La tragedia più grande, e la più dimenticata. Dopo un quarto di secolo, una visita a Bhopal, la città indiana dove nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984 una fabbrica di insetticidi della statunitense Union Carbide si trasformò in un letale strumento di morte, è paragonabile senza esagerazioni ad un viaggio all’inferno. Lo sanno bene, rassegnati, gli abitanti che sono costretti ogni giorno a bere acqua proveniente da falde contaminate e a mangiare prodotti di una terra che non è mai stata liberata del tutto dall’isocianato di metile, il terribile composto per produrre insetticidi che si sparse ovunque. E lo denuncia instancabilmente da sempre Satinath Sarangi, attivista ambientalista, che nel 1986 ha creato una clinica per aiutare le vittime e l’anno dopo, per dare forza alla sua denuncia, il Gruppo di Bhopal per l’informazione e l’azione. Con la inseparabile bandana a quadri rossi e bianchi, Sarangi ha sul tavolo documenti statistiche, articoli che ricordano quel dramma. “Non mi rendo conto che sono già passati 25 anni”, dice mentre mostra i messaggi di solidarietà ricevuti da ogni parte del mondo. Messe in fila, le cifre di quella tragedia sono agghiaccianti, e non hanno bisogno di troppi commenti. “Abbiamo avuto – dice – 8.000 morti solo nei primi tre giorni prodotti dalle 350 tonnellate di prodotti tossici riversatisi nell’ambiente quella notte. In quella tremenda nottata i 3/4 delle donne incinte ebbero un aborto spontaneo. In un quarto di secolo abbiamo calcolato che i deceduti per l’effetto dell’isocianato sono stati fra 25 e 35.000”. Ma c’é una tragedia nella tragedia, perché la sofferenza e la paura si sono installate nella vita quotidiana. Circa 100.000 persone – per Amnesty International addirittura 120.000 – residenti nelle vicinanze della fabbrica, oggi abbandonata e ridotta ad un tetro scheletro di metallo, si sono ammalate in modo irreversibile. E non è finita, perché uno studio ha mostrato che le nascite di bambini con danni cerebrali sono dieci volte più frequenti che nel resto dell’India. E che Bhopal ha, ad esempio, tassi altissimi di cancro all’esofago e alla cistifellea. Movimenti ambientalisti e l’indomabile giornalista e scrittore francese Dominique Lapierre (suo il fondamentale Mezzanotte e cinque a Bhopal) che anche questa volta ha voluto essere presente, hanno denunciato lo scandalo di una vicenda che dal punto di vista giuridico non ha fatto progressi, perché a 25 anni di distanza nessuno dei responsabili morali e materiali della tragedia è stato condannato in un tribunale. E’ vero che nel 1989 la Union Carbide (acquistata nel 2001 dalla Dow Chemical) ha raggiunto un accordo extra-giudiziale accettando il pagamento di 470 milioni di dollari. Ma secondo le organizzazioni che difendono le vittime si tratta di una cifra scandalosamente bassa perché le stime di indennizzo vennero fatte sull’ipotesi di soli 3.800 morti e 102.000 feriti. E in questo ambito nessuna famiglia ha ricevuto più di 1.000 dollari, 11 centesimi per ogni giorno dei 25 anni. Se per questa catastrofe fossero stati adottati i parametri utilizzati negli Usa per le persone esposte all’amianto (anche la Union Carbide era coinvolta), ha sottolineato Sarangi, l’indennizzo avrebbe superato i dieci miliardi di dollari. Ci sono vari processi aperti nei tribunali indiani, ma gli imputati, quelli che all’epoca erano i responsabili della fabbrica della morte, sono considerati latitanti. La Dow si chiama fuori sostenendo di essere diventata proprietaria della Union Carbide dopo il disastro. Ma documenti in possesso di organismi internazionali, fra cui Amnesty, provano che il colosso chimico esercita quotidiane pressioni su vari ministeri, e perfino sull’ufficio del primo ministro, per chiudere una volta per tutte queste cause, tenendo sentenze che potrebbe costringerlo quanto meno a decontaminare migliaia di tonnellate di suolo inquinato.
Altre informazioni e azioni sul sito dell’associazione Students For Bhopal
fonte: ANSA