministro indiano in Cina
Gli affari vanno bene ma la questione delle frontiere è destinata a rimanere come una grossa incognita sullo sviluppo delle relazioni tra le due potenze emergenti dell’ Asia, la Cina e l’India. Parlando oggi a una platea di imprenditori dei due Paesi, il primo ministro indiano, Manmohan Singh, arrivato ieri a Pechino per una visita di tre giorni, ha messo l’accento sulla necessità di creare “un clima positivo” per quanto riguarda “problemi come le barriere non tariffarie e la protezione della proprietà intellettuale”. Singh ha detto che “entrambi i Paesi” vogliono “creare le condizioni” per una maggiore cooperazione, cosa che gli imprenditori reclamano a gran voce, evocando la solidarietà tra asiatici e rispolverando il vecchio slogan dello storico leader indiano Jawaharlal Nehru, secondo il quale “indiani e cinesi sono fratelli”. Questo si può fare, secondo Singh, individuando “le complementarità delle due economie e i loro punti di forza”, in una visione che deve comprendere anche “la soluzione dei problemi delle barriere non tariffarie (alle esportazioni), della protezione della proprietà intellettuale e dei rapporti di cambio tra le monete”. “Tutti i Paesi devono competere sul mercato globale ma questa competizione non è in contraddizione con la cooperazione”, ha concluso tra gli applausi il primo ministro indiano, che per formazione è un economista. Secondo i dati diffusi dal ministero del commercio cinese, gli scambi tra i due Paesi sono stati nel 2007 pari a 38,6 miliardi di dollari, con un aumento del 56% rispetto all’anno precedente. L’India, ha detto il ministro per il commercio di New Delhi, Kamal Nath, intende rafforzare questa “tendenza positiva” ma allo stesso tempo vuole “riequilibrarla”, dato che attualmente la Cina ha un forte surplus. Nath ha chiesto in particolare a Pechino di abbassare le imposte sull’importazione di frutta e vegetali dall’India. Sul tappeto c’é anche la proposta della Jet Airways, la più grande compagnia aerea privata indiana, di aprire un volo Mumbai-Shanghai-San Francisco. Nel loro secondo incontro – il primo è avvenuto ieri, in quella che è stata definita una cena privata – Manmohan Singh e il primo ministro cinese, Wen Jiabao, hanno riaffermato la rinnovata amicizia tra i due Paesi ma non sono andati oltre le dichiarazioni di buona volontà sulla questione delle frontiere, sulla quale rimangono profonde divergenze dalla breve ma sanguinosa guerra di frontiera combattuta nel 1962. Dopo aver affermato che “in Asia c’é abbastanza spazio” per la crescita di entrambi i Paesi, Wen ha ricordato che per arrivare a risultati sulla definizione dei confini sono necessarie “reciproche concessioni”. Il fatto più rilevante, ha aggiunto, è che i due giganti sono pronti a collaborare per mantenere “la pace e la stabilità” nelle regione. Singh ha espresso il suo accordo, aggiungendo che New Delhi ha la “volontà politica” di risolvere “i problemi lasciatici in eredità della storia”. Mentre la Cina rivendica la provincia indiana dell’Arunachal Pradesh e non riconosce l’annessione all’India del Sikkim, New Delhi ritiene che i cinesi occupino indebitamente una vasta parte del Kashmir sul massiccio dell’Aksai Chin. In totale quasi 4.600 chilometri della lunga frontiera tra i due paesi rimangono indefiniti. Sullo sfondo, non esplicitato ma sempre presente, c’é il problema della stretta alleanza della Cina col Pakistan, l’ eterno “nemico” dell’India, che si è rafforzata negli ultimi cinque anni, dopo l’attacco della coalizione guidata dagli Usa all’Afghanistan dei talebani. Domani Manmohan Singh concluderà la sua visita incontrando il presidente Hu Jintao.
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